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Rinascita Scott: l’imprenditore Ferrante al servizio della ‘ndrangheta, dai Mancuso a Vallelunga sino ai Lo Bianco

Nelle motivazioni della sentenza l’imputato viene definito come «figura carismatica che aleggia lungo tutto il processo, in rapporti costanti con gli associati sui quali esercitava un forte ascendente»

Rinascita Scott: l’imprenditore Ferrante al servizio della ‘ndrangheta, dai Mancuso a Vallelunga sino ai Lo Bianco
A sinistra Gianfranco Ferrante, a destra Pasquale Gallone e Luigi Mancuso
Gianfranco Ferrante

Dedica un intero capitolo alla figura di Gianfranco Ferrante, 60 anni, la sentenza del maxiprocesso Rinascita Scott che ha condannato l’imprenditore di Vibo Valentia alla pena di 20 anni e 2 mesi di reclusione. Ferrante era chiamato a rispondere dei reati di associazione mafiosa, tentata estorsione, usura, turbativa d’asta e concorso in intestazione fittizia di beni. Per i giudici del Tribunale di Vibo Valentia si tratta una “figura carismatica che aleggia per tutta l’istruttoria dibattimentale nella parte dedicata alla cosca Mancuso, poiché proprio Ferrante ha avuto un ruolo di primo piano, al servizio costante di tutti gli associati e, soprattutto, di Luigi Mancuso e del suo braccio destro Pasquale Gallone”. Il pieno inserimento di Gianfranco Ferrante nella ‘ndrangheta si desume per i giudici sia dalle singole vicende delittuose che gli sono state contestate e sono state realizzate sempre da Ferrante “a beneficio della consorteria e con altri soggetti del gruppo criminale di appartenenza”, sia dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

Andrea Mantella

Andrea Mantella ha fornito in aula “numerosi dettagli sulla figura di Ferrante, frutto di una conoscenza diretta che aveva con l’imputato, descrivendolo come del tutto a disposizione della cosca Mancuso, ma con legami anche con Damiano Vallelunga, capo della consorteria criminale di Serra San Bruno, prima che costui rimanesse ucciso in un agguato di mafia avvenuto nel 2009”. Mantella ha specificato di avere conoscenza diretta delle attività criminali svolte da Ferrante fino al 2016, momento in cui iniziava il suo percorso di collaborazione con la giustizia. “La vicinanza con Ferrante era così forte che i Bonavota, storici alleati di Mantella, si recavano da Ferrante – si legge in sentenza – per chiedergli dei soldi che dovevano servire per il sostentamento in carcere dello stesso Mantella”. Il collaboratore ha anche riferito in ordine ai “rapporti esistenti tra Ferrante e i fratelli Artusa, specificando che ”I fratelli Artusa erano legati mani e piedi a Gianfranco Ferrante, il vero dominus delle attività degli Artusa era Razionale Saverio e appunto lo stesso Gianfranco Ferrante”.

Anche il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso “ha spiegato che presso il Cin Cin Bar – si legge in sentenza – si tenevano riunioni tra vari esponenti della criminalità organizzata e che lui stesso aveva visto numerosi soggetti contigui alla famiglia Mancuso, come Vincenzo Spasari ed Emanuele La Malfa, appartarsi in quel locale e discutere “in modo riservato” con Ferrante. Ha riferito, inoltre, che nell’occasione in cui Ferrante è stato arrestato a seguito dell’operazione Robin Hood, Luigi Mancuso in persona interveniva dicendo che Ferrante doveva essere “tolto” dal carcere a tutti i costi; confermando quanto già detto da Mantella Andrea, Emanuele Mancuso ribadiva anche la vicinanza che Ferrante aveva sia con Damiano Vallelonga che con la famiglia Mancuso, soprattutto con Luigi Mancuso”.

moscato raffaele
Raffaele Moscato

Pure il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato ha riferito che Gianfranco Ferrante “si metteva a disposizione di molti soggetti dell’ambiente criminale vibonese, anche di Sarino Battaglia e di Rosario Fiorillo. Lo stesso Moscato era a conoscenza dei rapporti di intimità tra Ferrante e Damiano Vallelunga e di come Mantella avesse deciso dì non sottoporre ad estorsione Ferrante proprio perché era intervenuto Vallelunga a tutelarlo”.
Il collaboratore Bartolomeo Arena si è pure lui soffermato a lungo sulla figura di Gianfranco Ferrante, specificando come lo stesso ha fatto anche da intermediario tra Mantella e l’imprenditore Renda Vincenzo, titolare del punto vendita Eurospin di Vibo Valentia, nel periodo in cui Mantella imponeva l’assunzione di soggetti vicini al suo gruppo criminale presso l’attività commerciale del Renda”. Renda è stato in ogni caso assolto anche in secondo grado nel troncone in abbreviato di Rinascita Scott. Arena aveva una conoscenza diretta di Ferrante in quanto “è lo zio della ex compagna di Arena, e il legame era talmente forte che Ferrante ha battezzato il primo figlio del collaboratore di giustizia”.

