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Processo sul traffico dei reperti archeologici a Vibo, si valuta la prescrizione

L’inchiesta “Purgatorio 3” dei carabinieri del Ros di Catanzaro rischia di finire nel nulla a dieci anni dai fatti. Fra gli imputati anche lo studioso dei Bronzi di Riace Giuseppe Braghò

Processo sul traffico dei reperti archeologici a Vibo, si valuta la prescrizione

Rischiano di finire in prescrizione le accuse mosse dalla Procura di Vibo Valentia nell’ambito dell’inchiesta denominata “Purgatorio 3” su una presunta associazione a delinquere finalizzata al traffico di reperti archeologici. E proprio per valutare la decorrenza dei termini di prescrizione dei reati – così come chiesto dalle difese degli imputati -, il Tribunale collegiale presieduto dal giudice Tiziana Macrì ha oggi rinviato l’udienza del procedimento. Se ne riparlerà l’11 dicembre prossimo ed in tale data si conoscerà la sorte del processo in relazione alle singole contestazioni e per capire anche se alcuni imputati rinunceranno eventualmente alla prescrizione (cosa molto improbabile) per avere una sentenza nel merito. Alcuni reati-fine sono di fatto già prescritti, ma potrebbe esserlo anche il reato associativo. [Continua dopo la pubblicità]

Sotto processo si trovano: Giuseppe Tavella, 57 anni, di Vibo Valentia (difeso dall’avvocato Giuseppe Pasquino); Giuseppe Braghò, 71 anni, di Vibo Valentia (avvocato Francesco Sabatino); Pietro Proto, 55 anni, di San Nicolò di Ricadi (avvocati Mario Santambrogio e Francesco Capria); Alberto Di Bella, 47 anni, di Vibo Valentia (avvocato Santo Cortese); Francesco Agnini, 63 anni, di Vibo Valentia (avvocato Sandro Franzè); Francesco Staropoli, 59 anni, di Nicotera, commerciante di auto a Vibo (avvocati Ignazio Di Renzo e Nazzareno Latassa); Carmelo Pardea, 49 anni, di Vibo Valentia (avvocato Francesco Sabatino); Rosario Pardea, 57 anni, di Vibo Valentia (avvocati Dorotea Rubino e Santo Cortese). Nullità del decreto che dispone il giudizio è stata invece sollevata dall’avvocato Michelangelo Miceli per Orazio Cicerone, 45 anni, di Nicotera, non essendo stata notificata né all’indagato, né al difensore, la fissazione a suo tempo dell’udienza preliminare. In precedenza era stata invece stralciata per difetti di notifica la posizione di Luigi Fabiano, 49 anni, cittadino svizzero residente a Thun (avvocato Wanda Bitonte). 

foto di repertorio

L’accusa. Associazione a delinquere finalizzata al traffico di reperti archeologici la contestazione mossa dalla Procura di Vibo Valentia, che mira così a far luce sulle attività di alcuni presunti “tombaroli”. Il reato associativo fa riferimento alla realizzazione di un cunicolo in via De Gasperi a Vibo Valentia – in zona sottoposta a vincolo archeologico – nei pressi dell’area dedicata un tempo alla ninfa Scrimbia, finalizzato a condurre scavi non autorizzati per sottrarre, trafugare e commercializzare i numerosi reperti archeologici di età compresa fra il quarto e sesto secolo A.C.. Al vertice della presunta associazione, la pubblica accusa – originariamente rappresentata dalla Dda di Catanzaro – collocava il boss della ‘ndrangheta di Limbadi Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”, deceduto in carcere nell’ottobre 2015). Il gip – e successivamente il Tdl – non ha ravvisato però alcuna aggravante mafiosa nelle contestazioni, rigettando le misure cautelari per come proposte dalla Dda di Catanzaro sulla scorta delle indagini del Ros di Catanzaro. 

il defunto boss Pantaleone Mancuso

Giuseppe Tavella è accusato di essere stato il coordinatore e il finanziatore della presunta associazione, mentre altri presunti finanziatori del sodalizio vengono indicati in Francesco Staropoli e Pietro Proto, con Giuseppe Braghò che viene invece ritenuto il presunto “anello di congiunzione” per la vendita e l’esportazione di reperti illecitamente trafugati. Agli scavi abusivi avrebbero poi provveduto, secondo l’accusa, i fratelli Rosario e Carmelo Pardea, mentre Alberto Di Bella viene indicato come l’affittuario dell’immobile di via Alcide De Gasperi a Vibo sotto il quale era stato realizzato il tunnel abusivo per trafugare i reperti archeologici. Luigi Fabiano, ritenuto vicino a Braghò e Proto, si sarebbe infine occupato della commercializzazione dei reperti in Svizzera. Tali ultimi tre indagati si sarebbero anche impossessati – secondo la ricostruzione del Ros – di un capitello bizantino sottratto nel 2011 dal sito archeologico dell’Abbazia della Trinità di Mileto e trasportato per la vendita in Svizzera. 

Altra contestazione. Escluso Fabiano, a tutti gli altri imputati viene contestato anche il reato di danneggiamento per la realizzazione nel 2010 del cunicolo sotterraneo fra via Scrimbia e via De Gasperi, al confine con i giardini dell’hotel “Vecchia Vibo”, per una lunghezza di 50 metri. Per una parte dei reperti qui rinvenuti, gli stessi imputati sono accusati di averne provocato la rottura. Secondo l’accusa, l’associazione avrebbe trafugato dall’antica stipe votiva di Scrimbia alcune statue e reperti fittili di ingente valore. Delle somme di denaro avrebbe beneficiato pure il defunto boss Pantaleone Mancuso. A causa di contrasti interni all’associazione, nei confronti di Braghò (studioso dei Bronzi di Riace) sarebbe stata infine ipotizzata – ad avviso della Procura – pure una grave ritorsione.

Le contestazioni risalgono al 2009-2010, ma l’inchiesta è scattata solo nel 2015. Fra incompetenze per materia e trasferimento degli atti dalla Dda di Catanzaro alla Procura di Vibo, il risultato è che l’intero procedimento penale potrebbe essere chiuso con la prescrizione ben prima di essere aperto. Ennesimo caso di “mala-giustizia” a più livelli che annulla di fatto il lavoro degli investigatori.

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