Petrol Mafie: lascia gli arresti domiciliari Francesco D’Angelo di Piscopio
“Ciccio Ammaculata” viene ritenuto elemento di spicco della criminalità organizzata di Piscopio e personaggio strettamente collegato al boss Luigi Mancuso di Limbadi
Lascia gli arresti domiciliari per l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria Francesco D’Angelo, 77 anni, di Piscopio, detto “Ciccio Ammaculata”, attualmente sotto processo per associazione mafiosa nel procedimento nato dall’operazione denominata “Petrol Mafie”. La decisione è del Tribunale collegiale di Vibo Valentia in attenuazione delle esigenze cautelari. In precedenza Cassazione aveva confermato l’ordinanza del Tribunale del Riesame datata 8 giugno 2021. I giudici del Riesame avevano ritenuto sussistente nei confronti di Francesco D’Angelo la gravità indiziaria della sua partecipazione alla cosca Mancuso sulla base dei seguenti elementi: «la cosca di Piscopio era venuta meno nel corso degli anni, assumendo il carattere di “locale” (collegata al “Crimine” di Reggio Calabria), gruppo rispetto al quale D’Angelo era rimasto autonomo, avvicinandosi alla famiglia Mancuso, anche in ragione della consolidata conoscenza con Luigi Mancuso; D’Angelo contribuiva alla cosca Mancuso sostenendo il genero Giuseppe D’Amico, imprenditore nel settore carburanti che da una parte era finanziato dalla cosca Mancuso e, dall’altra, tramite l’appoggio di diverse cosche riforniva le imprese edili e di movimento terra; La vicinanza personale tra D’Angelo e Luigi Mancuso era riscontrata dai due tentativi di incontro tra loro del novembre 2018 e dalle espressioni fraterne che si scambiavano. Nel novembre 2018 era emersa la trattativa commerciale con impresa kazaka (Rompetrol) per la fornitura di prodotti petroliferi, trattativa che comprendeva la realizzazione di infrastrutture, costituita da un deposito sulla costa e da un oleodotto: Giuseppe D’Amico, assieme a Silvana Mancuso e il di lei marito Gaetano Molino, aveva incontrato – aveva evidenziato la Cassazione – i due emissari in Italia dell’impresa kazaka. In tale contesto Luigi Mancuso aveva affermato che la sua quota di spettanza sarebbe stata divisa col “fratello” Francesco D’Angelo». Attraverso un’intercettazione tra Gregorio Giofrè, ritenuto esponente del clan di San Gregorio d’Ippona, e Giuseppe D’Amico sarebbe poi emerso un contrasto tra Giofrè e D’Angelo sulla ripartizione dei fondi destinati al sostentamento dei detenuti. Francesco D’Angelo si trova attualmente sotto processo dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia unitamente ad altri 53 imputati.
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