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L’inchiesta | Gli inediti retroscena dell’omicidio di Domenico De Masi nelle Preserre vibonesi, un delitto rimasto impunito da trent’anni

Le novità dall’operazione Habanero, mentre il Viminale ha rigettato l’istanza dei familiari per riconoscere il congiunto quale vittima di mafia. Le dichiarazioni dei collaboratori Loielo e Taverniti, gli interessi per la cava di Soriano, l’agguato a due innocenti e il nipote Giuseppe ucciso la sera di Capodanno 2021

L’inchiesta | Gli inediti retroscena dell’omicidio di Domenico De Masi nelle Preserre vibonesi, un delitto rimasto impunito da trent’anni
Sorianello vista da Soriano Calabro

Getta un fascio di luce anche su un delitto impunito da quasi trent’anni, la recente operazione Habanero della Dda di Catanzaro che ha duramente colpito i clan delle Preserre vibonesi ed in particolare i Maiolo di Acquaro e i Loielo di Ariola di Gerocarne. Per le modalità con le quali è stato compiuto il fatto di sangue si tratta senza dubbio di uno degli omicidi più cruenti nella storia criminale del Vibonese e la “missione di morte” – portata a termine attraverso due agguati – per poco non è costata la vita a due innocenti totalmente estranei ai contesti malavitosi della zona. Si tratta dell’omicidio di Domenico Salvatore De Masi, commerciante residente a Soriano in via Libertà, ucciso il 2 luglio 1994 nelle campagne di Sorianello, paese di cui era originario. La vittima quando è stata freddata aveva 44 anni ed è stata trovata dal cognato in un podere di sua proprietà in località “Falcione-Liserà” – e poi dai carabinieri della Stazione di Soriano e dai poliziotti di Serra San Bruno all’epoca diretti dal commissario Giuseppina Pappalardo – con il volto sfigurato da tre colpi di pistola calibro 7,65 sparati alla testa a bruciapelo e da distanza ravvicinata. Due hanno attinto Domenico De Masi alla regione temporale destra, l’altro a quella sottomandibolare sinistra. Altri colpi di pistola sono stati esplosi contro la porta e gli infissi della casa rurale. “Quasi che gli assassini abbiano voluto lasciare in qualche modo la loro firma” scrisse all’indomani dell’omicidio il giornalista Francesco Prestia, all’epoca cronista della Gazzetta del Sud.

Ucciso e sfigurato

La Gazzetta del Sud di Lunedì 4 luglio 1994

E proprio la cronaca di Prestia sulla Gazzetta del 4 luglio 1994 ci restituisce tutta l’efferatezza del delitto e pure la “personalità” della vittima. “Lo uccidono e lo sfigurano a rivoltellate” il titolo del giornale dell’epoca, anche se l’autopsia disposta dalla Procura di Vibo si è poi incaricata di accertare che non era stata usata una rivoltella ma una pistola calibro 7,65 che aveva lasciato sul terreno i bossoli. “Un regolamento di conti” si legge nel catenaccio dell’articolo, mentre il cronista nel pezzo scrive di un Domenico Salvatore De Masi arrivato nel podere di campagna alla guida della sua Alfa 33 “di colore grigio scuro”, con gli assassini che lo hanno poi bloccato e assassinato seguendo un trucido rituale mafioso, quasi un’esecuzione”. Sempre Francesco Prestia ci informa poi che gli investigatori dell’epoca ritenevano il delitto un regolamento di conti nell’ambito della criminalità del luogo, nella quale – si legge nel resoconto della Gazzetta del 4 luglio 1994 – De Masi, sempre secondo gli inquirenti, risultava inserito a medio livello”. Lo stesso cronista riporta quindi che la vittima “aveva dei precedenti penali per armi, danneggiamento ed estorsione. In particolare, nel 1986 era stato condannato in primo grado a 2 anni e 2 mesi di reclusione, poi ridotti ad un anno e 2 mesi in appello, per alcuni attentati di tipo estorsivo compiuti ai danni di alcuni imprenditori edili della zona”. Sulla Gazzetta del Sud del 5 luglio 1994 si legge infine che “il commerciante ucciso temeva per la sua vita in seguito ad un attentato dell’ottobre 1993 quando ignoti avevano esploso colpi di arma da fuoco contro una persona che transitava a bordo di un’autovettura del tutto simile alla sua. L’occasionale vittima era rimasta ferita in modo lieve, ma dalle indagini gli inquirenti si erano convinti – aveva concluso Francesco Prestia – che l’obiettivo dei killer era proprio De Masi”.

