Rinascita Scott: il medico-dentista di Limbadi al servizio del clan Mancuso nella sentenza dei giudici
Gli incontri riservati, il ruolo di autista al boss Luigi Mancuso, i pranzi con Pittelli, i favori ai De Stefano e i tentativi di “aggiustare” le dichiarazioni del pentito Furfaro
Poteva contare anche sull’apporto di un medico-dentista, il clan Mancuso di Limbadi ed in particolare l’articolazione della cosca facente capo al boss Luigi Mancuso ed ai suoi più stretti sodali. Ne è convinto il Tribunale collegiale di Vibo Valentia che ha infatti condannato a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa Agostino Redi, 62 anni, di Limbadi, al termine del maxiprocesso Rinascita Scott. Nei suoi confronti la Dda di Catanzaro aveva chiesto 16 anni di reclusione. Agostino Redi era accusato del reato di associazione mafiosa ed in particolare di aver sfruttato la sua veste di professionista (dentista) per aiutare il boss di Limbadi Luigi Mancuso a muoversi sul territorio, accompagnandolo personalmente, quando necessario, con la propria autovettura, così da garantirgli un sostanziale anonimato, rendendo più complesse e difficoltose le indagini della polizia giudiziaria. Agostino Redi avrebbe altresì veicolato messaggi ed imbasciate nei confronti degli accoliti e della consorteria (in generale) e di Luigi Mancuso (nello specifico).
La penale responsabilità dell’imputato
Per il Tribunale di Vibo presieduto dal giudice Brigida Cavasino, con a latere i giudici Claudia Caputo e Germana Radice, la «compenetrazione organica di Agostino Redi con il sodalizio è innegabile e le dichiarazioni di Emanuele Mancuso sono assolutamente attendibili sia per la precisione e la chiarezza dei fatti narrati, essendo stati appresi per sua diretta conoscenza dall’ambiente familiare e criminale da lui frequentato, ma anche per i poderosi riscontri derivanti dalle intercettazioni, dalle riprese video e dai servizi di osservazione. L’assiduità dei rapporti che Redi aveva con Mancuso Luigi, anche nella fase in cui lo stesso si rendeva irreperibile e in cui solo pochi e fidati uomini potevano avvicinarsi al capo, non può esaurirsi come invocato dalla difesa, nell’ esercizio della professione di sanitario da parte del Redi. Gli accessi del medico presso l’abitazione della famiglia Mancuso – fa notare al riguardo il Tribunale – erano pressocché quotidiani e in alcune circostanze il professionista si recava più volte al giorno presso l’abitazione del capo mafia e gli faceva da autista: circostanze, queste, che non possono essere giustificate da ragioni sanitarie, ad ogni modo non documentate. Redi, al contrario, mostrava una totale dedizione per il capo Luigi Mancuso, prestandosi ad assumere il ruolo di autista, sfruttando la copertura che gli derivava dal suo stato di incensuratezza e di persona apparentemente insospettabile per fornire un pieno sostegno al capo, nella consapevolezza dello spessore criminale dello stesso – di cui evitava anche di pronunciare il nome per timore di essere intercettato -, consentendo al Mancuso di svolgere indisturbato il suo ruolo di vertice anche in un momento in cui lo stesso era irreperibile e necessitava di un’ampia rete di fiancheggiatori per continuare a comandare».
L’ammissione di Agostino Redi riunioni e incontri “riservati”, ad avviso dei giudici «postula da sola l’appartenenza dell’imputato al sodalizio». Sono stati inoltre evidenziati i rapporti che l’imputato aveva con altri sodali o comunque con soggetti che gravitavano intorno all’universo Mancuso: Molino Gaetano e Mancuso Silvana, Gallone Pasquale, La Malfa Emanuele, Campennì Giovanni con il quale stava addirittura pensando di rilevare una struttura da destinare a centro per l’accoglienza dei migranti, vicenda che esula del tutto rispetto all’attività lavorativa del Redi, medico odontoiatra e con specializzazione anche in medicina del lavoro”. Per il Tribunale si tratta di elementi che depongono per una «assoluta messa a disposizione dell’imputato nei confronti di Luigi Mancuso e della consorteria da questi diretta», con un contributo dinamico-funzionale di Redi per il quale «può dirsi dimostrata una vera e propria compenetrazione organica con il sodalizio, e dunque la sua messa a disposizione».
