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Maestrale: Emanuele Mancuso e il potere mafioso su Mileto, Tropea, Limbadi e Capo Vaticano

La protezione del boss Peppe Mancuso ai Galati e l’intenzione degli Olivieri di ucciderli. I traffici di droga e l’interesse per i terreni delle suore

Maestrale: Emanuele Mancuso e il potere mafioso su Mileto, Tropea, Limbadi e Capo Vaticano
Nei riquadri il collaboratore Emanuele Mancuso e a destra lo zio Luigi Mancuso
Michele Galati

Si è soffermato anche sulle sue conoscenze in merito ai personaggi legati alla criminalità organizzata orbitanti su Mileto e Tropea, il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso nel corso del suo esame da parte del pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo nel maxiprocesso nato dalle operazioni Maestrale-Carthago, Olimpo e Imperium. Dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, Emanuele Mancuso ha spiegato che nella zona di Mileto a comandare erano le famiglie Pititto-Prostamo e i Galati della frazione di Comparni. In particolare – ha dichiarato il collaboratore – Comparni era divenuto un paese dove si vendeva la droga e lì operavano i Galati, una famiglia importante della ‘ndrangheta. Personalmente ho conosciuto Michele Galati che si recava spesso a casa di Antonio e Domenico Mancuso, i figli di Giuseppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja. Michele Galati era alleato e persona di fiducia di Giuseppe Accorinti di Zungri. E’ stato un componente della famiglia Ferrentino di Laureana di Borrello a riferirmi in carcere che Michele Galati si occupava pure di estorsioni ed era alleato pure di Gregorio Niglia di Briatico. Ricordo poi – ha aggiunto Emanuele Mancuso – che una volta con mio cugino Domenico Mancuso, detto The Red, figlio di Diego Mancuso, ci siamo recati a San Giovanni di Mileto da Pititto poiché era lui il referente su Mileto pur trovandosi ai domiciliari su una sedia a rotelle a scontare un ergastolo. In altra occasione ho invece conosciuto Benito Tavella che era venuto a prendersi della marijuana da Giuseppe Mancuso, il figlio di Giovanni Mancuso. Sono stato io a consegnare la marijuana a Benito Tavella, ma l’ho dovuto minacciare per farmela pagare. In quell’occasione Benito Tavella disse che era sua intenzione vendicare la morte di un fratello ucciso. Anche i Tavella sono una famiglia di ‘ndrangheta di Mileto. Diverse piantagioni di marijuana negli anni le ho curate io direttamente con un mio gruppo personale composto da – ha ricordato Emanuele Mancuso – alcuni ragazzi come: Cesare Costa, Francesco Costa, Giuseppe De Certo, Giovanni Battaglia, Francesco Berlingieri, Giuseppe Navarra, Daniele Cortese, Clemente Selvaggio, Pantaleone Perfidio“.

Gli Olivieri volevano colpire i Galati

Francesco Olivieri

Quindi una rivelazione inedita: secondo Emanuele Mancuso i fratelli Olivieri di Nicotera (Francesco, condannato all’ergastolo per un duplice omicidio e un triplice tentato omicidio a Nicotera e Limbadi avvenuti nel maggio 2018, e Giuseppe Olivieri condannato a 30 anni per l’omicidio Timpano nell’agosto 2018 a Nicotera) per vendicare un loro fratello ucciso avrebbero deciso a loro volta di assassinare anche qualche componente della famiglia Galati di Mileto. I Galati sono coinvolti nell’omicidio del fratello degli Olivieri – ha dichiarato il collaboratore – e gli Olivieri volevano colpirli, ma ho saputo che i Galati non si potevano toccare, non si potevano uccidere o essere sparati in quanto mio zio Peppe Mancuso, alias ‘Mbrogghja, aveva deciso che non dovevano essere toccati. I Galati erano intoccabili perchè così aveva deciso Giuseppe Mancuso che non voleva la loro eliminazione”.

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I La Rosa e i Trecate a Tropea

