L’omicidio di Davide Fortuna a Vibo Marina, la Dda: «Doveva morire davanti ai figli come Palumbo»
I retroscena del piano di morte, la pistola usata dal killer rubata ad un poliziotto, il doppio movente del fatto di sangue per vendicare la soppressione dell’uomo di Pantaleone Mancuso su Vibo Marina e l’eliminazione di Fortunato Patania di Stefanaconi. I singoli ruoli e il cerotto sulla spalla utilizzato per individuare la vittima sulla spiaggia del Pennello


Doveva morire ed essere eliminato con le stesse modalità esecutive con le quali era stato ucciso nel 2010 Michele Palumbo, ritenuto l’uomo del boss Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, su Vibo Marina. Stesse modalità esecutive che prevedevano la soppressione a colpi di pistola dinanzi ai familiari. Il destino di Davide Fortuna – ritenuto elemento di spessore del clan dei Piscopisani – era segnato e a decretarne la morte, secondo la nuova inchiesta della Dda di Catanzaro, sarebbero stati, in concorso tra loro, Pantaleone Mancuso, 63 anni (Scarpuni), boss dell’omonimo clan di Limbadi e Nicotera, Francesco Alessandria, 54 anni, detto “Mustazzo”, di Sorianello, Giuseppe Comito, 49 anni, di Vibo Marina (alias “U Canna”, collaboratore di giustizia), Nicola Figliuzzi, 34 anni, di Sant’Angelo di Gerocarne (collaboratore di giustizia), e i fratelli Giuseppe Patania, 44 anni, Salvatore Patania, 46 anni, Saverio Patania, 48 anni, Nazzareno Patania, 51 anni, tutti di Stefanaconi.
L’omicidio Fortuna e il ruolo di Mancuso
Davide Fortuna è stato ucciso in spiaggia a Vibo Marina il 6 luglio del 2012 davanti alla moglie e altri familiari, colpito al viso ed al torace con diversi colpi di pistola calibro 9 parabellum. Per l’omicidio sono stati già condannati con sentenza definitiva (operazione “Gringia”) il killer macedone Vasvi Beluli (reo confesso dell’omicidio e colui che ha materialmente premuto il grilletto per uccidere la vittima designata), assoldato dal clan Patania, Sebastiano Malavenda di Reggio Calabria, e Salvatore Callea, 57 anni, di Oppido Mamertina (reclutatore dei killer). La nuova inchiesta della Dda di Catanzaro contesta quindi a Pantaleone Mancuso il ruolo di mandante del fatto di sangue, interessato all’eliminazione di Davide Fortuna in quanto quest’ultimo veniva ritenuto “un esponente di rilievo del gruppo dei Piscopisani, clanantagonista ai Mancuso ed intenzionato, unitamente ai Tripodi di Portosalvo, a porre fine al predominio dei Mancuso sull’area di Vibo Marina anche attraverso la commissione di delitti eclatanti, tra i quali l’omicidio di Michele Palumbo, soggetto – sostengono gli inquirenti – molto vicino a Pantaleone Mancuso e di cui quest’ultimo, attraverso la decretazione dell’eliminazione di Davide Fortuna con le medesime modalità esecutive utilizzate per Palumbo – uccisione a colpi di pistola dinanzi ai familiari – ha inteso altresì vendicare l’assassinio”. Michele Palumbo, assicuratore, è stato ucciso nella sua villetta della frazione Longobardi la sera dell’11 marzo 2010 dinanzi alle figlie.
I Patania intenzionati a vendicare il padre
Il ruolo di mandanti del fatto di sangue viene attribuito anche ai fratelli Giuseppe, Salvatore, Saverio e Nazzareno Patania di Stefanaconi – alleati del boss Pantaleone Mancuso – ed a loro volta intenzionati a vendicare l’omicidio del padre Fortunato Patania, ucciso nella sua Stazione di carburanti nella Valle del Mesima nel settembre 2011. I Patania ritenevano Davide Fortuna coinvolto nell’omicidio del padre con il ruolo di “specchietto” in ausilio a Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo e Raffaele Moscato, gli ultimi tre già condannati in via definitiva per l’omicidio di Fortunato (Nato) Patania. Sarebbero stati i fratelli Patania, secondo l’accusa, ad individuare i killer deputati all’esecuzione materiale dell’omicidio di Davide Fortuna, conferendo agli stessi un compenso di cinquemila euro. I Patania sono altresì accusati di aver coordinato e coadiuvato Francesco Alessandria e Giuseppe Comito (soggetti ritenuti molto vicini al boss Pantaleone Mancuso e ai Patania) nelle attività prodromiche alla commissione dell’azione omicidiaria quali l’individuazione del luogo più congeniale all’eliminazione della vittima (la spiaggia di località Pennello ove si recava unitamente alla sua famiglia), il reperimento delle armi e del motoveicolo da utilizzare per la commissione dell’omicidio e la loro collocazione sul luogo dell’agguato.
Fortuna individuato per il cerotto sulla spalla
Francesco Alessandria e Giuseppe Comito avrebbero altresì offerto ospitalità ai killer e studiato gli spostamenti della vittima. Le armi per compiere l’agguato contro Davide Fortuna sarebbero state sistemate in un chiosco vicino la spiaggia di proprietà di Giuseppe Comito così come il ciclomotore. Armi e ciclomotore ricevuti in precedenza da Nicola Figliuzzi e Nazzareno Patania per la commissione del delitto. Sarebbero stati quindi Francesco Alessandria e Giuseppe Comito, non appena avuta certezza della presenza in spiaggia di Davide Fortuna, a darne comunicazione ai killer, fornendo agli stessi “un particolare utile ad indentificare la vittima tra i numerosi bagnanti presenti in quel momento in spiaggia, indicato per ”quello con il cerotto grosso sulla spalla’: soggetto poi effettivamente raggiunto e freddato sul posto da Vasvi Beluli tra le urla dei familiari presenti”. L’omicidio di Davide Fortuna (cl ’81, cugino di Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo) è aggravato dalle finalità mafiose.
L’arma per l’omicidio rubata ad un poliziotto
Per Alessandria, Mancuso, Figliuzzi, Comito e i fratelli Patania anche l’accusa di concorso in detenzione illegale e porto in luogo pubblico delle pistole usate per l’omicidio di Davide Fortuna, armi poi rinvenute parzialmente bruciate in altra località. Una pistola (357 magnum) presentava la matricola abrasa, mentre la Beretta semiautomatica calibro 9×19 è il provento di un furto commesso il 3 gennaio 2009 ai danni di un assistente della Polizia di Stato in servizio all’epoca alla Questura di Alessandria. Per Francesco Alessandria, Giuseppe Comito, Nicola Figliuzzi, Pantaleone Mancuso e i fratelli Giuseppe, Salvatore, Saverio e Nazzareno Patania, quindi, anche l’accusa di ricettazione dell’arma da fuoco. Delitto anche in questo aggravato dalle finalità mafiose.
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