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La legge “bavaglio” è servita: divieto per la stampa di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare

Il centrodestra, i calendiani e i renziani approvano un emendamento del deputato Costa (Azione) che impedisce alla stampa di rendere noti sino alla conclusione delle indagini preliminari i motivi per i quali un indagato viene arrestato. Ecco cosa sarebbe successo nel Vibonese se tale norma fosse già stata in vigore

La legge “bavaglio” è servita: divieto per la stampa di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare
La Camera dei deputati e nel riquadro il deputato Costa e il ministro Nordio
Meloni, Nordio e il procuratore Gratteri

E alla fine il bavaglio alla stampa (e quindi a tutti i cittadini desiderosi di avere notizie complete) è servito. Chi temeva che la linea sulla giustizia del nuovo Governo Meloni andasse nella stessa direzione immaginata e sognata per anni da Silvio Berlusconi e da Forza Italia (freni e limiti a tutti i poteri di controllo alla maggioranza parlamentare, dalla stampa alla magistratura in primis) è ugualmente servito. Complice il partito di Carlo Calenda – cioè Azione che sulla carta dovrebbe proporsi come forza politica alternativa alla maggioranza – e il partito di Matteo Renzi, cioè Italia Viva (sempre presente in questi casi) ieri sera la Camera dei deputati ha approvato l’emendamento del deputato Enrico Costa (Azione) alla legge di delegazione europea che introduce il divieto di pubblicazione “integrale o per estratto” del testo di qualunque ordinanza di custodia cautelare. In praticaviene vietato alla stampa di poter informare l’opinione pubblica sui motivi per i quali un indagato finisce in carcere, ai domiciliari, all’obbligo di dimora o è destinatario di altra misura cautelare (interdizione, divieto di dimora, ecc.) da parte di un gip (giudice per le indagini preliminari). Un po’ come nei Paesi Sud Americani vecchio stampo dove i familiari degli scomparsi si dannano l’anima per ritrovare i loro cari e poi magari scoprono dopo mesi che gli stessi si trovano nelle patrie galere senza che nessuno abbia comunicato nulla a loro o alla stampa. L’emendamento di Enrico Costa di Azione, proposto insieme a Davide Faraone di Italia Viva e Riccardo Magi di + Europa, è stato riformulato dal Governo, motivo per il quale è passato a voto palese dopo una prima decisione di votare a scrutinio segreto. I sì sono stati 160, cioè l’intera maggioranza di governo più renziani e calendiani, mentre i no sono stati 70. Secondo Costa, la norma serve per dare attuazione alla direttiva sulla presunzione di innocenza, ma in realtà tale principio (già sancito dalla nostra Costituzione) nulla ha a che vedere con la presunzione di innocenza, finendo solamente per comprimere fortemente il lavoro della stampa, ugualmente tutelato dalla Costituzione (articolo 21: la stampa non può essere soggetta a censure). Una norma che nei fatti non fa altro che rallentare di almeno sei mesi la pubblicazione di quanto contenuto in un’ordinanza di custodia cautelare, con la conseguenza – visto che tale divieto cade con la chiusura delle indagini preliminari da parte della Procura – che l’opinione pubblica verrà informata con mesi di ritardo sui motivi per i quali un indagato è stato destinatario di una misura cautelare. Si lascia in pratica il “dominio” delle notizie alle Procure (che potranno fornire dettagli su un arresto o altra misura cautelare attraverso una conferenza stampa) o agli avvocati degli indagati (che potranno per esempio comunicare l’annullamento di una misura cautelare da parte del Tribunale del Riesame per imputazioni e fatti di cui il giornalista non ha potuto scrivere). Per come è stato riformulato l’emendamento si prevede di vietare la pubblicazione per estratto o integrale del testo dell’ordinanza fino al termine dell’udienza preliminare. L’emendamento agisce in particolare sull’articolo 114 del codice di procedura penale che riguarda il “divieto di pubblicazione di atti e di immagini” stabilendo l’impossibilità di “pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli articoli 3 e 4 della direttiva Ue del 2016 sulla presunzione d’innocenza”.

