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Ponte sullo Stretto: anche la cava dei Mancuso tra le proprietà da espropriare

Nell’area del Vibonese arriveranno indennizzi per i terreni della figlia e di alcune nipoti dello storico boss “don Ciccio”

Ponte sullo Stretto: anche la cava dei Mancuso tra le proprietà da espropriare

di Vincenzo Imperitura e Pablo Petrasso
Per costruire il Ponte sullo Stretto lo Stato porterà via due terreni a Carmina Antonia Mancuso, figlia dello storico boss Ciccio. Uno a Nicotera, l’altro a Limbadi, dove suo padre, tra i capostipiti del clan che “governa” da decenni su quel territorio, fu il primo degli eletti alle Comunali del 1983. Da latitante. Si tratta di un pezzo della cava di famiglia utilizzata già ai tempi della realizzazione del porto di Gioia Tauro. Un cerchio che si chiude, da una grande opera all’altra. Francesco Naso, invece, ha incassato una condanna a 18 anni per associazione mafiosa nel primo grado del maxi processo Rinascita Scott. Per la Dda di Catanzaro avrebbe mantenuto «una posizione dominante» sul mercato del cemento e dei materiali edili grazie alle forniture gratuite garantite al clan. A Naso saranno espropriati poco più di 2. 700 metri quadri di terreni: pascoli o uliveti per i quali la società Stretto di Messina pagherà un indennizzo all’imprenditore che i giudici considerano un membro della cosca di Limbadi. Le storie di alcuni espropriati del Vibonese sono diverse da quelle di chi rischia di perdere la propria casa davanti allo Stretto di Messina. Qui non si parla di pezzi di cuore e di storia cancellati dal registro del mondo per realizzare l’opera-bandiera del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. E neppure di Rsa, come quella che sarà espropriata a Messina, o di bed&breakfast che chiuderanno i battenti per lasciare il posto a piloni e opere accessorie. Le aree destinate a diventare discariche monstre di materiale di risulta non hanno un particolare pregio: sono in buona parte cumuli di erbacce. Un dato che emerge dal progetto del Ponte sullo Stretto: “Petto di Braghò”, la zona rurale tra i comuni di Limbadi e Nicotera, era «un tempo utilizzata come cava di inerti per la produzione del calcestruzzo e dei rilevati compresi nelle opere di costruzione del porto di Gioia Tauro». Ora «giace in stato di degrado e abbandono» perché l’attività estrattiva «nel corso degli anni ne ha modificato l’assetto originario e oggi appare profondamente deturpata, con spaccature e fratture ben visibili, anche a molti chilometri di distanza».Continua a leggere su lacnews24.it

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