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Ingiusta detenzione, nessun indennizzo per Carlo Pezzo di Sant’Onofrio

La Cassazione respinge il ricorso del 38enne assolto nel processo “Uova del drago” contro il clan Bonavota e ritiene i suoi comportamenti “gravemente colposi”

Ingiusta detenzione, nessun indennizzo per Carlo Pezzo di Sant’Onofrio

Nessun indennizzo per ingiusta detenzione nei confronti di Carlo Pezzo, 38 anni, di Sant’Onofrio, che aveva presentato un’istanza di riparazione per la detenzione in stato di custodia cautelare, patita dal 30 ottobre 2007 al 20 aprile 2010, per il reato di associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione “Uova del drago” contro il clan Bonavota. Procedimento penale dal quale è uscito poi assolto. E’ quanto deciso dalla quarta sezione penale della Cassazione che ha così confermato la decisione della Corte d’Appello di Catanzaro risalente al 27 giugno dello scorso anno che “ha ripercorso in motivazione la vicenda fattuale e processuale che aveva riguardato il ricorrente analizzando il contenuto della pronuncia assolutoria e giungendo alla determinazione di rigettare l’istanza, avendo ravvisato comportamenti gravemente colposi a carico del richiedente, ostativi al riconoscimento dell’indennizzo”. [Continua dopo la pubblicità]

La Corte di Cassazione

La Corte di merito, nel respingere la richiesta di ingiusta detenzione, ha infatti sostenuto che gli elementi acquisiti nel corso del processo nato dall’operazione “Uova del drago” siano “adeguati per desumere la contiguità del ricorrente all’organizzazione di tipo mafioso denominata clan Bonavota, operante a Sant’Onofrio e zone limitrofe”. Per la Cassazione, la Corte d’Appello di Catanzaro ha “fatto buon governo delle norme e dei principi giurisprudenziali che regolano la materia, individuando, con motivazione logica, non censurabile in sede di legittimità, le circostanze ritenute ostative al riconoscimento dell’indennizzo. Quanto è stato desunto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia e gli accertati rapporti di frequentazione del ricorrente con esponenti di spicco dell’organizzazione mafiosa – sottolinea la Suprema Corte – risultano idonei ad integrare un comportamento gravemente colposo, che si pone in rapporto sinergico rispetto all’adozione della misura, creando l’apparenza di una situazione illecita, suscettibile di provocare il legittimo intervento dell’autorità in difesa della collettività”. In tema di ingiusta detenzione (giudizio del tutto autonomo rispetto a quello della cognizione), ricordano ancora i giudici, deve essere volto a stabilire con valutazione “ex ante”, non se la condotta serbata dal richiedente integri gli estremi di reato, ma solo se essa sia stata presupposto idoneo ad integrare, “la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto”. Lo stesso giudice della cognizione ha del resto “confermato la familiarità del ricorrente con gli ambienti della malavita organizzata. Le frequentazioni assidue con esponenti del clan – ricorda la Cassazione – rappresentano un significativo elemento ostativo al riconoscimento dell’indennizzo” e il Tribunale di Vibo Valentia, pur assolvendo Carlo Pezzo, nelle motivazione ha “messo in luce il carattere costante delle accertate ambigue frequentazioni e la caratura criminale dei soggetti con i quali il ricorrente era solito intrattenersi, essendo i fratelli Bonavota, dai quali il clan traeva la propria denominazione, soggetti di spicco della organizzazione”. Da qui il rigetto del ricorso.

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