‘Ndrangheta: il “pentimento” di Onofrio Barbieri e ciò che potrebbe svelare su Sant’Onofrio e nel Vibonese
La Dda di Catanzaro impegnata a raccogliere le sue prime dichiarazioni ed a trovare i riscontri. Dal clan Bonavota ai patti segreti con imprenditori, politici e “colletti bianchi”, ecco perché il nuovo collaboratore potrebbe aiutare a decifrare i segreti inconfessabili della cosca
Potrebbe far male sul serio al clan Bonavota, il nuovo collaboratore di giustizia Onofrio Barbieri, 43 anni, alias “38”, di Sant’Onofrio ma residente a Vena Superiore e da tempo detenuto, ritenuto fra i personaggi più fidati di Domenico Bonavota. Ma, soprattutto, Onofrio Barbieri è uno che conosce i segreti della cosca da oltre vent’anni, avendo partecipato a decisioni di rilievo su omicidi e attività estorsive alle quali avrebbe preso parte in prima persona. Potrebbe costituire, inoltre, un formidabile riscontro anche alle dichiarazioni di almeno quattro collaboratori di giustizia se non di più: Andrea Mantella, unitamente al quale ha partecipato ad alcuni fatti di sangue (omicidi Cracolici e Di Leo per i quali si è beccato 30 anni di reclusione in via definitiva); Bartolomeo Arena che da Vibo Valentia ha raccontato i suoi rapporti e lo scambio di favori con il clan Bonvota; Raffaele Moscato del clan dei Piscopisani, che ha riferito dell’alleanza con la cosca di Sant’Onofrio e del “cartello” formato insieme al clan Emanuele delle Preserre ed una “frangia” del clan Mancuso con all’interno il gruppo nicoterese di Totò Campisi; Francesco Michienzi di Acconia di Curinga, soprattutto, che di fatti criminali lungo l’asse Sant’Onofrio-Angitola-Filadelfia ne ha raccontati così tanti da costituire uno dei perni principali della pubblica accusa nel processo Imponimento dopo che le sue dichiarazioni sono rimaste per quasi 15 anni a dormire in qualche “cassetto” nonostante l’operazione “Uova del drago”. Vista in tale ottica (e non solo in questa), la decisione di collaborare con la giustizia da parte di Onofrio Barbieri potrebbe rivelarsi importantissima per scardinare dal di dentro un clan – come quello dei Bonavota – dalle alleanze criminali infinite: dalle cosche della Jonica reggina al Crotonese, dalla Piana di Gioia Tauro a Lamezia Terme sino a legami pure con la criminalità organizzata pugliese e “tentacoli” a Roma, in Piemonte e in Canada. Senza dimenticare l’autorizzazione che dal 2012 sarebbe stata concessa ai Bonavota per aprire – secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia RaffAele Moscato – un autonomo “locale” di ‘ndrangheta a Sant’Onofrio.
I Bonavota e gli accordi con politici e imprenditori
Onofrio Barbieri potrebbe inoltre svelare i “patti” inconfessabili stretti dal clan Bonavota con politici e imprenditori. Il Consiglio comunale di Sant’Onofrio è stato infatti sciolto il 23 aprile 2009 per infiltrazioni mafiose e, secondo la relazione del Ministero dell’Interno, la cosca Bonavota avrebbe svolto un ruolo determinante nelle consultazioni elettorali del 2002 e 2007, con pesanti condizionamenti sulla vita dell’ente locale instaurando un clima di tensione e paura sugli organi di governo politici del Municipio. Stando sempre alla relazione di scioglimento, un candidato sarebbe addirittura arrivato a leggere dal palco di un comizio una lettera pervenutagli “dal cugino Pasquale” con l’indicazione da parte del clan sui candidati da favorire alle elezioni. In tale scenario ed arco temporale, Onofrio Barbieri c’era e potrebbe sapere molte cose non solo sulle comunali di Sant’Onofrio, ma anche sulle passate elezioni provinciali di Vibo Valentia. C’era sicuramente quando il clan Bonavota pianificava una serie di intimidazioni e attentati per impadronirsi dell’area industriale di Maierato, arrivando a colpire diverse attività imprenditoriali sino al raggiungimento della pax mafiosa una volta eliminato nel 2004 Raffaele Cracolici, il boss della zona, e de anni prima il fratello Alfredo. A che prezzo è stata siglata però tale pace? Quali e quanti accordi sono stati stretti nell’area che va da Sant’Onofrio a Pizzo passando per Maierato, e parte del bacino dell’Angitola, con imprenditori e “colletti bianchi”? Quante forniture di beni e servizi è riuscita ad imporre nella zona la cosca Bonavota in una realtà dove – come emerso anche da recenti inchieste – sotto controllo vi è pure la distribuzione del pane e il controllo delle pompe funebri?
