‘Ndrangheta: l’asse tra le Preserre e Mileto per uccidere a Soriano Domenico Zannino
Inchiesta Maestrale: le rivelazioni inedite del collaboratore Walter Loielo che svela tre tentati omicidi nell’ambito dello scontro tra il proprio clan e quello degli Emanuele. Le armi per gli agguati, le auto rubate, i walkie talkie e i legami parentali “scomodi”
Apre scenari del tutto inediti anche sul fronte – sempre caldo – delle Preserre vibonesi, l’operazione Maestrale-Carthago della Dda di Catanzaro. La discovery degli atti dell’imponente inchiesta antimafia – giunta a dibattimento con rito ordinario dinanzi al Tribunale di Vibo (188 gli imputati) e alle richieste di pena nel troncone dell’abbreviato – svela infatti i legami tra alcuni imputati di Mileto e soggetti attivi a Soriano e Gerocarne già noti alle cronache. E’ in particolare il collaboratore di giustizia Walter Loielo di Ariola di Gerocarne, in un interrogatorio del 6 marzo 2023 reso dinanzi al pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, e ai carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia, a svelare gli scambi di “favori” sull’asse Mileto-Soriano. A farne le spese Domenico Zannino, 35 anni, di Sorianello, il quale doveva cadere sotto i colpi di potenti armi da fuoco.
I legami tra Mileto, Soriano e Gerocarne
Contro Domenico Zannino – già avvisato orale di pubblica sicurezza e con precedenti di polizia per violazione della normativa sulle armi, favoreggiamento personale, ricettazione e altro, ritenuto vicino al clan Emanuele – sono tre i progetti di morte di cui parla il collaboratore Walter Loielo. Racconti del tutto inediti quanto importanti, tanto da finire pure nel corposo provvedimento di fermo relativo all’operazione Maestrale-Carthago. Scrive al riguardo la Dda di Catanzaro con l’allora procuratore Nicola Gratteri ed i pm Annamaria Frustaci, Antonio De Bernardo e Andrea Buzzelli: “Emergono le dichiarazioni di Walter Loielo circa Rocco Tavella ed il rapporto di quest’ultimo con Rinaldo Loielo. Nello specifico emerge la rilevanza criminale su San Giovanni di Mileto delle famiglie Tavella e Prostamo, e del reciproco supporto nella commissione degli omicidi tra i Loielo e Rocco Tavella. Proprio quest’ultimo – per come dichiarato dal collaboratore – partecipava a numerosi agguati nei confronti di appartenenti alla struttura criminale degli Emanuele, in quel periodo in faida con i Loielo. Ulteriormente Rocco Tavella, nella piena logica di scambio, aveva richiesto a Rinaldo Loielo un omicidio per vendicare lo zio Giuseppe Prostamo. Oltre a ciò, il collaboratore riporta del mandato fatto da Rinaldo Loielo a Rocco Tavella per l’eliminazione di Gaetano Zupo”, residente a San Giovanni di Mileto (fratello di Antonino Zupo, ucciso il 22 settembre 2012 a Gerocarne mentre si trovava agli arresti domiciliari e ritenuto elemento di spicco del clan Emanuele). Rocco Tavella, 40 anni, è attualmente tra gli imputati del processo Maestrale-Carthago in corso a Vibo e nei suoi confronti (così come del padre Fortunato e del fratello Benito) l’accusa è quella di associazione mafiosa (‘ndrina di San Giovanni di Mileto) occupandosi del traffico di droga e della detenzione di armi, “contribuendo alla realizzazione degli obiettivi da perseguire e delle azioni delittuose da compiere, mediante la consumazione di atti intimidatori e la partecipazione –si legge nel capo d’imputazione – ad azioni omicidiarie”. Da qui, pur senza una specifica contestazione per i programmati agguati contro Domenico Zannino, l’importanza sul punto delle dichiarazioni di Walter Loielo che entrano a pieno titolo a far parte dell’inchiesta Maestrale.
