Bancarotta fraudolenta a Vibo degli imprenditori Mancini, aperto il processo
L’inchiesta della Guardia di Finanza e della Procura dopo il fallimento della “501 Hotel S.p.A”, del “501 Hotel Gestione S.r.l.”, della “Phoenices General Trade S.r.l.” e della “Onda Verde Mare S.r.l”
Si è aperto oggi dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia (Macrì presidente, giudici a latere Maiorana e Bertola) il dibattimento relativo al procedimento penale che mira a far luce sulla bancarotta fraudolenta delle società “501 Hotel S.p.A”, “501 Hotel Gestione S.r.l.”, “Phoenices General Trade S.r.l.”, “Onda Verde Mare S.r.l.”, tutte facenti capo in passato alla nota famiglia di imprenditori di Vibo Valentia dei Mancini. In particolare, il processo si è aperto per i seguenti imputati: Saverio Mancini, 58 anni, di Vibo Valentia ma residente a Milano; Giovanni Mancini, 47 anni, di Vibo Valentia; Luigi De Paola, 83 anni, nativo di Reggio Calabria ma residente a Milano; Teresa Malfarà Sacchini, 66 anni, di Sant’Onofrio; Sergio Casati, 61 anni, di Vibo Valentia; Giuseppe Paparatto, 54 anni, di Ricadi; Pier Angelo Campi; Paolo Silva, 59 anni di Pontenure (Pc); Angelo Sabatino, 58 anni, di Vibo Valentia; Isabella Lo Riggio, 57 anni, di Vibo Valentia. Il Tribunale dopo le richieste istruttorie ha ammesso le prove richieste dalla pubblica accusa – rappresentata in aula dal pm Concettina Iannazzo – e dalle difese degli imputati. L’inchiesta della Guardia di finanza, coordinata dalla Procura di Vibo Valentia e che oggi ha registrato l’apertura del dibattimento, non ha nulla a che fare con l’attuale gestione del 501 hotel. Nella prossima udienza, fissata dal Tribunale per il 23 gennaio prossimo, verrà sentito il primo teste chiamato a deporre dalla pubblica accusa, ovvero un curatore fallimentare.
La ricostruzione degli inquirenti
Le indagini, dirette dal procuratore Camillo Falvo e dal pm Concettina Iannazzo, eseguite dalla sezione di polizia giudiziaria – aliquota della Guardia di Finanza e dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Vibo Valentia – hanno preso in esame le procedure concorsuali che nel corso degli anni si sono concluse con la dichiarazione di fallimento delle società che avevano gestito importanti strutture ricettive della provincia vibonese (Hotel 501 di Vibo Valentia, Lido degli Aranci di Vibo Valentia, Acquapark di Zambrone). Gli approfondimenti informativi ed investigativi hanno permesso di ricostruire una serie di operazioni societarie e finanziarie che hanno cagionato il dissesto delle società, mediante il drenaggio e la distrazione di ingenti risorse per un ammontare di 14.903.050 euro e la conseguente creazione di una massa fallimentare per un importo di 55.759.730 euro. All’esito delle attività di indagine è stato accertato che le condotte ritenute avrebbero avuto un unico filo conduttore individuabile nella gestione finalizzata al depauperamento delle risorse economiche da parte dei deceduti cugini Giovanni Giuseppe Mancini (cl. ’34, padre dell’imputato Saverio Mancini) e Saverio Mancini (cl. ’33, padre dell’imputato Giovanni Mancini), che possono essere considerati gli imprenditori di “prima generazione” del gruppo societario e successivamente dai rispettivi figli, i quali, unitamente agli altri amministratori, approfittando – secondo l’accusa – dell’omesso controllo da parte degli organi sociali preposti, avrebbero condotto al fallimento delle società.
Nel concreto, i noti imprenditori – che hanno spesso ricoperto ruoli all’interno delle società in situazioni di conflitto di interessi – avrebbero sottratto e drenato – secondo l’accusa – ingenti disponibilità finanziarie dalle società, in seguito fallite, cagionandone il dissesto, mediante una serie di operazioni dolose quali, ad esempio: la mancata registrazione di corrispettivi relativi ad eventi e ricevimenti, che venivano pagati in nero e non sarebbero confluiti nelle casse sociali; ricorrenti prelevamenti in contanti dai conti correnti delle società privi di giustificazione; l’arbitraria distribuzione di utili ai soci in contrasto con le delibere assembleari. Le indagini avrebbero altresì permesso di dimostrare un costante prosciugamento delle risorse societarie mediante contratti di affitto di ramo di azienda a canoni non congrui o altri contratti anomali, stipulati esclusivamente al fine di documentare “cartolarmente” l’effettuazione di servizi che in realtà non venivano prestati. Parallelamente a tali operazioni, le scritture contabili delle società sarebbero state tenute con modalità tali da non rendere possibile o comunque ostacolare la corretta ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Viene anche ipotizzata una responsabilità dei componenti del collegio sindacale, i quali avevano l’obbligo – di fatto disatteso secondo l’accusa – di vigilare affinché non si verificasse la mala gestio e la distrazione di risorse economiche da parte degli amministratori.
Il Collegio di difesa
Saverio Mancini è difeso dall’avvocato Giuseppe Di Renzo; Giovanni Mancini è assistito dall’avvocato Eugenio Penna; Luigi De Paola è difeso dagli avvocati Pier Domenico Lombardo e Raffaele Barra; Teresa Malfarà Sacchini è assistita dagli avvocati Marcello Scarmato e Nazzareno Latassa; Sergio Casati è difeso dall’avvocato Nicola D’Agostino; Giuseppe Paparatto è difeso dagli avvocati Patrizio Cuppari e Domenico Barbalace; Pier Angelo Campi dall’avvocato Nicola Costanzo; Paolo Silva dall’avvocato Franco Livera; Angelo Sabatino dall’avvocato Vincenzo Cantafio.
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