Le novità dall’inchiesta Habanero

E’ proprio partendo da tale fallito agguato del 16 ottobre 1993 che vengono ora alla luce le principali novità grazie alla recente operazione denominata Habanero della Dda di Catanzaro che ha colpito a giugno i clan delle Preserre vibonesi (Sorianello, Gerocarne, Acquaro, Soriano, Arena e Dasà). Dagli atti dell’inchiesta si apprende infatti che le vittime innocenti, sparate al posto di Domenico Salvatore De Masi in quanto a bordo di un’auto simile alla sua, potevano essere ben due e non solo una come riportato dalle cronache dell’epoca. “Il 16 ottobre 1993 venivano aggrediti a colpi d’arma da fuoco i coniugi Morano-Tassone – si legge negli atti dell’inchiesta –, attaccati per errore, come narrato dai collaboratori Francesco Loielo e Enzo Taverniti, essendo il reale obiettivo De Masi Salvatore Domenico, poi effettivamente ucciso il 2 luglio 1994”. Sempre dagli atti dell’operazione Habanero si apprende che Domenico Salvatore De Masi, oltre ai trascorsi giudiziari ricordati dalla Gazzetta (armi, danneggiamento ed estorsione), era gravato pure da precedenti penali e di polizia per “incendio in concorso, fabbricazione e porto di ordigni esplosivi, appropriazione indebita, danneggiamento mediante esplosivo, sottrazione di cose sottoposte a sequestro”. Per il suo omicidio – altro particolare del tutto inedito che viene ora alla luce – le forze di polizia avevano deferito all’autorità giudiziaria un soggetto di Sorianello deceduto nel 2017, ritenuto collegato ai clan della provincia di Reggio Calabria (Polistena e Gioiosa Ionica, in particolare) e, a sua volta, rimasto vittima di un tentato omicidio il 16 dicembre 1994 mentre transitava nella galleria della Limina. Insieme a lui per il delitto di favoreggiamento personale erano state deferite altre due persone, ma l’inchiesta non aveva poi registrato alcuno sbocco processuale. Ed in effetti, l’inchiesta Habanero – riportando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Francesco Loielo e Enzo Taverniti – restituisce ben altra verità sul delitto di Domenico Salvatore De Masi.

Le dichiarazioni di Francesco Loielo

Francesco Loielo, collaboratore di giustizia, è uno dei maggiorenti dell’omonimo clan fondato dal fratello Vincenzo (cl. ’47), prendendo le redini della cosca lo stesso Francesco nei primi anni ’90 in costanza di detenzione dei fratelli. Condannato per sequestro di persona (il sequestro Albanese per il quale ha confessato di aver nascosto parte del riscatto – 50 milioni di lire – in una damigiana dietro la propria abitazione di Ariola), sul delitto di Domenico Salvatore De Masi ha reso importanti dichiarazioni. Quanto all’omicidio De Masi rammento che nel 1994, prima del mio arresto, i miei cugini Vincenzo e Giuseppe mi chiesero di fargli la cortesia di uccidere il De Masi. Si trattava di uno sfasciacarrozze che lavorava con i miei cugini, smontando le macchine che loro rubavano unitamente ad un certo “Sbirulino”, poi ucciso dal suocero, forse nel 1994. Non chiesi ai miei cugini – ha dichiarato Francesco Loielo – perché volessero uccidere lo sfasciacarrozze: si limitarono a dirmi che si comportava male; ritengo quindi che il delitto sia maturato per fatti di interesse nell’ambito delle loro attività. Io accettai la richiesta che mi veniva fatta e provai anche a realizzare l’omicidio. La prima volta ero armato con un fucile calibro 12 e l’idea era quella di ucciderlo non appena mio cugino Vincenzo me lo avesse mostrato. Giunti sul posto, una aperta campagna sopra Soriano di proprietà del De Masi, mentre stavamo risalendo da un canneto sotto un’abitazione semidiroccata dove pensavamo avremmo trovato il De Masi, siamo stati visti da una persona e, benché entrambi fossimo incappucciati, decidemmo di andare via”.

