Uccise la fidanzata, Procura generale per le attenuanti generiche al vibonese De Pace
La richiesta nel processo d’appello a Messina per l’omicidio di Lorena Quaranta. In primo grado l’imputato di Dasà è stato condannato all’ergastolo
La concessione delle attenuanti generiche lasciando ai giudici la valutazione del ‘quantum’. E’ la richiesta avanzata dalla Procura generale alla Corte d’Assise d’Appello di Messina a conclusione della requisitoria del processo ad Antonio De Pace, 30 anni, di Dasà, imputato dopo aver confessato di aver ucciso la sua fidanzata Lorena Quaranta, la giovane agrigentina morta nella notte fra il 30 e il 31 marzo 2020 a Furci Siculo, nel Messinese. In primo grado l’imputato è stato condannato all’ergastolo. Una scelta non condivisa dalla famiglia della vittima: “Le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise sono ineccepibili – osserva il loro legale, l’avvocato Giuseppe Barba – per noi non c’è spazio per non confermare l’ergastolo”. Lorena, originaria di Favara (Agrigento), si stava laureando in medicina all’Università di Messina. E’ stata strangolata nell’abitazione della coppia. A ottobre del 2020 l’ateneo ha proclamato Lorena Quaranta dottoressa in Medicina e Chirurgia, con la votazione di 110 e lode. Prossima udienza del processo il 28 giugno con le conclusioni delle parti civili e, a seguire, l’arringa della difesa.
Antonio De Pace, secondo quanto ricostruito dalle indagini, ha colpito Lorena con un oggetto contundente per tramortirla e poi le ha messo le mani al collo per strangolarla, causandone la morte pochi istanti dopo per asfissia acuta da soffocazione diretta. La ragazza è morta per asfissia da soffocamento secondo i risultati dell’autopsia disposta – unitamente ad accertamenti tecnici irripetibili affidati al laboratorio scientifico dell’Arma dei carabinieri – dalla Procura di Messina. Antonio De Pace aveva affermato di aver ucciso la fidanzata con una coltellata allo stomaco, ma gli accertamenti medico legali hanno invece confermato lo strangolamento, oltre a dei traumi da corpo contundente e poi calci e pugni. Il reato contestato ad Antonio De Pace era quello di omicidio volontario pluriaggravato dai motivi abietti o futili, poiché il fatto è stato commesso su una convivente stabile o da soggetto legato da una relazione sentimentale.
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