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Rinascita Scott: lo scontro a Vibo tra i Pardea e i Pugliese nella requisitoria della Dda

Spazio alla suddivisione della città fra tre consorterie criminali che avrebbero gestito ogni affare illecito inserendosi anche nel tessuto economico, imprenditoriale e politico

Rinascita Scott: lo scontro a Vibo tra i Pardea e i Pugliese nella requisitoria della Dda
Nel riquadro Andrea Mantella in una vecchia foto

E’ la volta dei clan operanti nella città di Vibo Valentia per la requisitoria della Dda di Catanzaro nel maxiprocesso Rinascita Scott, portata avanti dai pm Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso. Nell’aula bunker di Lamezia Terme, dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, i rappresentanti della Dda di Catanzaro sono partiti da alcuni avvenimenti storici per spiegare la divisione della città tra le varie consorterie criminali.

La divisione della città

Salvatore Morelli

Deceduti alcuni esponenti storici del clan come Carmelo Lo Bianco (morto nel marzo 2014 a Parma), detto “Piccinni”, ed il cugino omonimo Carmelo Lo Bianco, detto “Sicarro” (deceduto a Vibo nel dicembre 2016) e da ultimo (2019) anche Raffaele Franzè, detto “Lo Svizzero”, ritenuto il “contabile” del clan Lo Bianco, la riorganizzazione della cosca ha previsto anche una suddivisione del territorio. Al clan Lo Bianco-Barba è rimasta la competenza sulla zona centrale di Vibo ed il centro storico, al clan Pardea (“Ranisi”) nel quale sono confluiti i Camillò, i Macrì, Salvatore Morelli e altri ex “fedelissimi” di Mantella, la zona che va dal Cancello Rosso al quartiere Sant’Aloe sino a piazza San Leoluca, al clan Pugliese (“Cassarola””), in cui sarebbe confluito anche Orazio Lo Bianco, il quartiere Affaccio e zone limitrofe.
All’interno del clan Lo Bianco-Barba – e specie dopo il decesso nel dicembre del 2016 di Carmelo Lo Bianco (cl. ’45”), detto “Sicarro”, – un ruolo rilevante sarebbe stato quindi assunto da Enzo Barba, detto “Il Musichiere”, 71 anni, fra i principali imputati dell’operazione “Rinascita-Scott” in qualità di promotore della cosca e per lunghi anni “braccio-destro” di Carmelo Lo Bianco detto “Piccinni”.

La ‘ndrina dei Pardea detti “Ranisi”

Raffaele Pardea

Pardea di Vibo Valentia sono una famiglia storica della ‘ndrangheta il cui capo era Ciccio Pardea – aveva spiegato il collaboratore Andrea Mantella, richiamato nel corso della requisitoria – che aveva sposato una sorella di mio padre. Mio cognato Niuccio Franzè da giovane era affiliato proprio al clan Pardea e aveva un rapporto di fratellanza con Michele Pardea, poi ucciso nel Casertano. I Pardea sul finire degli anni ’70 hanno perso di credibilità e sono emerse le figure di Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni, e Francesco Fortuna detto Ciccio Pomodoro. Il vero capo – ha dichiarato Mantella – era però Carmelo Lo Bianco, in quanto Francesco Fortuna era più un azionista, un personaggio con poco cervello al soldo di Carmelo Lo Bianco che era invece il vero capo”. In precedenza, a mediare fra i Pardea ed i Lo Bianco ci sarebbe stato su Vibo Valentia Antonio Zoccoli (deceduto nel 1977 all’età di 78 anni”), un vecchio patriarca della ‘ndrangheta – indicato anche da Mantella nel corso dell’esame – proveniente da Santo Stefano d’Apromonte ed inviato a Vibo in soggiorno obbligato durante il periodo fascista.
I Pardea, perdendo prestigio, da padroni della ‘ndrangheta di Vibo – aveva dichiarato il collaboratore – sono diventati dei garzoni sotto l’influenza dei Lo Bianco. Domenico Pardea, alias Il Professore, aveva un’azienda di movimento terra ed ha fatto tanti lavori insieme a Nicola Tripodi anche per il nuovo carcere di Vibo. Aveva pure le autobotti del gasolio a Vibo Marina. Michele Pardea ha fatto tanti anni di carcere per un omicidio e quando è uscito voleva vendicare coloro, che nel frattempo, gli avevano ucciso il fratello, ovvero Antonio Pardea detto Furia, ed avevano eliminato pure i fratelli Tambuscio. Antonio Pardea – ha sostenuto Mantella – è stato ucciso dai Pugliese, detti Cassarola, ed il corpo è stato buttato in pilastri di cemento a Briatico. Michele Pardea, che in carcere aveva stretto un’alleanza con i Casalesi, una volta fuori voleva distruggere tutti i Pugliese-Cassarola, ma è stato tradito ed è morto in un agguato nel Casertano.

