‘Ndrangheta: le estorsioni a Vibo alle ditte dei rifiuti e i lavori per l’ospedale nel “mirino”
Tredici capi di imputazione per altrettanti indagati nei cui confronti la Dda di Catanzaro ha chiuso le indagini. Ecco le singole accuse dell’inchiesta portata a termine dai carabinieri e dalla Guardia di finanza fra chi ha resistito sporgendo denuncia e chi invece avrebbe fatto desistere i vibonesi godendo del sostegno di altri clan
L’estorsione alla ditta dei rifiuti Ased
La seconda estorsione vede quale vittima Rosario Azzarà di Melito Porto Salvo, titolare della ditta Ased che aveva negli scorsi anni in appalto la raccolta dei rifiuti a Vibo (dal 2 novembre 2015 al 18 maggio 2017), poi coinvolto nell’operazione antimafia “Ecosistema” della Dda di Reggio Calabria ed attualmente ancora sotto processo. Bartolomeo Arena, Francesco Antonio Pardea, Salvatore Morelli, Michele Pugliese Carchedi e Domenico Camillò sono accusati di concorso in estorsione. In particolare, Michele Pugliese Carchedi e Domenico Camillò – su mandato di Francesco Antonio Pardea, Salvatore Morelli e Bartolomeo Arena -, si sarebbero presentati al cospetto di tre operai impegnati nella raccolta dei rifiuti urbani nei pressi dei cassonetti raccoglitori siti in via Giovanni XXIII di Vibo Valentia con volto travisato ed armati di pistola, puntando l’arma alla tempia di un operaio alla guida del mezzo da lavoro. Dopo aver intimato a quest’ultimo di allontanarsi dal veicolo, il mezzo è stato cosparso di benzina e dato alle fiamme. Facendo percepire quindi alla ditta di far parte di un sodalizio di ‘ndrangheta, gli indagati avrebbero costretto nell’aprile del 2016 il titolare della ditta Ased, Rosario Azzarà, a pagare alla ‘ndrina dei Pardea (detti “Ranisi”) «una cospicua somma di denaro che veniva suddivisa tra i suoi membri, ivi incluso Bartolomeo Arena, al quale veniva consegnata la somma di 400 euro». Anche in questo caso l’estorsione è aggravata dal metodo mafioso, al pari della contestazione relativa alla detenzione illegale e porto in luogo pubblico di una pistola.
La tentata estorsione ai danni di Farfaglia
In questo caso nell’agosto 2018 Mommo Macrì e Domenico Serra a bordo di un’auto e Michele Pugliese Carchedi e Michele Manco con altra auto sono accusati di essersi recati – unitamente ad Andrea Ruffa con altra auto ancora – nei pressi dell’abitazione a Bivona di Gregorio Farfaglia minacciando quest’ultimo che «qualora non avesse consegnato loro una somma quale quota parte del provento derivante dall’esecuzione dell’appalto di gestione dei rifiuti per conto del Comune di Vibo Valentia ad opera della ditta Dusty srl», Mommo Macrì avrebbe «sparato a lui ed alla sua famiglia e lo avrebbe fatto a pezzi». Gregorio Farfaglia, ritenuto dalla Dda il «referente di fatto della ditta Dusty» avrebbe però opposto un netto rifiuto alla richiesta di consegnare somme di denaro al gruppo di Mommo Macrì. Opposizione che Gregorio Farfaglia avrebbe fatto – ad avviso degli inquirenti – «anche in forza dei propri rapporti con la ‘ndrangheta di San Gregorio d’Ippona ed in particolare con Filippo Fiarè, esponente apicale del locale di San Gregorio d’Ippona, della cui protezione poteva godere al punto da paralizzare l’azione del Macrì e comunque ricondurre la composizione della vicenda nel contesto delle dinamiche criminali interne alla ‘ndragheta vibonese».
L’affare dei rifiuti a Vibo spiegato da Mantella
E’ Andrea Mantella, fra i collaboratori di giustizia, quello che meglio delinea gli affari dei clan nel settore dei rifiuti. Per il gip – anche grazie alle sue dichiarazioni – è stato ben possibile fare luce sulla “logica spartitoria tra cosche in cui lo stesso Mantella, i Fiarè ed i Mancuso partecipavano, dividendosi gli utili”. In particolare, Pantaleone Mancuso, Scarpuni, era rappresentato secondo Mantella da tale Campennì (non indagato), mentre il gruppo dei Fiarè di San Gregorio d’Ippona avrebbe operato attraverso Gregorio Giofrè (non indagato). Sul punto Andrea Mantella ha dichiarato: “Quanto ai rifiuti posso affermare che c’era un accordo tra noi e Luni Mancuso detto “Scarpuni”: la società incaricata della raccolta era del dott. Pellegrino, un siciliano e noi mettevamo i mezzi, intestati formalmente a Giurgola e a Morelli Salvatore quando era pulito; i mezzi in realtà erano stati comprati da me personalmente e, tramite loro, lavoravamo sui rifiuti; il tramite era Campennì, da sempre inserito nel settore dei rifiuti e da sempre – ha spiegato Mantella – uomo dei Mancuso; io conoscevo bene questo Pellegrino, che ho visto tre volte e lui sapeva chi ero io; Luni Mancuso metteva i mezzi per il tramite di Campennì e il patto era il seguente: se riuscivamo a tenere fuori le forze dell’ordine tutto andava liscio, altrimenti Pellegrino sapeva che doveva denunciare in Prefettura le infiltrazioni mafiose; lui ci disse che se fosse andato tutto bene ci avrebbe remunerati facendoci lavorare, anche con sovrafatturazioni con cui pagava le tangenti e con assunzioni. A Natale è venuto da me Gramendola e, oltre al cesto natalizio con champagne, salmone, eccetera, mi dava la bustarella con 10.000 euro che mandava Pellegrino unitamente al cesto; il resto delle tangenti veniva pagato mensilmente sotto forma di noleggio e stessa cosa faceva Luni Sscarpuni per il tramite di Campennì”; Secondo Mantella, quindi, i clan mafiosi “oltre a ricevere le tangenti dalla gestione dei rifiuti, imponevano le assunzioni e i mezzi che dovevano operare; questo è il modo in cui a Vibo – ha dichiarato il collaboratore – vengono gestiti i rifiuti”. [CLICCA IN BASSO SUL TASTO “AVANTI” PER LEGGERE LE ALTRE ESTORSIONI]