Antonio e Francesco La Rosa

Nel corso dell’esame, Emanuele Mancuso è poi passato a trattare la situazione degli assetti criminali a Tropea, una piazza di spaccio libera in quanto non direttamente controllata dalla criminalità organizzata del luogo e dove anche altri clan potevano recarsi a spacciare droga. A Tropea comandano i La Rosa che erano più legati alla fazione dei Mancuso degli undici e poi a Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, mentre i Trecate, conosciuti come I Patati, erano più legati all’articolazione dei Mancuso dei sette, cioè a quella di Diego Mancuso, di mio padre e di Giuseppe Mancuso, ‘Mbrogghja. Francesco La Rosa – ha raccontato Emanuele Mancuso – era chiamato U Bimbu e l’ho conosciuto una volta quando è venuto a Tropea al lido dei Patati, dei Trecate. Francesco La Rosa era legato a Diego Mancuso, e comunque al ramo ‘Mbrogghja della mia famiglia, e con lui ho parlato proprio del rapporto che i La Rosa avevano con i Mancuso. Anche in altre riunioni della mia famiglia ho sentito dire che a Tropea comandavano i La Rosa e in particolare Tonino La Rosa, che per i Mancuso era un cristianuni. Tonino La Rosa è fratello di Francesco La Rosa. Ho anche conosciuto Alessandro La Rosa, il figlio di Francesco, in quanto in un’occasione era venuto a prendersi i biglietti gratis per le giostre che si erano sistemate a Brattirò. In Calabria funziona così: se il giostraio vuole stare tranquillo deve cedere una parte dei biglietti agli esponenti della ‘ndrangheta e qualche volta pure alla polizia municipale”.

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Ricadi, Limbadi e Coccorino

Giuseppe Navarra

Emanuele Mancuso – sempre rispondendo alle domande del pm Antonio De Bernardo – è quindi passato a trattare alcune vicende criminali che hanno interessato il comprensorio di Capo Vaticano e Limbadi. Da Coccorino a Santa Domenica di Ricadi comandava Agostino Papaianni. Ma su Santa Domenica di Ricadi c’era anche Pasquale Quaranta. Diego Mancuso dopo la scarcerazione si era invece trasferito in un villaggio di Santa Maria di Ricadi e sono stato io a presentargli Giuseppe Navarra di Rombiolo che doveva essere al suo servizio. Valerio Navarra, fratello di Giuseppe, era invece un fedelissimo di Peppone Accorinti. Grazie all’appoggio di Diego Mancuso – ha raccontato il collaboratore – in un’occasione Giuseppe Navarra è riuscito a far arrivare un carico di 330 chili di hashish. Cento chili sono rimasti a personaggi di San Calogero, altri cento a persone di san Costantino di Briatico e il resto allo stesso Navarra. Diego Mancuso si lamentava però con me del fatto che Giuseppe Navarra per alcuni periodi spariva non andandolo a trovare e così l’abbiamo sostituito con Giuseppe Ripepi di Ricadi. Si trattava del figlio di Paolo Ripepi, quest’ultimo già in rapporti storici con la famiglia Mancuso e che operava su Ricadi. In un’occasione io, Giuseppe Ripepi e Luca Apriceno abbiamo buttato a mare gli ombrelloni di tutti i villaggi di Santa Maria di Ricadi che facevano concorrenza a quello dove stava Diego Mancuso. Negli ultimi tempi nella zona di Ricadi e Spilinga si sono affermati i fratelli Davide e Federico Surace di Spilinga che gestivano i lavori edili e movimento terra. I Surace avevano fatto amicizia con Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, con mio padre Pantaleone Mancuso, alias l’Ingegnere, e con Peppone Accorinti. Ricordo che Davide Surace era presente nel 2015 ad una riunione a Nicotera Marina dove c’erano pure Luigi Mancuso, Pasquale Gallone e Giuseppe Accorinti”.

Leone Soriano

A Limbadi, invece, l’interesse del clan Mancuso si sarebbe concentrato sull’acquisizione di diversi terreni. “Diego e Francesco Mancuso erano in particolare interessati ad accaparrarsi i terreni delle suore e per questo si è verificata anche una lite con Rosina Di Grillo, figlia di Rosaria Mancuso, sorella di Diego e Francesco. Diego Mancuso diceva che per altra zona lì confinante chi voleva vendere doveva invece rapportarsi con i Cacciola e i Bellocco di Rosarno. Su indicazione di Salvatore Ascone – ha raccontato il collaboratore – ricordo che una volta nella stessa zona mi sono recato a togliere una telecamera delle forze dell’ordine posizionata su un albero”. Infine gli accenni di Emanuele Mancuso alla famiglia Pasqua. “Non ricordo i nomi di battesimo dei Pasqua, ma loro erano originari di Badia e avevano agganci istituzionali, erano inseriti a livello istituzionale in quanto erano loro direttamente medici e avvocati. Anche Luigi Mancuso mi disse che estorsioni ai Pasqua non se ne facevano e quando Leone Soriano di Filandari fece un attentato ad un distributore di benzina dei Pasqua, Pasquale Gallone mi mandò da Leone Soriano per riferirgli che i Pasqua non andavano toccati. Mia zia, Rosaria Del Vecchio, aggiunse pure che se scopriva un qualche mio coinvolgimento con i Soriano negli attentati ai Pasqua, lei con me aveva chiuso”.

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