I falliti agguati contro Zannino
“Mi viene chiesto di approfondire le dichiarazioni già rese sulla zona di San Giovanni di Mileto. A quanto io ne sappia – ha dichiarato Walter Loielo agli inquirenti – in tale zona vi è il controllo delle famiglie Tavella e Prostamo che, se non erro, non vanno neanche d’accordo. Ho conosciuto Rocco Tavella la sera in cui stavamo organizzando l’omicidio di Domenico Zannino con Rinaldo Loielo e Filippo il cognato di Rinaldo”. In tale occasione Walter Loielo (cugino di Rinaldo Loielo) sarebbe stato portato sul posto da uno zio di Rinaldo “e – aggiunge il collaboratore – dopo essere andati a recuperare un AK47 e un fucile automatico che avevamo occultato in un pezzo di terra tra Sant’Angelo e Soriano, andammo al campo di calcetto ove ci raggiunsero Rocco Tavella e Rinaldo Loielo accompagnati da Filippo Pagano. Nello specifico ci organizzammo in modo da colpire Domenico Zannino, il quale si trovava nella piazza di Soriano, nel momento in cui sarebbe tornato a casa. Il punto prescelto per l’agguato era nella zona vicino al ponte situato sotto la caserma dei Carabinieri”. Walter Loielo aggiunge quindi che l’agguato contro Zannino non è stato portato a termine in quanto “c’era un posto di blocco dei carabinieri vicino l’ospedale di Soriano Calabro e abbiamo deciso di desistere. Eravamo io, Rocco Tavella e Rinaldo Loielo sotto la caserma di Soriano, perché doveva passare da lì Domenico Zannino con la sua macchina Audi e dei suoi spostamenti ci doveva avvertire Filippo Pagano tramite un walkie talkie; in questa occasione ci siamo fermati perché c’era il posto di blocco. Io e Rocco Tavella avremmo dovuto attendere il passaggio di Domenico Zannino e sparargli: lui con un fucile automatico ed io con un mitra. Ci siamo poi allontanati e bruciai io stesso – rivela Walter Loielo – la macchina, la Fiat Uno celestina, nei pressi dell’acquedotto di Sant’Angelo, prima di Ponte Gatto”.
Le armi nascoste a Sant’Angelo
“Era circa il 2013/2014, anche se mi sembra più probabile il 2013, in ogni caso il fatto è avvenuto circa un mese prima dell’arresto di mio cugino Rinaldo. Io – ha messo a verbale Walter Loielo – abitavo a Sant’Angelo di Gerocarne”. Uno zio di Rinaldo Loielo avrebbe quindi portato Walter Loielo in un terreno di Sant’Angelo di Gerocarne “dove ci sono le telecamere, più o meno nella zona dove abitano i Bellissimo – ha aggiunto il collaboratore – ed hanno degli animali”; Lo zio di Rinaldo avrebbe poi invitato Walter Loielo ad entrare in una stradina “dove c’erano le armi sotto il sentiero e più avanti c’era una Fiat Uno rubata. Mi ha detto di aspettare là che poi veniva Rinaldo. Quando Rinaldo è venuto era insieme a Rocco Tavella e a suo cognato Filippo Pagano. Siamo andati sotto alla caserma, vicino al campetto di Soriano e Filippo ci ha portato con la Fiat Uno”. Walter Loielo precisa poi che “prima dell’arresto di Rinaldo Loielo, lui si era procurato due macchine rubate: una Fiat Uno di colore bianco ed una Fiat Uno di colore celeste. C’era anche Filippo Pagano, il cognato di Rinaldo – ha specificato il collaboratore – in questo gruppo dei Loielo”.
Il secondo e terzo agguato contro Zannino
Scampato al primo agguato, Domenico Zannino sarebbe finito nel “mirino” altre due volte. E’ sempre Walter Loielo a raccontare gli inediti progetti di morte. “Un’altra volta siamo invece andati con una Fiat Uno vicino alla casa di Zannino: eravamo io, mio cugino Rinaldo e Rocco Tavella, ma la Fiat Uno aveva problemi di accensione, per cui abbiamo rimandato l’agguato per evitare di avere difficoltà ad allontanarci dopo la sparatoria, perché non potevamo rischiare di dover spingere la macchina che non partiva. Se non ricordo male, in quel periodo Rocco Tavella aveva la sorveglianza speciale. Inoltre c’è stato poi pure un terzo tentativo di uccidere Domenico Zannino al quale Rocco Tavella non ha partecipato e del quale ho già riferito – conclude Walter Loielo – nei precedenti interrogatori”. Esistono dunque altri interrogatori – al momento ancora non discoverati e quindi coperti da segreto investigativo – che meglio spiegherebbero anche il terzo tentativo di eliminare Domenico Zannino”.
