Il colletto bianco dei clan vibonesi, Mario Lo Riggio nella sentenza di Rinascita Scott: «Una sorta di lavatrice dei Lo Bianco e dei Gasparro»
Per il Tribunale di Vibo è provato il ruolo svolto dall’imprenditore condannato a 17 anni di carcere. Il boss Razionale: «Dobbiamo metterci in giacca e cravatta senza lavorare»
Avrebbe rivestito per anni il ruolo di “colletto bianco” al servizio dei clan di Vibo Valentia e San Gregorio d’Ippona l’imprenditore Mario Lo Riggio, 63 anni, una delle figure per le quali – non a caso – le motivazioni della sentenza Rinascita Scott dedicano più spazio. Il Tribunale collegiale di Vibo Valentia l’ha condannato a 17 anni di reclusione e di recente la Dda di Catanzaro ha chiesto al Riesame (che deve ancora pronunciarsi) il ripristino per lui della misura cautelare in carcere. Mario Lo Riggio era accusato di aver messo le sue imprese ed i suoi rapporti imprenditoriali e finanziari alle dirette dipendenze di Gregorio Gasparro di San Gregorio d’Ippona e dei Lo Bianco-Barba di Vibo “in modo sistematico al fine di raggiungere gli obiettivi della consorteria”, finanziando le attività di Paolino Lo Bianco, Saverio Razionale e Gregorio Gasparro, anche erogando prestiti di denaro. Per lui ha retto l’accusa di 416 bis e per i giudici è nelle “stesse conversazioni intercettate che Mario Lo Riggio si lascia andare ad affermazioni sostanzialmente confessorie in ordine alla propria appartenenza all’associazione mafiosa. Nelle conversazioni è, infatti, lo stesso Lo Riggio a ripetere più volte di far parte di un gruppo. Precisa di non essere stato “messo” al 501 hotel “per bellezza” e che da solo Mario Lo Riggio non è nessuno e che se ha diverse attività non è per caso. Ripete ancora di far parte di un gruppo e di avere una funzione, dei compiti.
Così si sarebbe espresso lo stesso Mario Lo Riggio nelle intercettazioni con una interlocutrice: «Vedi che io se sono dove sono, non sono perché son caduto dal cielo, ma perché io faccio parte di un gruppo. E facendo parte di un gruppo ho determinati compiti. Non è che io sono messo qua al 501 per bellezza. Chi è Mario Lo Riggio? E’ nessuno, se io ho un’attività a Milano, ho l’attività a Catania, ho un’attività a Roma, non è così per caso. Faccio parte di un gruppo e io ho la mia funzione. Mario Lo Riggio da solo non è nessuno. Hai capito? Non è nessuno. È il gruppo che fa numero». Per il Tribunale di Vibo, dunque, dal tenore della conversazione, si comprende che quello dell’hotel 501 (precedente gestione) non è un caso isolato, ma lo “svolgimento di attività imprenditoriale da parte di Lo Riggio (” Milano, a Catania, a Roma”) è legato al suo “far parte di un gruppo”. Gli accertamenti degli investigatori, del resto, non si sono limitati a disvelare la “presenza occulta di Mario Lo Riggio all’interno della società e la sussistenza della duplice finalità di elusione delle misure di prevenzione e di riciclaggio, ma hanno fatto emergere – sottolinea la sentenza – la circostanza che l’imputato “era stato collocato” appositamente all’interno dell’hotel 501 dai membri apicali della consorteria, nell’interesse della quale era stato chiamato a svolgere una specifica funzione, che nel caso di specie si sostanziava, in primo luogo, nel recupero di un vecchio credito vantato dalla cosca Lo Bianco-Barba nei confronti della precedente gestione dell’hotel 501”.