Il bavaglio alla stampa

Carlo Nordio

Un vero e proprio bavaglio ai giornalisti, alla stampa e al giornalismo di inchiesta, che ‘cancella’ di fatto le novità introdotte tra il 2017 e il 2019 quando al Ministero della Giustizia si sono succeduti Andrea Orlando e Alfonso Bonafede. Tutto con un blitz (leggasi emendamento) del deputato Enrico Costa di Azione, avallato alla fine dal Governo Meloni e dal ministro della Giustizia Carlo Nordio per evitare il rischio di scivolare sul voto segreto spaccando la maggioranza dinanzi a un provvedimento che sarebbe comunque stato votato da settori dell’opposizione come calendiani e renziani (Azione e Italia Viva), in rotta su tutto ma uniti – e a braccetto con il centrodestra – dal bavaglio alla stampa e ai giornalisti. Sull’approvazione dell’emendamento ha naturalmente esultato Forza Italia che la deputata e sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Matilde Siracusano, ha così commentato: “Un risultato positivo e che ci soddisfa, un buon traguardo per ribadire ancora una volta l’importanza, per Forza Italia e per il governo, del garantismo e della presunzione di innocenza, cardini chiave sui quali si fonda la nostra Costituzione”. Dura la reazione del Movimento Cinque Stelle che ha definito l’emendamento un “vergognoso bavaglio” che “colpisce e umilia il diritto dei cittadini ad essere informati. La maggioranza allargata ad Azione e Italia Viva, dimostra ancora una volta qual è la loro unica agenda in materia di giustizia: nascondere o lasciare impunite le malefatte della borghesia mafiosa, dei corrotti, dei comitati d’affari – sottolineano i rappresentanti in commissione Giustizia alla Camera dei deputati Stefania Ascari, Federico Cafiero De Raho, Valentina D’Orso e Carla Giuliano -. Duro anche il commento di Angelo Bonelli e Devis Dori dei Verdi e di Sinistra italiana: “Non possiamo certo ritenere che questo ministero della Giustizia che alterna annunci garantisti e panpenalismo di fatto possa avere il giusto equilibrio per trattare un tema così delicato”.

Il “pasticcio” e l’impatto sul racconto dei fatti

Per capire l’assurdità della norma approvata ieri sera dalla Camera dei deputati basta portare alcuni esempi prendendo in considerazione un paio di operazioni portate a termine nel Vibonese negli ultimi tempi. Rinascita Scott, ad esempio, è scattata la notte del 19 dicembre del 2019. Se la norma voluta ieri dal deputato Costa (Azione), dai renziani e dalla maggioranza di centrodestra fosse già stata in vigore, i calabresi e i vibonesi avrebbero potuto conoscere unicamente i nomi degli arrestati ma non i fatti loro contestati. E questo sino a giugno del 2020 quando sono state chiuse le indagini preliminari da parte della Procura. E’ normale tutto ciò? I giornalisti si sarebbero quindi trovati dinanzi ad un’ordinanza di custodia cautelare con fatti rilevantissimi per la pubblica opinione, ma non avrebbero potuto raccontarli sino a giugno del 2020. Nel frattempo avrebbero potuto naturalmente dare notizia delle decisioni del Tribunale del Riesame o della Cassazione o dello stesso gip (scarcerazioni o conferme delle misure) ma non dei fatti alla base delle contestazioni. Cosa ha a che fare tutto ciò con il garantismo sbandierato dal centrodestra, dai calendiani e dai renziani? Nulla, per la semplicissima ragione che il poter scrivere dei fatti contestati nei confronti di un arrestato è invece una garanzia per l’indagato stesso che altrimenti si ritroverebbe con il suo nome e cognome sugli organi di informazione (insieme a tutti gli altri indagati) senza possibilità di far conoscere di cosa è accusato. Un pasticcio, insomma. Gli esempi, restando al Vibonese, potrebbero continuare all’infinito: dell’operazione Maestrale-Carthago, ad esempio, scattata a maggio, o dell’operazione Olimpo scattata a gennaio, nulla gli organi di stampa avrebbero potuto raccontare sino al 13 ottobre scorso quando sono state chiuse le indagini preliminari. Nulla avrebbero cioè letto i cittadini per mesi sulle accuse rivolte a dirigenti dell’Asp di Vibo, ad avvocati, commercialisti, imprenditori e politici così come agli esponenti dei clan di Tropea, Mileto, Vibo Valentia, Briatico, Limbadi, Parghelia, Nicotera e San Calogero. Meno che meno i cittadini avrebbero letto di quanto contenuto nelle ordinanze di custodia cautelare in ordine alle ingerenze della criminalità organizzata sull’Asp così come in diversi Comuni del Vibonese. E così per l’operazione Rimpiazzo contro il clan dei Piscopisani o Imponimento che, oltre al clan di Filadelfia, porta alla luce anche il sostegno della cosca Anello verso ben individuati esponenti politici. Garantismo, dunque, o semplicemente una norma pensata male e scritta peggio che finisce solo per ritardare il lavoro della stampa, complicare il lavoro dei giornalisti e cercare di mettere un bavaglio ai cronisti e di conseguenza all’opinione pubblica. Sarà interessante, a questo punto, conoscere l’opinione delle Camere penali e degli avvocati penalisti, atteso che la prima impressione è che ci si trovi dinanzi a parlamentari che non hanno mai messo piede in un’aula di Tribunale e neanche abbiano mai letto una qualsiasi ordinanza di custodia cautelare.  

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