Zannino e Walter Loielo
Domenico Zannino – estraneo all’inchiesta Maestrale-Cartagho – viene ritenuto dagli inquirenti un elemento di spessore nelle Preserre vibonesi, ma – è bene sottolinearlo – non è stato sinora mai condannato per reati di mafia. Ci eravamo occupati di lui in quanto indagato a piede libero (Dda di Catanzaro) per l’omicidio di Bruno Lazzaro, il giovane assassinato il 4 marzo del 2018 nel territorio comunale di Gerocarne. Lo stesso Domenico Zannino ha poi portato in spalla nell’aprile 2022 la statua della Madonna in occasione della processione di Pasqua a Soriano Calabro, con il “caso” sollevato dalla nostra testata (LEGGI QUI: Processione a Soriano, il legale: «Zannino non rinuncia alla fede, invoca la Madonna e la ringrazia»). Il nome di Domenico Zannino lo si ritrova tuttavia anche nella relazione che ha portato allo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’ultima amministrazione comunale di Soriano Calabro. Qui Domenico Zannino viene indicato come “stabilmente inserito nell’organizzazione criminale della Locale dell’Ariola, già destinatario di avviso orale di pubblica sicurezza, pregiudicato per essere stato tratto in arresto per detenzione di arma, poiché a seguito di perquisizione veicolare veniva rinvenuta una pistola calibro 9×21 con matricola abrasa, determinando – in tale occasione – la fuga di Gaetano Emanuele”. Sempre da tale relazione è poi emerso che Domenico Zannino ha anche partecipato al matrimonio – celebrato in Sicilia – della figlia dell’ex sindaco di Soriano, Vincenzo Bartone, la cui amministrazione è stata poi sciolta per infiltrazioni mafiose (scioglimento confermato anche dal Tar).
Il collaboratore Walter Loielo (anche lui estraneo alle imputazioni del processo Maestrale) il 4 marzo scorso è stato invece condannato a 20 anni di reclusione per l’omicidio e l’occultamento del cadavere del padre Antonino Loielo.
Rinaldo Loielo e Filippo Pagano
Anche Rinaldo Loielo e Filippo Pagano – chiamati in causa da Walter Loielo – in relazione ai tentati omicidi ai danni di Domenico Zannino non figurano tra gli indagati dell’inchiesta Maestrale e spetterà alla Dda di Catanzaro ed ai carabinieri trovare i riscontri al narrato del collaboratore Walter Loielo. Rinaldo Loielo è il figlio del boss Giuseppe Loielo, quest’ultimo assassinato all’età di 46 anni insieme al fratello Vincenzo, 44 anni, nella cosiddetta “strage di Ariola”. Il fatto di sangue risale all’aprile del 2002. Secondo la Cassazione, la strage è stata voluta dal clan di Bruno Emanuele (condannato all’ergastolo), aiutato nell’agguato dal boss di Cassano allo Ionio Tonino Forastefano, ora collaboratore di giustizia, e da Vincenzo Bartone di Sorianello alias “Pio-pio” (pure lui ergastolano). Rinaldo Loielo, 33 anni, di Ariola di Gerocarne, e Filippo Pagano, 33 anni, di Soriano Calabro, hanno finito di scontare una condanna definitiva (8 anni di reclusione a testa) per la detenzione di un potente ordigno esplosivo ritrovato dalla polizia il 23 febbraio 2013 nell’auto con a bordo i due giovani fermati in località “Serricella” del comune di Rosarno. E’ rimasto accertato giudiziariamente che la bomba – pesante oltre due chili e mezzo e capace di far saltare un intero palazzo ed innescabile a distanza con un radiocomando – è stata ceduta a Rinaldo Loielo dal boss Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, di Nicotera Marina (anche lui condannato), allo scopo di alimentare lo scontro armato tra i Loielo ed il clan Emanuele.
Anche i nomi di Rinaldo Loielo e Filippo Pagano emergono nella relazione che ha portato allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Soriano. In particolare, l’allora Commissione di accesso agli atti – nominata dalla Prefettura di Vibo Valentia – ha evidenziato che tra i sottoscrittori per la presentazione alle elezioni comunali della lista facente capo a Vincenzo Bartone figuravano pure strettissimi congiunti di Filippo Pagano (fra cui uno zio, già avvisato orale di pubblica sicurezza, e con precedenti di polizia – Sdi – per produzione e traffico di sostanze stupefacenti, furto e altro); lo stesso Filippo Pagano (ex sorvegliato di pubblica sicurezza) viene indicato in tale relazione come compagno della sorella di Rinaldo Loielo.
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