Le processioni a Sant’Onofrio
Il tutto senza dimenticare che molto potrebbe riferire Onofrio Barbieri anche sulle feste religiose e le processioni di Pasqua a Sant’Onofrio nelle quali, negli scorsi anni, forte si è fatta sentire l’influenza del clan Bonavota nella scelta delle statue da portare a spalla. Nell’aprile del 2010 il vescovo è arrivato a sospendere la tradizionale Affruntata a Sant’Onofrio dopo un attentato subito dal priore della confraternita del santissimo rosario. Aspetti, quelli del legame tra i clan di Sant’Onofrio e la religione, che per la prima volta erano stati raccontati dal collaboratore di giustizia Rosario Michienzi (picciotto e killer del clan Petrolo in faida negli anni ’90 proprio contro il clan Bonavota) al pari successivamente dell’altro componente del commando della strage dell’Epifania del gennaio 1991, ovvero Gerardo D’Urzo le cui dichiarazioni avrebbero meritato miglior fortuna e, probabilmente, anche una Dda di Catanzaro che in quegli anni non decidesse di impegnarsi per il territorio vibonese con un solo pubblico ministero in campo.
I tempi da allora sono però cambiati ed oggi l’attenzione sul Vibonese è massima da parte della Procura distrettuale diretta da Nicola Gratteri che ha inserito tre pubblici ministeri di altissimo livello (e in qualche caso anche quattro) ad occuparsi di una ‘ndrangheta da serie A a tutti gli efeftti. Le prossime settimane faranno probabilmente comprendere la portata delle dichiarazioni di Onofrio Barbieri che, unite su altro fronte a quelle del collaboratore Pasquale Megna di Nicotera (clan Mancuso), potrebbero aprire squarci inimmaginabili nella ‘ndrangheta del Vibonese. A fronte di tutto ciò e di investigatori di primo livello resta un solo (grande) problema: gli uffici giudiziari vibonesi (leggasi Tribunale) sono attrezzati in termini di risorse umane (giudici e altro) per far fronte ai diversi processi che andranno ad instaurarsi su operazioni portate a termine dalla Dda? Attualmente il Tribunale di Vibo Valentia, quanto a numero di magistrati, è in condizioni di assicurare una celere giustizia nel penale senza di fatto “chiudere” e paralizzare altre sezioni importanti del Tribunale come quelle del Lavoro (dove i rinvii alle “calende greche” non si contano più) e del civile dove si accumulano ritardi inaccettabili per qualunque comunità? Sempre che la Dda di Catanzaro, per “aggirare” gli ostacoli di un Tribunale come quello di Vibo perennemente con “l’acqua alla gola” quanto ad organici insufficienti, non decida di spostare tutto in Corte d’Assise a Catanzaro visto che i reati più gravi sui quali fare luce – come gli omicidi – non mancano di certo e tale strada è stata già intrapresa con successo da anni ed anni nel distretto giudiziario di Reggio Calabria e Palmi (operazione “Tirreno” insegna). Chi vivrà, vedrà.
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