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Rinascita Scott-Assocompari: pure i sultani dell’Oman parti civili nel processo a Vibo

I sultani dell’Oman che sarebbero rimasti vittime di una truffa da due milioni di euro da parte del clan Bonavota di Sant’Onofrio. I giudici respingono le eccezioni sollevate dai difensori degli imputati ed ammettono tutte le parti civili

Rinascita Scott-Assocompari: pure i sultani dell’Oman parti civili nel processo a Vibo

Il Tribunale collegiale di Vibo Valentia ha sciolto le riserve su diverse eccezioni preliminari sollevate dai difensori degli imputati nel processo nato dall’operazione della Dda di Catanzaro denominata “Rinascita Scott 3-Assocompari”. La prima eccezione era stata sollevata dall’avvocato Vincenzo Gennaro, difensore dell’imputato Gaetano Loschiavo. In particolare il legale aveva eccepito la tardività della querela dei sultani dell’Oman, ammesse invece parti civili con l’avvocato Massimiliano De Benetti del foro di Padova ma con studio a Roma, difensore anche del Comune di Pizzo (parte civile) nello stesso processo. Ad avviso del legale – che aveva presentato l’eccezione al Tribunale (presidente Barbara Borrelli, giudici a latere Laerte Conti e Luca Bertola) – la querela dei sultani era stata presentata successivamente al marzo 2023, ultima data utile per proporre querele per i reati non più perseguibili d’ufficio dopo la riforma Cartabia. Di diverso avviso il Collegio giudicante che ha invece ammesso quali parti civili i sultani dell’Oman che già in sede di udienza preliminare avevano chiesto un risarcimento per un danno da un milione di euro contro tutti gli imputati coinvolti nella vicenda che li vede parti offese. Senza la querela delle parti offese, la Dda di Catanzaro non avrebbe potuto procedere per il capo di imputazione che mira a far luce su una truffa aggravata di due milioni di euro che la ‘ndrangheta ha realizzato anche ai danni all’ex ministro dell’Oman.

Le altre eccezioni erano state sollevate dai difensori degli imputati – Andrea Alvaro, Michelangelo Miceli, Leopoldo Marchese, Nazzareno Latassa, Giosuè Monardo, Artusa, Diego Brancia – che avevano invece puntato all’esclusione delle parti civili dal processo sul presupposto di un recente orientamento della Cassazione a Sezioni Unite. Una pronuncia della Suprema Corte risalente al 21 settembre 2023 secondo la quale non può più bastare – a fronte della nuova disciplina – “il mero richiamo al capo d’imputazione descrittivo del fatto, anche quando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risulti con immediatezza. Ai fini dell’ammissibilità della costituzione non sarà più sufficiente fare riferimento all’avvenuta commissione di un reato, bensì sarà necessario richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa. Principi che il Tribunale ritiene siano stati rispettati nelle richieste di costituzione di parte civili avanzate da: Presidenza del Consiglio dei ministri, Antiracket, Regione Calabria, Provincia di Vibo Valentia, Comune di Vibo Valentia, Comune di Pizzo e Comune di Sant’Onofrio (avvocati Matteo Timperi, Paolo Del Giudice, Maria Rosa Pisani, Maria Antonietta La Monica, Massimiliano De Benetti, Orsola Pronestì). Parte civile anche “Stella del Sud srl” (pontile Vibo Marina) con l’avvocato Marianna Zampogna. La Dda rappresentata in aula dal pm Annamaria Frustaci aveva chiesto il rigetto delle eccezioni sollevate dai difensori. Aperto quindi il dibattimento, accusa e difesa hanno potuto formulare al Tribunale le proprie richieste di prova. Il processo è stato quindi aggiornato al 15 maggio prossimo quando si procederà al conferimento dell’incarico ad un perito per la trascrizione del materiale intercettivo e per sentire in aula il tenente colonello Lardo, primo teste dell’accusa.  

Danilo Fiumara

Sotto processo si trovano i seguenti imputati: Basilio Caparrotta, 62 anni di Sant’Onofrio; Saverio Boragina, 71 anni, di Francavilla Angitola; Giovanni Barone, 54 anni, di Roma; Loris Junior Aracri, 33 anni, di Pizzo; Raffaele Arone, 48 anni, nativo di Carmagnola, residente a Sommariva del Bosco (Cn); Basilio Caparrotta, 52 anni, di Sant’Onofrio; Gerardo Caparrotta, 54 anni, di Sant’Onofrio; Francesco Caridà, 55 anni, di Pizzo; Gianluigi Cecchi, 51 anni di Milano; Domenico Cichello, 43 anni, nativo di Vibo Valentia, ma residente a Varedo (MB); Anna Maria Durante, 48 anni, di Vibo Valentia, ma residente a Milano; Danilo Fiumara, 54 anni, di Francavilla Angitola; Luigi Fortuna, alias “Mastro Gino”, 57 anni, di Ionadi; Gaetano Loschiavo, 35 anni, di Sant’Onofrio; Francesco Santaguida, 45 anni, di Sant’Onofrio, residente a Torino; Antonella Silvia Serrao, 59 anni, nata a Francavilla Angitola, residente a Pizzo; Fabrizio Solimeno, 33 anni, di Torino; Marilena Ventrice, 34 anni, nativa di Soriano Calabro; Michele Vitale, 44 anni, di Chieri, residente ad Andezeno; Sona Vesholli, 30 anni, albanese, residente a Torino.  

L’inchiesta

L’operazione, scattata nel gennaio 2023, costituisce la prosecuzione dell’indagine Rinascita Scott eseguita il 19 dicembre 2019 dai carabinieri.   Fra i coinvolti nell’operazione, Basilio Caparrotta, 62 anni, di Sant’Onofrio (già nell’operazione Columbus contro il narcotraffico internazionale) e Gerardo Caparrotta, 54 anni, di Sant’Onofrio (già condannato a 4 anni in primo grado nell’operazione Petrol Mafie). L’indagine – corroborata da intercettazioni e da diversi collaboratori di giustizia – avrebbe documentato l’appartenenza al clan di Sant’Onofrio di quattro soggetti uno dei quali, per agevolare le attività di riciclaggio in favore della cosca, avrebbe costituito una serie di società di diritto italiano, ungherese e cipriota, fittiziamente intestate a terzi soggetti. Sono state anche ricostruite le dinamiche sottese ad una truffa, consumata nel 2017, ai danni di investitori omaniti che avevano versato la somma di un milione di euro dietro la promessa di ottenere il 30% delle quote di una società cui era riconducibile un compendio immobiliare a Budapest; è stato poi eseguito un sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni e società per un valore di circa tre milioni di euro.
L’indagine – sviluppata in un articolato contesto di cooperazione internazionale di polizia giudiziaria con autorità ungheresi, cipriote, francesi, danesi e britanniche e il coordinamento di Eurojust – si è avvalsa anche della collaborazione dell’Unità di informazione finanziaria (UIF) della Banca d’Italia.

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