’Ndrangheta, la regia del clan Alvaro dietro le piantagioni di marijuana: il “Re dell’Aspromonte” comandava anche a Lamezia
Il rispetto dei soci per la cosca nelle intercettazioni dell’inchiesta Fata Verde: «Questi sono pezzi da novanta con mentalità integralista musulmana»
Prima c’è il «Re dell’Aspromonte», poi tutti gli altri. Anche lontano dalla sfera d’influenza del clan: il potere degli Alvaro, secondo quanto emerso nell’inchiesta Fata Verde della Dda di Reggio Calabria, avrebbe permesso alla ’ndrina di comandare anche a Lamezia Terme.
Secondo i magistrati antimafia la cosca di Sinopoli avrebbe diretto il business delle piantagioni di marijuana tra la Piana di Gioia Tauro e Lamezia Terme. Permessi per produrre canapa “legale” utilizzati in realtà per una gigantesca (quanto ancora presunta) filiera illecita da 6 milioni di euro per raccolto, cifra mai incamerata a causa dei sequestri intervenuti nel corso del tempo. Nei giorni scorsi, vi abbiamo raccontato i dettagli sulla filiera di comando del sistema: uno schema con al vertice Domenico Alvaro, uno dei membri di spicco della famiglia. Il suo vice sarebbe stato Vincenzo Violi, il terzo nella linea di comando Marcello Spirlì, con il compito di governare sul braccio operativo della presunta associazione.
Fata Verde, Alvaro e Violi sostituiti da «altri due amici»
C’è stato un momento, però, nell’estate del 2021 in cui i due “capi” hanno deciso di prendersi una pausa. Le reazioni all’evento permettono di registrare i commenti di altre due persone coinvolte nell’inchiesta Fata Verde della distrettuale antimafia. Carmine Barone e Paolo Scalese sono entrambi indagati nell’inchiesta: per loro il gip ha disposto l’arresto. Da un loro dialogo si colgono i nuovi assetti nel gruppo e anche quanto venga considerata rilevante l’influenza del clan Alvaro in un territorio – quello di Lamezia Terme – che non è di pertinenza della cosca che ha il proprio cuore nell’Aspromonte.
Scalese spiega che Violi, il numero due, avrebbe deciso di non partecipare alla nuova piantagione «perché dopo l’arresto del suo stretto sodale e capo Domenico Alvaro volveva fermarsi per un po’», fino all’anno successivo.
Il discorso si sposta poi sull’assenza dall’impresa «degli altri rappresentanti apicali della cosca Alvaro». Barone, tuttavia, sottolinea che il nuovo ciclo di produzione sarebbe stato comunque garantito «da altri soggetti di spessore criminale della Piana di Gioia Tauro». Dice che «erano subentrati “altri due amici, gente serissima”»: per gli investigatori si tratta di Francesco Virgiglio e Giovanni Certo, entrambi finiti agli arresti. Continua a leggere su LaC News24.