Il tentativo di corrompere il pentito Furfaro
Ad avviso del Tribunale – ed a riscontro delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso – vi è poi un altro episodio che per i giudici è sintomatico della “messa a disposizione” del dentista Agostino Redi nei confronti del clan Mancuso. «Emanuele Mancuso ha raccontato che Redi, sfruttando la sua conoscenza con la sorella del collaboratore di giustizia Arcangelo Furfaro di Gioia Tauro, avrebbe interceduto affinché il Furfaro, dietro corresponsione di denaro da parte della famiglia Mancuso, ritrattasse le accuse rivolte al padre e al fratello di Emanuele». Sul punto, gli esiti delle attività tecnica avrebbero consentito di «dimostrare l’esistenza di stretti e assidui rapporti tra il Redi e Furfaro Ivana, sorella del collaboratore Furfaro Arcangelo il quale, come dichiarato da Emanuele Mancuso, aveva in effetti riferito delle circostanze sul fratello e sul padre di Emanuele Mancuso, nonché su Domenic Signoretta, in ordine ad alcune vicende omicidiarie». Agostino Redi, dunque, avrebbe partecipato ad incontri riservati di ‘ndrangheta alla presenza di Luigi Mancuso, e il fatto stesso che il professionista venisse ammesso a partecipare a queste riunioni, al cospetto del capomafia e di pochi fedelissimi, per i giudici «sono la prova del ruolo fiduciario che veniva riconosciuto al medico».
Il pranzo con Pittelli, Mancuso e Gallone
In tale contesto, in data 19 marzo 2016 Agostino Redi veniva così invitato ad un pranzo che si teneva a casa di Pasquale Gallone di Nicotera (indicato come il braccio-destro di Luigi Mancuso) e a cui prendevano parte «il padrone di casa, Luigi Mancuso, l’avvocato Giancarlo Pittelli e Giovanni Giamborino. Questo incontro, organizzato nei minimi dettagli, veniva ricostruito sulla base delle attività di intercettazioni in quel momento in atto su Gallone Pasquale e su Giamborino Giovanni, nonché dalle immagini registrate dalle telecamere che riprendevano l’accesso all’abitazione del Gallone e che consentivano di identificare l’arrivo dei commensali». Nella data indicata veniva attuato anche un servizio dinamico di osservazione e controllo da personale del Ros di Catanzaro che pedinava alcuni dei partecipanti all’incontro e monitorava tutti gli spostamenti.
Il favore ai De Stefano
Anche il 19 giugno 2016 Luigi Mancuso si trovava a casa del Gallone presso la quale si teneva l’ennesima riunione, «alla presenza – si ricostruisce in sentenza – di Redi Agostino, Gallone Pasquale, Gallone Francesco, l’avvocato Pittelli, Giovanni Giamborino e Giuseppe Cosentino (defunto presidente del Catanzaro Calcio), tutti convocati proprio da Luigi Mancuso». Si comprenderà poi dalle attività di indagine che l’incontro era stato voluto dal boss di Limbadi per soddisfare una richiesta proveniente dal boss di Reggio Calabria Orazio De Stefano – attraverso il suo referente Lorenzo Polimeno – di individuare qualcuno che «potesse favorire il trasferimento in Calabria – spiega la sentenza – di tale Francesco Cutrupi, direttore di Poste Italiane che in quel periodo lavorava a Roma».
Redi e il centro per migranti
Un altro degli incontri nel corso dei quali i carabinieri del Ros hanno censito la presenza di Redi è quello del 12 aprile 2017 tenutosi sempre presso l’abitazione di Pasquale Gallone, a Nicotera, incontro documentato da un servizio speciale di osservazione che, riprendendo le vie di accesso all’abitazione di Gallone, ha consentito di inquadrare e di monitorare le macchine che ivi accedevano. Il ruolo attivo di Agostino Redi “all’interno della consorteria è stato poi ricostruito anche dal coinvolgimento dello stesso nel reperimento di una struttura ubicata a Limbadi, “Villa Cafaro”, affinché la stessa potesse essere adibita a centro per ricovero dei migranti, residenza peraltro costruita anni prima da Angelo Restuccia e in quel periodo gestita dall’Ordine Religioso “Ancelle del Buon Pastore”.
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