Loielo accusa Taverniti

Francesco Loielo chiama quindi in causa Enzo Taverniti, alias “Il Cinghiale”, al tempo stesso cognato di Vincenzo Loielo ma anche cugino dei Maiolo di Acquaro con i quali i Loielo erano all’epoca impegnati in una cruenta faida. Fui successivamente arrestato e non ebbi la possibilità di occuparmi della cosa. Sapevo, peraltro, che a procedere all’omicidio di De Masi avrebbe dovuto essere Enzo Taverniti, incaricato a tanto dai miei cugini. In quel periodo ricordo anzi che stavo insegnando a Enzo Taverniti a sparare con un fucile. So che poi a commettere l’omicidio fu proprio Taverniti – ha fatto mettere a verbale il pentito Loielo – e non so se da solo o unitamente ai miei cugini Vincenzo e Giuseppe, in quanto ciò mi fu detto da entrambi durante un colloquio in carcere a Melfi. Appresi della notizia dell’omicidio di De Masi nel 1994, mentre ero in carcere a Vibo, ma in quel momento non sapevo se era stato il Taverniti, nel senso che la cosa mi fu confermata solo nel 1995/96 a Melfi. La necessità del mio intervento dipendeva dal garantire ai miei cugini, almeno a Giuseppe Loielo, un alibi. Forse in precedenza vi era stata una discussione tra loro e la vittima in virtù della quale avrebbero potuto essere sospettati”.

I familiari di De Masi chiedono di essere riconosciuti vittime di mafia

La sede del Ministero dell’Interno

Sin qui le dichiarazioni di Francesco Loielo, ma nel frattempo si registra una importante novità: i familiari di Domenico Salvatore De Masi (moglie e due figli) chiedono di essere riconosciuti quali “vittime di mafia” per ottenere un ristoro dallo Stato. La risposta del Ministero dell’Interno è però negativa come si apprende da un altro atto fondamentale per la ricostruzione degli eventi: la recente relazione della Commissione di accesso agli atti che ha portato nel 2022 allo scioglimento per infiltrazioni mafiose degli organi elettivi del Comune di Soriano Calabro. In tale relazione l’intera famiglia De Masi viene infatti passata ai raggi X dagli investigatori per due motivi specifici: un nipote (figlio di un fratello) di Domenico Salvatore De Masi – Giuseppe De Masi – faceva infatti parte del Consiglio comunale poi sciolto per infiltrazioni mafiose; il padre del consigliere, Pasquale De Masi, a sua volta fratello della vittima Domenico Salvatore De Masi, figurava invece tra i sottoscrittori della lista guidata dal sindaco Vincenzo Bartone la cui amministrazione è stata poi sciolta per mafia (con scioglimento confermato dal Tar che ha respinto il ricorso sottoscritto anche dal consigliere Giuseppe De Masi). Tale relazione, quindi, dopo aver ricordato che altro figlio di Pasquale De Masi (Filippo, già avvisato orale di pubblica sicurezza) è stato coinvolto in un’operazione per narcotraffico, mentre lo stesso Pasquale De Masi è stato controllato dalle forze di polizia il 22 gennaio 2013 a Soriano in compagnia di Domenico Ciconte di Sorianello (già sorvegliato speciale e arrestato nel 2007 per narcotraffico), Walter Loielo (attuale collaboratore di giustizia e all’epoca avvisato orale di Ps) e Alex Loielo (sorvegliato speciale di Ps) – gli ultimi due ritenuti esponenti dell’omonimo clan ma soprattutto nipoti dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo che il collaboratore Francesco Loielo ha indicato quali mandanti dell’omicidio di Domenico Salvatore De Masi (fratello di Pasquale) – passa ad esaminare altri fatti di assoluto rilievo. In particolare si apprende che la moglie, la figlia ed il figlio di Domenico Salvatore De Masi avevano presentato istanza per ottenere i benefici delle vittime di terrorismo e della criminalità organizzata di tipo mafioso” – legge 302/90-, ma l’istanza è stata rigettata dal Ministero dell’Interno-Dipartimento per le Libertà Civili e l ‘Immigrazione. “L’omicidio di Domenico Salvatore De Masi è rimasto ad opera di ignoti – si legge negli atti – e la sua matrice non è stata acclarata”. Il Viminale ha dunque rigettato l’istanza dei familiari della vittima.