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia per il Tribunale devono considerarsi assolutamente genuine, perché rese le une all’insaputa delle altre, disinteressate, perché non sono emersi motivi di acredine tra i propalanti e l’imputato, convergenti e corrispondenti negli elementi essenziali, sufficientemente precise e dettagliate nella descrizione della condotta. Le dichiarazioni dei collaboratori, inoltre – evidenzia la sentenza – sono tutte precedenti al dicembre 2019, momento in cui veniva data esecuzione all’ordinanza cautelare del procedimento Rinascita Scott e in cui tutte le investigazioni sul conto di Ferrante divenivano ostese”.

Ferrante fra usura ed estorsioni

Saverio Razionale

Gianfranco Ferrante per il Tribunale avrebbe avuto anche un ruolo nel “piano criminoso ordito dai sodali della cosca Mancuso per imporre ai villaggi turistici delle coste vibonesi di rifornirsi di frutta dalla società Naturella Frutta, riconducibile ad Antonio Scrugli, imprenditore – si legge in sentenza – di riferimento della cosca Mancuso”. Anche nelle vicende di usura e in quelle estorsive dei fratelli Artusa (Mario e Maurizio) emerge il “ruolo di intermediario che veniva dato a Gianfranco Ferrante da personaggi di spicco della criminalità organizzata come Luigi Mancuso, Pasquale Gallone e Saverio Razionale, a riprova della sua vicinanza ai vertici della cosca e del ruolo operativo rivestito nella stessa”. La “caratura criminale di Ferrante e la sua autorevolezza rispetto ai sodali” sarebbe stata tale, ad avviso del Tribunale di Vibo, che agli stessi avrebbe “suggerito anche i comportamenti da adottare e le modalità attraverso le quali bisognava agire, mostrando di avere un forte ascendente perché le sue direttive venivano puntualmente eseguite, autorevolezza che è emersa anche nella vicenda relativa all’ estorsione perpetrata ai danni dei Miceli”.

L’irreperibilità di Luigi Mancuso

Luigi Mancuso

Particolarmente importante il Tribunale ritiene anche la conversazione intercettata del 13 aprile 2016 tra Gianfranco Ferrante Gianfranco e il boss Carmelo Lo Bianco (classe 1945), deceduto il 9 dicembre 2016, “considerato una figura carismatica della cosca Lo Bianco di Vibo Valentia. In questa conversazione – spiega il Tribunale – si parlava dello stato di irreperibilità in cui Luigi Mancuso versava in quel periodo versava e Ferrante commentava la rete di protezione sulla quale il capo mafia poteva contare, composta anche da persone definite perbene e insospettabili che nel momento in cui il boss lasciava le loro abitazioni se ne dispiacevano. La conversazione riveste particolare importanza poiché evidenzia come Ferrante, uomo di fiducia del capo, conoscesse persino i luoghi dove Luigi Mancuso trovava rifugio nel periodo in cui lo stesso si sottraeva all’autorità giudiziaria. Il fatto stesso che Ferrante fosse ammesso a conoscere notizie che di per sé dovevano rimanere riservate, stante anche il li vello di cautele che tutti i fiancheggiatori di Luigi Mancuso assumevano nella fase in cui costui si rendeva irreperibile, è indice dell’intraneità del Ferrante alla cosca Mancuso. Peraltro – fanno ancora notare i giudici in sentenza – l’attività di indagine consentiva di appurare che l’esercizio commerciale di Ferrante era un punto di ritrovo di numerosi elementi di spicco di varie articolazioni di ‘ndrangheta, al punto che lo stesso veniva monitorato sia mediante una periferica ambientale installata nel bar, sia attraverso dei servizi speciali che riprendevano l’esterno e l’interno del locale, e che confermavano come il bar fosse deputato ad incontri di sodali, sintomo del fatto che il reale gestore, Ferrante, era divenuto un punto di riferimento per la consorteria”. Non sarebbero mancati, infine, incontri tra Ferrante e altri imprenditori del Reggino vicini ai clan (ai Promalli di Gioia Tauro in particolare), in un’occasione anche alla presenza di esponenti politici vibonesi (uno divenuto segretario provinciale di un partito politico, l’altro candidato nel 2014 alle elezioni europee, per come si legge in sentenza), a conferma dei molteplici legami svelati dall’inchiesta Rinascita Scott e del ruolo ricoperto negli anni dall’imputato ora condannato a 20 anni e 2 mesi di reclusione.

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