Sei anni fa l’omicidio di Prestia Lamberti, la Dda: «Adesione totale di Alex Pititto al clan di Mileto»
Nel pomeriggio una messa in suffragio del giovane freddato a soli 16 anni dal figlio di un narcotrafficante ed esponente dell'omonimo clan. Le contraddizioni nella confessione del delitto e il tentativo di coprire ulteriori responsabili
La tragedia che continua a scuotere gli animi non solo degli abitanti di Mileto, rinnova oggi il dolore, quello stato di stordimento e confusione, mista a incredulità, che sei anni fa travolse la provincia di Vibo, l’intera regione…l’Italia. Stiamo parlando dell’omicidio di Francesco Prestia Lamberti, il sedicenne ucciso in località Vindacitu, a Mileto, il 29 maggio del 2017 e per il quale il Tribunale dei minori di Catanzaro ha condannato Alex Pititto, allora quattordicenne, figlio di Salvatore Pititto, ritenuto figura di primo piano dell’omonimo clan e del narcotraffico. Un delitto atroce maturato nei meandri della gelosia ossessiva dell’assassino il quale, evidentemente, non perdonava a Francesco l’interesse che per lui nutriva una ragazzina del posto. Quella giovane, per Pititto, non si doveva toccare. Era “cosa sua”. Ciò che ne conseguì furono un appuntamento, – tra Alex Pititto e Francesco Prestia Lamberti – una strada sterrata, la campagna e due colpi di pistola contro la vittima. Ma nel racconto del reo confesso, e già condannato, Alex Pititto, più di qualcosa continua a non essere chiara. Mentre per oggi pomeriggio è prevista alle ore 18:30, nella chiesa Badia, una messa in suffragio di Francesco a sei anni dal delitto, del suo omicidio se ne occupa anche la recente inchiesta antimafia della Dda di Catanzaro denominata “Maestrale-Carthago”.
“L’attività criminale delle nuove leve della famiglia Pititto emerge altresì in una triste vicenda salita agli onori della cronaca nera nazionale, ovvero l’omicidio del sedicenne Francesco Prestia Lamberti avvenuto a Mileto il 29 maggio 2017. Per il delitto – ricorda la Dda di Catanzaro – è stato tratto in arresto Alex Pititto – figlio di Salvatore Pititto e nipote di Pasquale Pititto, entrambi indagati nell’inchiesta Maestrale-Carthago per associazione mafiosa – il quale nel settembre 2018 è stato condannato a 14 anni di reclusione dal Tribunale dei Minori di Catanzaro essendo Alex Pititto all’epoca dei fatti minorenne. Da quanto ricostruito, la sera del 29 maggio 2017, alle ore 22:00 circa, si presentava alla Stazione dei carabinieri di Mileto Alex Pititto, il quale in prima battuta raccontava una versione articolata della vicenda e poco veritiera. Da un primo sopralluogo i carabinieri riscontravano la presenza del cadavere di Francesco Prestia Lamberti. Nonostante Alex Pititto avesse confessato l’omicidio, l’arma del delitto non è stata mai rinvenuta, seppur è stato accertato che la stessa era legittimamente detenuta dal nonno Giuseppe Pititto. Il giorno seguente all’omicidio si presentava negli uffici della Stazione di Mileto, Domenico Evolo, il quale riferiva di aver condotto con l’autovettura, a suo dire inconsapevolmente, Francesco Prestia Lamberti e Alex Pititto nel luogo ove poi si è consumato l’omicidio. Di assoluto rilievo è che dopo essere risalito in macchina, Alex Pititto abbia minacciato con la pistola Domenico Evolo di non riferire nulla di quanto accaduto. Invero, gli elementi acquisiti hanno fatto emergere che Alex Pititto nelle fasi successive dell’omicidio era stato aiutato nel gestire l’intera vicenda da ulteriori persone. Difatti Evolo riferiva che dopo l’omicidio aveva accompagnato Alex Pititto presso il panificio dei Mesiano, nella frazione Calabrò di Mileto”. Nella parte motiva della sentenza vengono ricostruiti i fatti del 29 maggio 2017 facendo già emergere in tale sede elementi di “contraddittorietà e di palese reticenza in ordine ad elementi di non trascurabile rilevanza quali il movente o tutta la fase immediatamente successiva al delitto, tanto da non consentire il rinvenimento dell’arma” nella confessione di Alex Pititto che ha “chiaramente evidenziato delle non trascurabili parti mancanti della vicenda”.
Il contributo di ulteriori soggetti
Per i magistrati e gli inquirenti “appare evidente che il contributo dichiarativo non del tutto chiaro di Alex Pititto sia stato teso a nascondere agli organi inquirenti il contributo di ulteriori soggetti ed una versione dei fatti differente chiaramente finalizzata a concludere giudiziariamente tale vicenda al prezzo più basso essendo stato condannato solo Alex Pititto, all’epoca minorenne”.
Alex Pititto nella struttura criminale familiare
La Dda di Catanzaro e gli investigatori dell’Arma rimarcano quindi che la sentenza in questione “evidenzia una condotta di Alex Pititto che va ben al di là della semplice organizzazione ed esecuzione dell’omicidio di Francesco Prestia Lamberti. Difatti i specifici reati contestati allo stesso fanno emergere chiari elementi, nonostante la giovane età, di un’adesione totale alla struttura criminale di cui i parenti più prossimi sono esponenti apicali. Le azioni violente intraprese da Alex Pititto, nonché il regime di intimidazione ed assoggettamento omertoso costruito dallo stesso evidenziano proprio l’esercizio di quello specifico potere derivante dall’appartenenza alla criminalità organizzata. Difatti, va ricordato che la vicenda dell’omicidio di Francesco Prestia Lamberti ha origine da una relazione inizialmente intrattenuta da Alex Pititto con una ragazza nei cui confronti lo stesso ha instaurato un vero e proprio regime intimidatorio”. Eloquente la frase pronunciata da Alex Pititto nel malmenare alcuni giovani del luogo con un tubo di ferro e minacciarli con una pistola: “Dietro di me ci sono altre persone”. Un’azione di intimidazione messa in piedi da Alex Pititto e finalizzata a costringere i ragazzi picchiati a “riferirgli se tra i minori Francesco Prestia Lamberti e la ragazza vi fosse una relazione sentimentale”. Insomma, sebbene all’epoca solo quattordicenne, Alex Pititto avrebbe pienamente assorbito la mentalità criminale del padre Salvatore – già condannato per narcotraffico internazionale e altri reati – e dello zio Pasquale Pititto, 55 anni, quest’ultimo condannato all’ergastolo per un omicidio a Catanzaro ed a 25 anni per altri fatti di sangue consumati nel 1991 a Laureana di Borello su mandato del boss di Limbadi Giuseppe Mancuso.
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