Il ruolo di assoluto rilievo di Lo Riggio
Dalle corpose risultanze istruttorie, per il Tribunale emerge così “univocamente come Mario Lo Riggio sia organicamente inserito nella struttura dell’associazione, all’interno della quale svolge un ruolo di assoluto rilievo, fornendo alla stessa un contributo fondamentale nell’ambito – di vitale importanza per la consorteria – degli investimenti economici. Di tale ruolo – si legge in sentenza – l’imputato è pienamente e “fieramente” consapevole permettendo all’associazione mafiosa di infiltrarsi abilmente in attività economiche apparentemente lecite (nella specie imprenditoriali), con l’immissione in queste ultime di ingenti somme di denaro di provenienza illecita. Particolarmente emblematiche di questo “nuovo volto” della ‘ndrangheta – ricordano i giudici in sentenza – sono le parole pronunciate dallo stesso Saverio Razionale, capo del locale di San Gregorio d’Ippona: «Ma tu lo capisci che ci dobbiamo mettere giacca e cravatta senza lavorare. Noi dobbiamo essere persone di gente finanziaria, cose…banche…».
Provate le dichiarazioni dei collaboratori
Per il Tribunale, dunque, Mario Lo Riggio risulta “organicamente inserito all’interno della struttura associativa” (clan Lo Bianco di Vibo e Gasparro-Fiarè-Razionale di San Gregorio d’Ippona) nell’interesse “della quale agisce mettendo, in particolare, a disposizione la propria attività economico-imprenditoriale. Sono emersi numerosissimi elementi a carico di Lo Riggio Mario che – ricorda il Tribunale – hanno confermato l’ipotesi accusatoria. Su Mario Lo Riggio hanno poi riferito diversi collaboratori di giustizia, tra cui Mantella Andrea, Moscato Raffaele e Arena Bartolomeo che hanno reso dichiarazioni pienamente convergenti”. Secondo Andrea Mantella – ed i giudici ritengono provate le due dichiarazioni – Mario Lo Riggio è un imprenditore, genero di don Saro Carbone, ed è stato sempre funzionale alla cosca Lo Bianco. È compare di Paolino Lo Bianco, con il quale ha un’amicizia storica”. Mario Lo Riggio, secondo quanto dichiarato dal collaboratore, si impegnava inoltre “personalmente con lo stesso Mantella per riscuotere un’estorsione dal distributore Esso Carburanti che si trovava di fronte la casa di Enzo Barba, vicino al carcere nuovo di Vibo Valentia: la vittima pagava a Lo Riggio che consegnava poi il denaro a Mantella personalmente. Analoga situazione per le estorsioni al supermercato Alvi: prendeva i soldi e li portava personalmente a Mantella”. Mario Lo Riggio sarebbe stato però funzionale anche al boss di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale e al nipote di quest’ultimo, Gregorio Gasparro. Secondo Mantella, lo stesso Lo Riggio era inoltre socio dell’autosalone Nissan di Vibo, contrada Madonnella, insieme a Paolino Lo Bianco (socio occulto e tale Russo Piscialogliu”. Per il Tribunale – che richiama sul punto le dichiarazioni di Mantella – Mario Lo Riggio avrebbe poi avuto “entrature” anche nelle forze dell’ordine informando il futuro collaboratore di giustizia di un sequestro che sarebbe avvenuto ai suoi danni.
Il collaboratore Raffaele Moscato ha invece riferito di essersi recato da Mario Lo Riggio a Vibo Marina per chiedergli la somma di diecimila euro in quanto tali soldi “servivano a Rosario Battaglia di Piscopio”. Successivamente Lo Riggio avrebbe consegnato circa quattromila euro a Battaglia, ma in difesa dell’imprenditore sarebbe intervenuto “Gregorio Gasparro dicendo a Sarino Battaglia di lasciare stare Lo Riggio perché era un “amico loro” (quindi era “sotto di loro”) e peraltro aveva problemi con la moglie; e Sarino acconsentiva”.
Infine per il Tribunale sono provate anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena che ha definito Mario Lo Riggio come una “lavatrice”, sia dei Lo Bianco che dei Gasparro: «In pratica è il loro colletto bianco di riferimento. Per come si diceva nel nostro gruppo quando parlavamo di lui io, Francesco Antonio Pardea, Domenico Macrì e Salvatore Morelli. Lui diciamo era una sorta di “lavatrice” sia dei Lo Bianco che dei Gasparro».
LEGGI ANCHE: Rinascita Scott: il dipendente di Equitalia sodale del boss Mancuso e l’elicottero “regalato” agli sposi di Nicotera
- Tags
- mario lo riggio