Estorsione al commerciante Zappia, i motivi della Cassazione per la condanna al boss Mancuso
La Suprema Corte ha confermato il verdetto della Corte d’Appello di Catanzaro anche riguardo il risarcimento da corrispondere alle parti civili
Depositate dalla seconda sezione penale della Cassazione le motivazioni della sentenza di condanna a 7 anni di reclusione nei confronti del boss Antonio Mancuso, 85 anni, esponente di spicco dell’omonimo clan di Limbadi, ritenuto responsabile del reato di estorsione ai danni del commerciante di Nicotera Carmine Zappia. Il ricorso era stato presentato da Antonio Mancuso e dal suo difensore avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 14 giugno dello scorso anno. Ricorso ritenuto però inammissibile dalla Suprema Corte che ha condannato l’imputato anche alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in Cassazione dalle parti civili Giulia Zappia, Provincia di Vibo Valentia e Comune di Nicotera. L’imputato è stato altresì condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in Cassazione dalle parti civili Carmine e Antonio Zappia, ammesse al patrocinio a spese dello Stato. Del reato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose erano accusati anche Alfonso Cicerone e Giuseppe Cicerone (che hanno scelto il rito abbreviato, con Alfonso Cicerone condannato in via definitiva a 7 anni e 6 mesi), quali concorrenti e cointeressati dal boss Antonio Mancuso. I due sarebbero stati incaricati di tenere direttamente i rapporti con la vittima, l’imprenditore di Nicotera Carmine Zappia. Proprio Antonio Mancuso, secondo l’accusa, avrebbe impartito le direttive per l’estorsione convocando la vittima alla sua presenza e interloquendo direttamente con la stessa, in più occasioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, asserendo di aver rilevato il residuo credito di centomila euro vantato da Maria Giacco nei confronti della vittima Carmine Zappia in relazione alla cessione nel maggio del 2011 di un immobile sito in via Filippella di Nicotera.
Le ragioni della Cassazione
Per la Cassazione, nel caso della sentenza nei confronti di Antonio Mancuso si è in presenza “di c.d. “doppia conforme” in punto affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il fatto di reato contestatogli, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale”. Per la Suprema Corte, è evidente “il ruolo ritagliato dall’anziano imputato nel ‘dirigere’ l’operazione estorsiva ai danni della persona offesa. Non è possibile pertanto intravvedere alcuno spazio per la sussistenza del denunciato “travisamento manifesto del compendio probatorio in atti”. Con riferimento invece alla circostanza aggravante contestata e alle attenuanti generiche revocate, il motivo di ricorso è stato ritenuto “manifestamente infondato”. Con riferimento al primo profilo, la Corte ha puntualizzato che in almeno una occasione vi fu compresenza presso lo Zappia tanto di Cicerone che di Mancuso e che l’atteggiamento silente del secondo a fronte delle minacce profferite dal primo non è sufficiente ad escludere l’effettività dell’aggravante alla luce della consapevolezza da parte di tutti i presenti ed n particolare della vittima, del ruolo di vertice del Mancuso nella confraternita malavitosa di Limbadi, per cui non gli fosse nemmeno necessario intervenire perché il contenuto minaccioso del messaggio fosse già sufficientemente chiaro”.
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