Autobomba di Limbadi, il processo approda in appello e l’accusa chiede di risentire le parti offese
Per la Procura generale di Catanzaro i genitori di Matteo Vinci devono essere riascoltati in aula. La difesa chiede invece una nuova perizia su auto ed esplosivi. Sospesi i termini di custodia cautelare
Seconda udienza in Corte d’Assise d’Appello a Catanzaro per il processo che ruota attorno all’autobomba di Limbadi costata la vita il 9 aprile 2018 al biologo Matteo Vinci. Accanto alle condanne all’ergastolo per Rosaria Mancuso, 66 anni, e per il genero Vito Barbara, 30 anni – quali mandanti dell’attentato – si sono registrate in primo grado la condanna a 10 anni di reclusione per Domenico Di Grillo (marito di Rosaria Mancuso), 74 anni (il pm aveva chiesto la condanna a 20 anni) e a 3 anni e 6 mesi per Lucia Di Grillo, 32 anni (figlia di Rosaria Mancuso e per la quale in primo grado erano stati chiesti dal pm 12 anni di carcere). Dopo la costituzione delle parti e la sospensione dei termini di custodia cautelare disposta dalla Corte – in accoglimento di una richiesta della Procura – nel corso della prima udienza, oggi si è dato il via alle richieste istruttorie di accusa e difesa. In particolare, il sostituto procuratore generale di Catanzaro, Luigi Maffia, ha chiesto alla Corte di risentire in aula le persone offese, vale a dire Francesco Vinci e Sara Scarpulla, genitori di Matteo Vinci. Dal canto suo, la difesa di Vito Barbara ha invece chiesto una nuova perizia sugli esplosivi e sull’auto dei Vinci saltata in aria con la bomba, l’inutilizzabilità di alcune intercettazioni ambientali e telefoniche e la trascrizione di altre intercettazioni avvenute dopo la sentenza di primo grado Sulle richieste di accusa e difesa, la Corte scioglierà le proprie riserve nell’udienza del 23 giugno prossimo. Impegnati nel collegio di difesa gli avvocati: Giovanni Vecchio e Francesco Capria per Rosaria Mancuso; Francesco Capria e Gianfranco Giunta per Domenico Di Grillo; Giovanni Vecchio e Fabrizio Costarella per Vito Barbara; Giovanni Vecchio e Stefania Rania per Lucia Di Grillo.
La sentenza di primo grado
Ricordiamo che in primo grado il reato di tentato omicidio – riferito ad un episodio del 30 ottobre 2017 – è stato riqualificato dalla Corte nel più lieve reato di lesioni personali. In particolare, Domenico Di Grillo, Vito Barbara e Rosaria Mancuso erano accusati e sono stati ritenuti responsabili di aver colpito con un’ascia ed un forcone Francesco Vinci, con Rosaria Mancuso che avrebbe incitato gli altri due gridando: “Ammazzatelo, ammazzatelo”. I colpi hanno provocato a Francesco Vinci un focolaio emorragico, una frattura scomposta della mandibola, una ferita al cranio, una ferita al viso, una vasta lacerazione della mucosa interna della guancia e ferite alle mani.
Vito Barbara, Domenico Di Grillo e Lucia Di Grillo sono stati ritenuti responsabili della detenzione illegale nel 2018 e della ricettazione di una pistola da ritenersi clandestina, oltre che della detenzione illegale di un fucile a pompa con matricola punzonata e della detenzione illegale di numerose munizioni, alcune caricate a pallettoni. Non ha retto, invece, l’accusa di estorsione aggravata dalle modalità mafiose mossa a Domenico Di Grillo, al genero Vito Barbara, a Lucia Di Grillo, e a Rosaria Mancuso. Nello specifico, gli imputati – secondo l’accusa – avrebbero intimato a più riprese ai coniugi Vinci-Scarpulla di cedergli il fondo del quale erano proprietari sito a Limbadi in contrada Macrea. Stessa formula assolutoria anche per il reato di minaccia aggravata dalle modalità mafiose contestato a Vito Barbara, Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo in relazione alle pressioni rivolte nei confronti di Francesco Vinci e Sara Scarpulla a cedere i loro terreni.
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