‘Ndrangheta: il potere dei clan a Pizzo, Briatico e Parghelia con le estorsioni ai villaggi turistici
Diverse le vicende ricostruite dalla Dda con le operazioni Olimpo e Maestrale giunte all’avviso di conclusione indagini per 285 indagati. Ecco gli accordi dei boss per spartirsi il denaro
Estorsioni a “tappeto” nel Vibonese per incamerare fiumi di denaro ma anche beni materiali come terreni e uliveti. Le operazioni antimafia denominate Olimpo e Maestrale-Carthago, giunte all’avviso di conclusione delle indagini preliminari per un totale di 285 indagati, portano alla luce i metodi e le pressioni dei clan, oltre alle alleanze, per chiudere estorsioni anche nei confronti di strutture imprenditoriali di rilevo. In un caso – secondo la Dda di Catanzaro – l’estorsione non sarebbe andata a buon fine per via della “protezione” garantita alla vittima dal boss Luigi Mancuso. Ad essere presa di mira, la ditta Terre di Marne società agricola con sede a Portosalvo destinatarie attraverso il suo titolare e un coltivatore diretto dei fondi agricoli di richieste estorsive da parte della criminalità organizzata di Cessaniti e Zungri. I clan volevano impadronirsi di un’intera coltivazione di ulivi e, quindi, accaparrarsi l’indotto economico legato alla commercializzazione dell’olio dalla stessa ricavabile. L’estorsione non è tuttavia andato a segno per cause indipendenti dalla volontà degli indagati e, nel caso di specie, per la “ferma opposizione della vittima, indisponibile alla dazione di qualsivoglia richiesta di denaro anche in ragione – si legge nel capo di imputazione – della protezione garantitagli da Luigi Mancuso”. Per tale vicenda che sarebbe andata avanti dall’aprile 2018 al 2019, del reato di tentata estorsione sono chiamati a rispondere il boss di Zungri Giuseppe Accorinti, 64 anni, Francesco Barbieri, 58 anni, ritenuto il boss di Cessaniti, e Nicola Fusca, 51 anni, di Cessaniti.
Gli stessi Giuseppe Accorinti e Francesco Barbieri, questa volta in concorso con il boss di Filadelfia Rocco Anello (cl ’61), con Luigi Mancuso ( cl ’54) di Limbadi e Giuseppe Raguseo, 45 anni, di Nicotera (genero del boss Cosmo Michele Mancuso) sono poi indagati per un’estorsione ai danni di Domenico Basile, amministratore unico della Turinvest srl, società proprietaria della struttura turistico ricettiva denominata “Pizzo Calabro Resort” con sede a Pizzo in località Giorgiello. Per gli anni 2017, 2018 e 2019 gli indagati avrebbero costretto il titolare della struttura a versare loro – e quindi alla criminalità organizzata (così “mettendosi a posto” con la ‘ndrangheta del vibonese) – una somma a titolo estorsivo pari ad una percentuale imprecisata del fatturato della struttura turistica recettiva per ciascun anno di impresa. Ciò in ragione, ad avviso della Dda, del controllo assoluto da parte dei clan delle attività imprenditoriali ed economiche della zona e quindi con il potere di far accedere o far escludere chiunque dalle forniture alle più importanti strutture recettive ricadenti nella zona di Pizzo Calabro.
Nel “mirino” dei clan anche Pasquale Saraco, titolare della “It Hotels Group srl”, società affittuaria della struttura turistico ricettiva denominata Rosette Resort con sede a Parghelia. Anche in questo caso i boss Giuseppe Accorinti, Francesco Barbieri e Luigi Mancuso, in concorso con Costantino Gaudioso, 31 anni, di Zungri, avrebbero incassato somme a titolo estorsivo pari ad una percentuale imprecisata del fatturato della struttura recettiva a vocazione turistica, per ciascun anno di impresa (flusso poi interrotto dal sopravvenuto sequestro della società della parte offesa, attesi i collegamenti della stessa con i clan Gallace e Gallelli attivi sul territorio di Guardavalle e Badolato e su tutta la fascia del basso Ionio catanzarese). Le condotte estorsive coprono un arco temporale che va dal 2016 al 2017.
Altra vicenda vede quindi indagati Luigi Barillari, 44 anni, Armando Bonavita, 44 anni e Marco Borrello, 49 anni, tutti di Briatico per l’esplosione di due colpi d’arma da fuoco, con una pistola calibro 7,65, contro alcune autovetture parcheggiate all’interno dell’autosalone “Landro Leone Automobili” di Briatico. I coli di pistola al fine di costringere il titolare dell’omonima attività di noleggio con conducente transfert – effettuata (tra le altre destinazioni) anche da e per le località balneari dei comuni di Briatico e Zambrone – a desistere dal recupero dei crediti vantati nei loro confronti per i plurimi servizi di transfert effettuati dalla persona in favore di e attività turistiche ricadenti nel loro territorio di influenza della criminalità organizzata di Briatico, così “mettendosi a posto” con la ‘ ndrangheta del vibonese. L’estorsione in questo caso non sarebbe andata a buon fine per cause indipendenti dalla volontà degli indagati. La vicenda risale al 9 agosto 2017.
Anche la nuova gestione del villaggio Green Garden di Briatico sarebbe finito nel mirino dei clan. Del reato di estorsione sono accusati Antonio Accorinti (attuale collaboratore di giustizia), lo zio Franco Accorinti (già vicesindaco nella prima amministrazione di Briatico sciolta per mafia), Francesco Barbieri di Cessaniti, Armando Bonavita, Roberta Bonavita e Sandro Melluso, 46 anni, tutti di Briatico. Gli indagati avrebbero in più occasioni costretto Francesco Rapisarda, proprietario di fatto della struttura turistico ricettiva, a versare loro una somma a titolo estorsivo pari ad una percentuale imprecisata non inferiore, per ciascun mese di impresa, ad euro 5.000 del fatturato del Green Garden, così procurandosi un ingiusto profitto nell’anno 2018. Sandro Melluso, ritenuto contiguo al clan Bonavita, svolgeva la mansione di manutentore all’interno del complesso turistico. L’imprenditore Francesco Rapisarda, 80 anni, di Mascalucia (Ct) figura anche tra gli indagati ma per altre vicende riguardanti il villaggio Sayonara di Nicotera Marina.
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