Enzo Taverniti e l’auto sbagliata presa di mira

A chiarire ancor meglio gli avvenimenti sono quindi intervenute le dichiarazioni del collaboratore Enzo Taverniti, rese alla Squadra Mobile di Catanzaro e Vibo Valentia. Dovevo partecipare personalmente all’omicidio di Domenico De Masi, ma Vincenzo e Giuseppe Loielo mi hanno solo indicato la sua macchina”. Nella missione di morte – secondo Taverniti – i due fratelli Loielo avrebbero agito in accordo con un imprenditore del luogo. “Domenico De Masi vendeva pezzi di ricambio e l’attività adesso la tiene il fratello Pasquale. Altro fratello si chiama Vincenzo ed ha l’attività di movimento terra, escavatori, camion. Mio cognato Vincenzo mi disse che dovevo andare da solo ad uccidere Domenico De Masi perché loro – Giuseppe e Vincenzo – dovevano rimanere puliti e dare dimostrazione di dove si trovavano. I Loielo mi dissero che De Masi doveva morire perché stava facendo l’infame parlando di Vincenzo e Giuseppe con i carabinieri e sarebbe passato con una Alfa 33 di colore verde o caffè latte sul terreno della cava”. All’epoca il terreno che ha poi acquistato l’imprenditore chiamato in causa da Taverniti era di Domenico Salvatore De Masi”. Proprio tale imprenditore avrebbe quindi trasportato il futuro collaboratore con una Jeep con i vetri oscurati – ha dichiarato Enzo Taverniti – ed io mi sono messo dietro con un fucile caricato a pallettoni. Poi mi ha fatto scendere e nascondere dentro un escavatore che stava nella cava dicendomi che De Masi sarebbe passato da lì verso sera. Io non conoscevo la persona da sparare, non l’avevo mai vista, non conoscevo niente ed i Loielo mi avevano solo detto che sarebbe passato con un’Alfa 33. Nel buio vedo quindi questa macchina mentre ero sotto il sentiero e come passa sparo un colpo e ho preso il vetro o lo sportello. Ho sentito subito gridare una donna ed ho così smesso di sparare e la mia fortuna è stata quella di aver sbagliato a sparare perché alla fine non era Domenico De Masi quello dell’auto a cui avevo sparato, ma altre persone, marito e moglie. Me la sono data a gambe a piedi attraversando la montagna e il giorno dopo mio cognato Vincenzo Loielo mi chiese spiegazioni. Io avevo paura a confessargli di aver sbagliato persona nell’aprire il fuoco, ma lui mi disse di non preoccuparmi perché marito e moglie – prese di mira per sbaglio – non erano morti”. Si trattava dei coniugi Morano-Tassone, sparati poiché con un’auto identica a quella di Domenico Salvatore De Masi.

