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Il pentito Moscato: «I piscopisani non temevano neppure il diavolo, rispettavano D’Onofrio e per i Mesiano avrebbero messo a disposizione pure i bambini»

Al processo Maestrale parla il collaboratore di giustizia di Piscopio: «Si opponevano al potere di Mancuso e avevano ingaggiato una sanguinosa faida con i Patania». Il rispetto per il boss torinese e per il gruppo di Mileto

Il pentito Moscato: «I piscopisani non temevano neppure il diavolo, rispettavano D’Onofrio e per i Mesiano avrebbero messo a disposizione pure i bambini»

Combattevano il potente boss di Limbadi, Luigi Mancuso, e tutta la sua famiglia ma rispettavano obbedienti il boss torinese Franco D’Onofrio ed erano pronti a portare sostegno alla cosca Mesiano di Mileto.
Il gruppo dei Piscopisani era composto da giovani, si opponevano al potere dei Mancuso, hanno ingaggiato una sanguinosa faida con la cosca Patania, erano irruenti nel contendersi le estorsioni con le altre cosche vibonesi. «Il gruppo di Piscopio sfidava anche il diavolo ma quando parlava Franco D’Onofrio stavano zitti e ascoltavano. Per noi aveva la stessa caratura criminale di Luigi Mancuso». La grande riconoscenza dei Piscopisani nei confronti di Franco D’Onofrio nasce per una ragione importante: i Piscopisani si erano recati da D’Onofrio per avere l’autorizzazione ad aprire il locale di ‘ndrangheta e lui li avrebbe aiutati.
«Fare aprire un locale di ‘ndrangheta a dei ragazzi non è da tutti», racconta, nel corso del processo Maestrale, il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato.

D’Onofrio, «un pezzo grosso con la clinica a Torino»

Raffaele Moscato

Raffaele Moscato, 37 anni, è nato criminalmente all’intero del gruppo dei Piscopisani dove ha ricevuto la prima dote di ‘ndrangheta nel 2010, fino a raggiungere la dote criminale del Vangelo nel 2014 nel carcere di Frosinone. Collabora con la giustizia dal marzo 2015 dopo un percorso criminale fatto di omicidi, estorsioni, rapine.
Franco D’Onofrio non è imputato nel processo ma viene dibattuta a lungo la sua figura per specificare quelli che erano i rapporti dei Piscopisani con le altre consorterie. Moscato racconta D’Onofrio come un pezzo grosso, originario di Mileto ma residente a Torino dove «aveva una clinica per persone con problemi mentali».

Killer e bazooka per sostenere i Piscopisani nella faida coi Patania

In più occasioni i Piscopisani si sono recati da D’Onofrio a porgergli ossequi, come l’occasione in cui «gli abbiamo portato un’arma come regalo». Ma D’Onofrio non si sarebbe limitato a fare aprire il locale di ‘ndrangheta a Piscopio. Li avrebbe anche sostenuti nel corso della faida contro i Patania. In quella occasione, pur essendo detenuto, dice Moscato, ha mandato in Calabria, prima un soggetto armato di bazooka che aveva il compito di porsi su un’altura e far salare in aria i Patania al loro passaggio. «Ha mandato dei killer per sostenerci», dice Moscato spiegando che era un periodo in cui alcuni alleati si trovavano in carcere e, in più, nel 2011 Rosario Fiorillo, uno de membri di vertice dei Piscopisani, aveva subito un agguato.
Sarebbe stato l’orgoglio di Rosario Battaglia, uno dei capi di Piscopio, a rifiutare bazooka e killer mandati da D’Onofrio che, sottolinea Moscato, era capace di inviare ordini e armi mentre era detenuto. Non solo. Avrebbe inviato dei pizzini dal carcere con delle indicazioni per la sua clinica.

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«Per i Mesiano mettevamo a disposizione anche i bambini di Piscopio»

Altro gruppo con il quale i Piscopisani erano in stretti contatti erano i Mesiano di Mileto. «Se c’era necessita per i Mesiano, a Mileto si mettevamo a disposizione anche i bambini di Piscopio per dare una mano».
I Piscopisani e le persone a loro vicine si sono incontrate nel corso di una cena a Vibo Marina, dice Moscato, alla quale hanno partecipato «Fortunato Mesiano, quello alto, un tale Roberto il cui padre aveva una carrozzeria a Monacalieri e che è stato coinvolto nell’operazione Minotauro. Poi c’era Rosario Battaglia e un certo Giacomo, inserito nella ‘ndrangheta nel gruppo di Franco D’Onofrio e di Roberto. Il fratello era il capo degli Ultrà della Juventus, aveva un’agenda con tutti i nomi e numeri dei giocatori».

L’omicidio di Pino Mesiano e la «risposta» della famiglia

«Nella famiglia Mesiano – ricorda Raffaele Moscato – erano tutti battezzati. Io ero in cella con Rosario Battaglia quando è stato ucciso il padre dei Mesiano, Pino. Rosario Battaglia ha detto che a breve ci sarebbe stata una risposta perché i Mesiano non sono stupidi e sono tutti azionisti». A distanza di breve tempo è poi avvenuto il delitto di Angelo Corigliano.

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Funerali e battezzi di ‘ndrangheta

Il Roberto di Torino e i Mesiano «erano amici, c’era rispetto», racconta Moscato. Un esempio di questo «rispetto» si sarebbe manifestato nel 2011, nel corso del funerale della nonna dei Mesiano. Per manifestare vicinanza andarono alle esequie Raffaele Moscato, Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo, Nazzareno Fiorillo e Roberto di Torino. Con qualche difficoltà e contestazione Moscato ricostruisce quella occasione: «Siamo andati al funerale per vicinanza e perché si parlava di battesimi di ‘ndrangheta. Fuori dalla chiesa, in una stradina, Roberto diceva che dovevano dare il Vangelo a Rosario Fiorillo».

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