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Maestrale: il clan Serraino e le doti di ‘ndrangheta conferite dai vibonesi nel racconto del pentito Cortese

I rapporti della potente cosca di Reggio Calabria intessuti in carcere con esponenti delle consorterie di Mileto, Zungri, Cessaniti e Vibo Valentia

Maestrale: il clan Serraino e le doti di ‘ndrangheta conferite dai vibonesi nel racconto del pentito Cortese

Gli affari ed i rapporti del clan Serraino di Reggio Calabria con diversi esponenti del Vibonese al centro della deposizione del collaboratore di giustizia Maurizio Cortese nel maxiprocesso Maestrale-Carthago, Olimpo e Imperium in corso dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Sin dal 1994 ho fatto parte della cosca Serraino sino a raggiungere la reggenza del clan dopo la morte nel 2010 del capo Domenico Serraino. È stato Filippo Serraino ad affiliarmi alla ‘ndrangheta raggiungendo nel 2016 la dote di Mammasantissima. Collaboro con la giustizia – ha affermato Cortese – sin dal 2020 quando mi trovavo in carcere a Parma per scontare una condanna a 30 anni di reclusione anche quale capo promotore della cosca che ho diretto pure da dietro le sbarre attraverso l’uso di un telefonino occupandomi di estorsioni, droga, armi e usura. I principali esponenti della cosca erano Paolo Serraino, Domenico Serraino, Filippo Serraino, Alessandro Serraino – figlio di Domenico – Fabio Giardinieri”.

La dote della “Santa” conferita in carcere dai vibonesi

Francesco Barbieri

E’ a questo punto del racconto – rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo – che il collaboratore Cortese ricorda di aver ricevuto la dote mafiosa della “Santa” in carcere da alcuni vibonesi. In particolare tale dote di ‘ndrangheta sono stati Peppe Accorinti di Zungri, Francesco Barbieri di Pannaconi di Cessaniti e Andrea Mantella di Vibo a conferirmi in carcere la dote della Santa. Eravamo detenuti insieme e ricordo che in carcere in quel periodo ho conosciuto anche altri del Vibonese: Bartucca, cognato degli Anello di Filadelfia, Antonio Gallace e Fortunato Galati. Per conferirmi la Santa – ha spiegato Cortese – significa che Ciccio Barbieri e Peppe Accorinti avevano sicuramente una dote di ‘ndrangheta più elevata. So per certo che Accorinti era collegato alla cosca Mancuso e in carcere ho fatto amicizia con lui tanto da regalargli una volta pure un cane. I Serraino sono imparentati con i Tripodi di Portosalvo e in ogni caso andavano d’accordo con Accorinti”.

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I personaggi di Mileto

Franco Mesiano

Maurizio Cortese ha quindi spiegato di aver conosciuto altri “personaggi” del Vibonese come Rosario Guastalegname, Giuseppe Castagna, Antonio Grillo detto Totò Mazzeo, Filippo Gangitano detto U Picciottu, Francesco Mesiano arrestato per l’omicidio di Nicolas Green e Michele Silvano Mazzeo”. Il collaboratore ha così ricordato che in carcere “Michele Silvano Mazzeo si trovava in cella con Francesco Mesiano e Francesco Scrugli. È stato lo stesso Michele Silvano Mazzeo che in carcere mi ha fatto gli auguri dopo che io avevo ricevuto la dote della Santa, segno che lui era a sua volta minimo un santista nella ‘ndrangheta, altrimenti non avrebbe potuto sapere del mio passaggio di grado. Francesco Mesiano – ha aggiunto Cortese – ricordo che mi confidò di far parte del locale di ‘ndrangheta di Mileto insieme al padre ed al fratello unitamente ai Pititto”. L’ex reggente del clan Serraino ha infine ricordato di aver conosciuto in carcere nel 1999 anche “Mimmo Sette” di Arena e “Fortunato Galati di Mileto che stava scontando una condanna per omicidio ed era il figlio di Salvatore Galati, a sua volta condannato all’ergastolo nel processo Tirreno”.

L’ultimo episodio narrato dal collaboratore riguarda invece la “protezione” offerta a un ex detenuto di Ricadi una volta uscito dal carcere. “Si trattava di Pietro Pantano con il quale io mi trovavo detenuto – ha ricordato Cortese – ed avevo fatto amicizia e mi dispiaceva. Gli avevano ucciso un figlio con un’autobomba e lui si era vendicato uccidendo altre persone come i La Torre. Ci fu l’interessamento dei La Rosa per non far toccare Pietro Pantano e analogo messaggio per non fargli nulla arrivò da Peppe Accorinti una volta che Pantano è uscito dal carcere”.  

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