I De Masi dai Loielo, mentre Taverniti si rifiuta di sparare ancora

L’omicidio dei fratelli Loielo e nei riquadri Bruno Emanuele e Vincenzo Bartone condannati all’ergastolo

Subito dopo tale fatto di sangue, secondo il racconto di Enzo Taverniti, uno dei fratelli di Domenico De Masi si sarebbe quindi recato da Vincenzo e Giuseppe Loielo per avvertirli che “qualcuno gli voleva ammazzare il fratello, ma i Loielo gli hanno un pò girato il discorso e lo hanno tranquillizzato”. A distanza di qualche mese i Loielo avrebbero incaricato nuovamente Taverniti per portare a termine l’omicidio di Domenico Salvatore De Masi. “Io non me la sentivo più dopo aver sbagliato la prima volta rischiando di uccidere persone innocenti – ha affermato Taverniti – e la vittima poteva essere armata ed allora chiesi a Giuseppe e Vincenzo Loielo di venire pure loro con me a sparare, ma dissero che dovevano precostituirsi un alibi trovando dei testimoni per il momento del fatto di sangue. A quel punto i fratelli Loielo hanno preso una casa al mare in un villaggio a Briatico accanto a quella di Vincenzo De Masi, fratello di Domenico De Masi, la vittima designata, e un giorno sono venuti da me dicendomi di non preoccuparmi più perché qualcuno aveva fatto loro il favore di uccidere Domenico De Masi. Non so se i Loielo sono andati loro personalmente a sparare o hanno mandato qualcuno per loro”.

La cava di Soriano

Vincenzo Loielo
Giuseppe Loielo

Enzo Taverniti offre altri particolari importanti per comprendere gli avvenimenti: Volevano acquistare il terreno di Domenico Salvatore De Masi e lui non voleva vendere. Dopo la sua morte ho saputo che la moglie e i figli hanno venduto tutto”. L’acquirente – secondo il racconto del collaboratore – sarebbe stato lo stesso imprenditore in precedenza accordatosi con i Loielo in occasione della prima sparatoria. Si tratta di una zona dove c’è la cava e ricordo che Giuseppe e Vincenzo Loielo hanno poi costruito la loro villa con il cemento fornito loro gratis” da tale imprenditore. Un fratello della vittima – indicato questa volta da Taverniti in Vincenzo De Masi – dopo l’omicidio di Domenico Salvatore De Masi, secondo il collaboratore, si sarebbe invece recato dai fratelli Loielo chiedendo di non essere toccato. Gli ha detto che lui voleva essere lasciato in pace con la sua famiglia. Gli ha detto che l’importante era che non dovevano toccare lui perché non ne voleva sapere niente”.

Il luogo del brutale omicidio a Soriano del 31 dicembre 2021 e nel riquadro Giuseppe De Masi

I fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo sono stati trucidati in un agguato nel 2002 e per tale duplice fatto di sangue sono stati condannati in via definitiva all’ergastolo il boss rivale Bruno Emanuele ed il suo braccio-destro Vincenzo Bartone, alias Pio-Pio”.
L’inchiesta Habanero si è invece incaricata di consegnare un altro elemento investigativo importante: il 7 settembre 2019 la Mercedes di proprietà di Vincenzo De Masi di Sorianello (fratello di Domenico Salvatore De Masi) è stata immortalata dalle telecamere piazzate dai carabinieri in contrada Fallà di Acquaro, nei pressi dell’abitazione di Angelo Maiolo (arrestato a giugno per associazione mafiosa), divenuta un via vai di soggetti attenzionati dagli investigatori. Gli stessi Maiolo che – stando alle risultanze investigative – sono stati per anni in lotta con i Loielo per il predominio mafioso della zona.
Sia l’inchiesta Habanero che la relazione che ha portato allo scioglimento del Comune di Soriano per infiltrazioni mafiose sottolineano infine che Vincenzo De Masi (già avvisato orale di pubblica sicurezza) altri non è che il padre di Giuseppe De Masi, il giovane ucciso dal barbiere il 31 dicembre 2021 a Soriano. “Domenico Salvatore De Masi – si legge nell’inchiesta Habanero – era quindi lo zio di Giuseppe De Masi, assassinato la sera di Capodanno del 31 dicembre 2021 a Soriano”. Zio e nipote, dunque, uccisi a distanza di quasi trent’anni l’uno dall’altro, con l’omicidio del 39enne Giuseppe De Masi rimasto anche questo, allo stato, impunito. Ma questa è tutta un’altra storia ancora da scrivere compiutamente.

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