Lo strapotere di Ascone «soldato» dei Mancuso dove è scomparsa Maria Chindamo: «Ne ho fatto di cose là sotto»
La Dda di Catanzaro tratteggia la figura dell’uomo accusato dell’omicidio dell'imprenditrice a Limbadi. Le intercettazioni agli atti: «Dove è sparita quella femmina ha recintato tutto». L’estorsione da 10mila euro per la compravendita di un fondo
Salvatore Ascone, 58 anni, detto Turi, o U Punnularu, era intraneo alla cosca Mancuso, in particolare al ramo Mbrogghja – del quale si considerava un «soldato» – e godeva di un certo potere in località Montalto di Limbadi dove riteneva di avere il potere di dare il proprio assenso a qualunque trattativa sui terreni di quella zona. È questa la tesi che la Dda di Catanzaro porta anche davanti alla Corte d’Assise dove Ascone deve rispondere dell’omicidio dell’imprenditrice di Laureana di Borrello, Maria Chindamo, fatta sparire a 44 anni, il 6 maggio 2016, proprio davanti alla sua tenuta di località Montalto. Un terreno, quello dell’imprenditrice, che si trova proprio difronte alle proprietà di Ascone le cui telecamere avevano funzionato fino alla sera precedente fino alle 23 poi non funzioneranno più. Non una casualità ma una vera e propria manomissione, sostiene la Distrettuale antimafia.
Vendetta e avidità
Un omicidio, quello di Maria Chindamo, maturato, dice l’accusa, per vendetta e per avidità. La vendetta l’avrebbe cercata l’ex suocero della vittima, Vincenzo Punturiero (deceduto), per vendicare il suicidio del figlio, Ferdinando Punturiero, avvenuto l’otto maggio 2015, che l’uomo imputava alla separazione dalla Chindamo la quale aveva poi reso pubblica, due giorni prima di morire, una nuova relazione sentimentale.
L’avidità è da ricondursi a coloro che hanno concorso nell’agguato mortale, compreso Ascone, che sarebbe stato aiutato dal figlio, allora minorenne, e da altri ancora ignoti. Il disegno era quello di acquisire i terreni della Chindamo nel proprio interesse e in qualità di referente di Diego Mancuso, 71 anni, detto “Mazzola”, terzo dei sette figli del ramo Mbrogghja.
«Gli ho fatto sempre il soldato»
Il 21 giugno 2018 Salvatore Ascone è adirato e deluso. Lo rivela – racconta il capitano Alessandro Bui nel corso dell’udienza davanti alla Corte d’Assise – un’intercettazione tra Ascone, la moglie e il figlio Rocco. L’uomo lamenta il fatto di avere avuto un’invasione sui terreni, in un periodo di assenza, da parte di tale La Gamba che si sarebbe presentato in compagnia del figlio di Francesco Mancuso, alias Tabacco, fratello di Diego Mancuso.
E proprio coi Mancuso, che avrebbero permesso questo sgarbo, è adirato Ascone, spiega Bui.
«Gli ho fatto sempre il soldato, ho dormito là sotto», dice, intendendo con “là sotto” Limbadi, ovvero, come spiega l’ufficiale, «il centro di potere della cosca» e con “soldato” la «funzione specifica all’interno dell’associazione criminale».
«Ne ho fatte di cose là sotto», afferma Ascone.
«Là sotto dove è scomparsa quella femmina ha recintato tutto fino a Limbadi»
A raccontare il potere di Ascone sui terreni di località Montalto – viene fuori durante l’udienza – sono stati anche dialoghi tra terze parti intercettate in conciliaboli tra loro.
È il caso di un incontro tra Michele Galati, a capo della ‘ndrina di Paravati, Angelo Bartone, ritenuto appartenente alla medesima ‘ndrina, e Giuseppe Antonio Accorinti, capo locale di Zungri.
Il gruppo, il 16 marzo 2018, si trova a parlare di Turi che deve dei soldi a Galati, e si commenta il fatto che Ascone sta comprando altri terreni «là dove ci sono le terre di Mazzola… là sotto dove è scomparsa quella femmina ha recintato tutto fino a Limbadi… Adesso ha recintato tutte le terre di Mazzola (Diego Mancuso, ndr)».
Ascone raccontato dai collaboratori di giustizia
A parlare di Ascone, riferisce il capitano Alessandro Bui rispondendo alle domande del pm Annamaria Frustaci, sono diversi collaboratori. Da Andrea Mantella, che riferisce dello stretto legame tra l’imputato e Diego Mancuso, al capo della provincia criminale della Lombardia, Antonino Belnome che racconta della rilevanza di Ascone nel narcotraffico, del legame con ramo Mbrogghja dei Mancuso e dei rapporti che lo stesso Belnome aveva coltivato con Ascone. Il collaboratore, originario di Guardavalle, era solito chiamare Salvatore Ascone “mangiasuni” per via del fatto che, in seguito a un intervento chirurgico, si grattava sempre la pancia perché gli avevano lasciato una garza dentro. Un problema sanitario per il quale si era prodigato Belnome.
Della specializzazione criminale di Ascone nel narcotraffico ne parla anche il collaboratore Vincenzo Albanese, cresciuto in seno alla cosca Bellocco di Rosarno ed ex genero di Rocco Bellocco.
Il rapporto stretto con Emanuele Mancuso e l’estorsione per un terreno
Ma il rapporto più stretto Ascone lo aveva con Emanuele Mancuso, oggi collaboratore di giustizia, figlio di Pantaleone Mancuso, alias L’ingegnere, quinto dei sette fratelli del ramo Mbrogghja.
Emanuele Mancuso oggi parla di U Pinnularu, del traffico di stupefacenti, del recupero crediti e anche di estorsioni. Una di queste riguarda proprio la compravendita di un terreno in località Montalto. Questa estorsione viene contestata a “Turi” nel processo Maestrale e riguarda la richiesta di 10mila fatta a un uomo che aveva comprato da altra persona un terreno in località Montalto. Una richiesta basata, spiega il capitano Bui, sul fatto che Ascone si riteneva in diritto di dare il nulla osta per ogni compravendita in quella località Montalto.
- Tags
- maria chindamo