La ‘ndrina dei Pardea sarebbe così passata sotto la guida di Domenico Camillò, detto Mangano, fratellastro dei Pardea ma amicone – ha sostenuto Mantella – e compagno di merende di Carmelo Lo Bianco, Piccinni, ed Enzo Barba”. Gli unici della famiglia Pardea che avrebbero coltivato propositi di vendetta nei confronti della famiglia Pugliese (Cassarola”), a detta di Mantella, sarebbero stati Francesco Antonio Pardea “e il padre Raffaele Pardea – ha dichiarato il collaboratore – con Francesco Antonio appartenente al mio gruppo. Avevano propositi omicidiari contro i Cassarola, ma io non ho mai dato l’assenso per uccidere i Pugliese”. La pubblica accusa si è quindi soffermata anche sul ruolo di Antonio Macrì (padre di Mommo Macrì) all’interno del clan. Una ricostruzione possibile soprattutto grazie alle dichiarazioni di Bartolomeo Arena, Michele Camillò e Gaetano Cannatà.

La ‘ndrina dei Pugliese

Rosario Pugliese

E’ la ‘ndrina dei “Cassarola”, dal soprannome della famiglia Pugliese guidata da Rosario Pugliese, alias “Saro Cassarola”, 57 anni, di Vibo Valentia. Quale promotore del sodalizio, con compiti rappresentativi e decisionali, fungendo da spalla al padre Rosario Pugliese –  coordinando le attività del sodalizio e la gestione dei sodali –la Dda ha invece collocato Francesco Pugliese, 35 anni, mentre coordinatore del sodalizio, occupandosi dell’ala imprenditoriale ed economica della consorteria, anche rendendosi disponibile a farsi intestare fittiziamente attività imprenditoriali – soprattutto nel settore delle pompe funebri – di fatto riconducibili a Rosario Pugliese, viene invece indicato Orazio Lo Bianco, 49 anni, anche lui di Vibo. La Dda ha ricordato in aula nel corso della requisitoria che per lui l’accusa di associazione mafiosa contempla pure quella di aver intrattenuto “rapporti con esponenti dell’amministrazione comunale di Vibo Valentia” – quali il fratello Alfredo Lo Bianco (già consigliere comunale ed imputato per scambio elettorale politico-mafioso”) e l’ex assessore Vincenzo De Filippis (pure lui imputato) – , orientando il pacchetto di voti “a disposizione” della famiglia in favore dei politici ritenuti vicini al sodalizio, contribuendo alla loro elezione, mantenendo così i rapporti con gli stessi.

Orazio Lo Bianco

Avrebbe poi mantenuto rapporti con alcuni imprenditori, ponendo in essere reati di truffa aggravata e turbativa d’asta e fungendo da collegamento tra il vertice e gli altri sodali ed occupandosi dell’assistenza ai sodali detenuti. Orazio Lo Bianco si sarebbe infine occupato, secondo l’accusa, anche direttamente di attività estorsive. Fondamentali per ricostruire le attività illecite della ‘ndrina dei “Cassarola”, oltre alle intercettazioni ambientali e telefoniche, anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Andrea Mantella (cugino, fra l’altro, di Rosario Pugliese”) e Bartolomeo Arena. In particolare, quest’ultimo, ha dettagliatamente indicato genesi ed evoluzione dello scontro fra il suo gruppo – ricomprendente gli ex appartenenti al sodalizio guidati da Mantella, esponenti delle famiglie Camillò-Macrì e anche della famiglia Pardea (detti “Ranisi””) – e quello dei “Cassarola”, con la preparazione di un agguato ai danni proprio di Rosario Pugliese. Agguato fallito a seguito della decisione di Bartolomeo Arena di collaborare con la giustizia.

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