Spilinga, a distanza di 4 anni dall’incendio che distrusse lo stabilimento “L’artigiano della ‘nduja” si prepara a riaprire i battenti
L’amministratore unico dell’azienda Luigi Caccamo annuncia che entro la fine dell’anno riprenderà la produzione. Poi entra nella polemica dell’insaccato Made in Usa: «Solo Spilinga è la patria di questa prelibatezza, improbabili ambasciatori all’estero fanno ridere»
A distanza di 4 anni dall’incendio che distrusse lo stabilimento, l’azienda “L’artigiano della ‘nduja” di Spilinga, si appresta a riaprire i battenti. Ne dà notizia con una nota l’amministratore unico dell’azienda, Luigi Caccamo, che si dice «fiducioso di poter riavviare la produzione in loco entro la fine dell’anno in corso». «Siamo impegnati con tutte le nostre forze – si legge nella nota – a riportare la sua attività nella culla dell’insaccato calabrese più famoso al mondo, Spilinga appunto, e nello storico sito produttivo completamente distrutto dal devastante incendio che lo ha interessato il 9 maggio del 2020. La nostra attività non si è mai interrotta – spiega Caccamo, affiancato dalla moglie Graziella Barbalace -. Da subito l’azienda, nonostante il colpo subito, che avrebbe messo in ginocchio chiunque, si è prodigata per rispettare gli impegni con i propri clienti, trasferendo la produzione in altro stabilimento. Non solo, in questo periodo di “esilio forzato” abbiamo consolidato il nostro portafoglio clienti aggiungendo ulteriori rapporti commerciali. Ma presto per noi sarà tempo di fare finalmente ritorno nella nostra casa. Era un impegno che avevamo preso anche con i nostri collaboratori che, in questi anni, ci sono rimasti vicini seguendoci nella sede temporanea con non pochi sacrifici».
Caccamo coglie l’occasione per commentare le recenti notizie relative alla produzione di ‘nduja Made in Usa, che hanno innescato anche forti polemiche. «Questa è la patria della ‘nduja – spiega – e noi da qui vogliamo continuare a fare il nostro lavoro, ispirato alle tradizioni e alla qualità che solo Spilinga è in grado di esprimere. La salvaguardia di questi principi è, a nostro avviso, decisiva e ci ha molto colpito la notizia di una produzione di ‘nduja avviata negli Stati Uniti secondo la ricetta tradizionale spilingese. Bene ha fatto il presidente provinciale di Coldiretti, Giuseppe Porcelli, a prendere una posizione netta sulla questione. Dal nostro punto di vista, a stupire non deve essere tanto l’iniziativa imprenditoriale (che in quanto tale è sempre libera e rispettabile) quanto il fatto che ad intraprenderla sia chi, in ragione del suo ruolo associativo di rappresentanza, dovrebbe rappresentare un baluardo nella salvaguardia dell’identità territoriale, culturale e storica della vera ‘nduja di Spilinga. Colui che dovrebbe difendere con le unghie e con i denti il patrimonio più prezioso che abbiamo: il bagaglio di saperi, conoscenze, manualità (in altre parole il nostro know-how) che rappresenta il solo elemento che fa della ‘nduja di Spilinga, l’unica e vera ‘nduja. Ed è paradossale che quel know-how venga ora esportato così facilmente».
«Fa sorridere amaramente – continua – il coinvolgimento di improbabili ambasciatori internazionali della ‘nduja di Spilinga che, di fatto, promuovono una ‘nduja prodotta a New York. I veri ambasciatori dovrebbero essere i nostri anziani, che ancora conservano gelosamente quel sapere tradizionale; i cittadini spilingesi, che ancora producono artigianalmente la ‘nduja e che sono i custodi di questo patrimonio immateriale della nostra comunità; i piccoli produttori, gli artigiani, i ristoratori, che ancora credono in un prodotto unico e inimitabile». Il nodo principale – sottolinea Caccamo – resta quello del disciplinare «attraverso il quale, ormai da troppi anni, si tenta di ottenere l’Indicazione geografica protetta. Non dà infatti prescrizioni sulla provenienza della materia prima – spiega l’imprenditore -, però mette paletti precisi sull’area di produzione, indicando come unico areale possibile quello del territorio comunale di Spilinga, proprio a salvaguardia di quel patrimonio immateriale di conoscenze che oggi viene “regalato” all’estero proprio da chi lo dovrebbe tutelare. Riteniamo sia il momento di fare una riflessione seria, di tornare ai principi che dovrebbero orientare il Consorzio sul suo vero scopo, di ridare dignità alla ‘nduja di Spilinga difendendola da imitazioni e contraffazioni e, soprattutto, di rilanciare l’iter per l’approvazione del marchio Igp. Il mercato della ‘nduja – conclude Caccamo – è ormai inarrestabile, tutti gli spilingesi potrebbero e possono diventarne protagonisti proprio in ragione dei saperi che custodiscono e possono divenire, loro sì, i veri ambasciatori di questo eccezionale prodotto che il mondo ci invidia».
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