‘Ndrangheta, Mantella accusa: «Il clan dei Piscopisani voleva uccidere il boss di Zungri»
Peppone Accorinti nel mirino anche di un personaggio di Mileto. Gli affari con la droga e due casi di lupara bianca dietro il proposito omicida
Doveva morire per mano del clan dei Piscopisani e di un personaggio di Mileto, il boss di Zungri Peppone Accorinti, 60 anni, attualmente detenuto per l’omicidio di Raffaele Fiamingo ed il ferimento di Francesco Mancuso, alias “Tabacco”, fatti di sangue avvenuti nel luglio del 2003 a Spilinga. E’ quanto rivela il collaboratore di giustizia di Vibo Valentia, Andrea Mantella, in nuovi verbali che Il Vibonese è in grado di svelare. Tutto ha inizio con un favore che Francesco Scrugli – cognato e braccio-destro di Andrea Mantella, ucciso nel marzo del 2012 a Vibo Marina dal clan dei Patania di Stefanaconi – avrebbe chiesto ad Antonio Franzè, 39 anni, di Vibo Valentia, ovvero quello di far passare una partita di droga quantificata da Mantella in “uno o due pacchi di cocaina”. Antonio Franzè (che sta scontando 15 anni di reclusione per narcotraffico), all’epoca, era infatti uno dei più fidati collaboratori del broker della cocaina Vincenzo Barbieri, ucciso nella sua San Calogero nel marzo del 2011. Alla richiesta di Francesco Scrugli rivolta ad Antonio Franzè si sarebbero uniti anche i Piscopisani Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo. Secondo Andrea Mantella, Antonio Franzè avrebbe rifiutato di trattare in quel periodo la droga con i Piscopisani e Scrugli in quanto “già la stava trattando con Peppone Accorinti di Zungri”. Ecco quindi la ritorsione sa parte dei Piscopisani e di Scrugli, ovvero la collocazione nella notte del 10 maggio 2011 di una bomba carta ad alto potenziale sul davanzale a Vibo Valentia di una delle serrande dell’attività commerciale della famiglia di Antonio Franzè. “Dopo l’attentato – ricorda Mantella – Giuseppe Accorinti mandò a dire ai Piscopisani di lasciare in pace Antonio Franzè perché interessava allo stesso Accorinti, altrimenti se la sarebbero vista con lui personalmente. A quel punto i Piscopisani e Scrugli decisero che Peppone Accorinti doveva morire”. A volere la morte del boss di Zungri, però – secondo il collaboratore Andrea Mantella – insieme ai Piscopisani ed a Scrugli sarebbe stato anche Michele Silvano Mazzeo, 48 anni, di Comparni di Mileto, già condannato in via definitiva nel processo “Ulisse” celebrato a Milano e da ultimo indagato a piede libero nell’inchiesta “Rimpiazzo” contro i Piscopisani dopo le accuse di Raffaele Moscato in relazione al traffico di stupefacenti ed alle rapine.
“Michele Silvano Mazzeo – spiega Mantella – era affiliato al gruppo dei Galati di Mileto dal quale si è distaccato quando Carmine Galati gli fece sparire il fratello”. Il riferimento è a Carmine Galati, il presunto boss dell’omonimo clan di Comparni di Mileto deceduto a metà anni ’90 in un incidente col trattore. “Poi Michele Silvano Mazzeo – ricorda ancora Mantella – è entrato a far parte del gruppo dei Pititto di Mileto. Michele Silvano Mazzeo (in foto) voleva uccidere Peppone Accorinti con i Piscopisani e Scrugli poiché Accorinti aveva fatto sparire per lupara bianca sia Gerardo Arena, fratello di mio cognato, sia il fratello dello stesso Michele Silvano Mazzeo”. Il riferimento del collaboratore di giustizia Andrea Mantella è a due casi di “lupara bianca” avvenuti nel 1998: a sparire nel nulla sono stati Gerardo Arena di Mileto, all’epoca 27enne, fratello del cognato dello stesso Mantella, e l’allora 24enne Antonio Mazzeo, di Comparni di Mileto, fratello di Michele Silvano Mazzeo. Due casi di lupara bianca rimasti impuniti – come i quasi quaranta dal 1981 ad oggi nel Vibonese – per i quali, secondo le dichiarazioni di Andrea Mantella, il responsabile sarebbe stato Giuseppe Accorinti e, nel caso di Antonio Mazzeo, anche il defunto Carmine Galati, altro personaggio di spessore dell’intera ‘ndrangheta vibonese. Quanto basta ed avanza agli inquirenti per andare a riscrivere pagine e pagine di storia criminale in provincia di Vibo nel tentativo di assicurare alla giustizia gli autori di efferati crimini. Le dichiarazioni di Andrea Mantella e Raffaele Moscato – la maggior parte delle quali ancora coperte da segreto investigativo – gettano infatti un fascio di luce sulle più complesse dinamiche mafiose degli ultimi trent’anni e finiscono per andare a rileggere avvenimenti ed episodi troppo in fretta dimenticati.
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