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Il furto di 110 Kg di cocaina dietro l’omicidio commesso dal vibonese Nesci a Roma

Giovanni Nesci di Sorianello si era consegnato parlando di pista passionale. Dall'inchiesta Eureka emerge invece l'inserimento, insieme al fratello e al cugino, nel narcotraffico dei Mammoliti di San Luca e la scomparsa di stupefacente per 3 milioni e mezzo di euro. Dal progettato sequestro di persona di Catapano sino al telefonino in carcere, ecco tutti gli sconvolgenti retroscena di un fatto di sangue che ha scosso la Capitale

Il furto di 110 Kg di cocaina dietro l’omicidio commesso dal vibonese Nesci a Roma
La villetta dinanzi alla quale è stato compiuto l'omicidio e nel riquadro Giovanni Nesci

Non si era trasferito nel 2020 da Sorianello a Roma per lavorare, l’imbianchino Giovanni Nesci, reo confesso dell’omicidio del 48enne Fabio Catapano, il vicino di casa freddato a colpi di pistola alle 10 del mattino del 17 luglio 2020 dinanzi al cancello di casa a Castel di Leva, nell’agro romano. Condannato nel luglio dello scorso anno dalla Corte d’Assise di Roma a 18 anni di carcere per il delitto, la sconvolgente verità sull’omicidio arriva oggi dagli atti dell’operazione Eureka della Dda di Reggio Calabria che lo vede destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per narcotraffico insieme al fratello Francesco, di 22 anni, ed al cugino Gregorio Tassone, 31enne di Spadola. [Continua in basso]

Le accuse di narcotraffico

Giovanni Nesci

I fratelli Francesco e Giovanni Nesci sono accusati di aver preso parte ad un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico ed in particolare – su indicazione di Francesco Mammoliti, 50 anni, di San Luca (del clan dei c.d. “Fiaschiante”) – avrebbero gestito un deposito di cocaina e denaro localizzato a Roma, ricevendo lo stupefacente che veniva ivi stoccato e consegnato ai corrieri. Francesco Nesci (nel marzo scorso condannato a Messina a 4 anni e 6 mesi per narcotraffico in altra inchiesta) sarebbe stato il responsabile del deposito nel Lazio e si sarebbe occupato di preparare il denaro da trasferire a Napoli procedendo allo stoccaggio di una parte del carico.
Giovanni Nesci è invece accusato di essersi occupato in un’occasione – su indicazioni impartite da Francesco Mammoliti – del trasporto della cocaina, della consegna agli acquirenti e del ritiro dei relativi proventi. Come in occasione della vendita di tre chili di cocaina al prezzo di 33mila euro al chilo. Ma è l’accusa di aver detenuto ben 110 chili di cocaina – per un valore di oltre tre milioni e mezzo di euro – a dare una spiegazione ben diversa all’omicidio di Fabio Catapano ed a sgomberare definitivamente il campo dalla pista del delitto passionale di cui Giovanni Nesci – consegnandosi nell’immediatezza del fatto ai carabinieri – si era accusato dopo aver freddato il vicino di casa.

L’omicidio e la sconvolgente verità

“Ho ucciso Fabio Catapano perché pensava avessi una storia con la compagna”, le parole di Giovanni Nesci nel luglio del 2020 prima di chiudersi nel silenzio davanti al pm ed al gip. La Corte d’Assise di Roma nel condannarlo a 18 anni ha escluso la premeditazione nel fatto di sangue.
“Giovanni per me era come un figlio, ho accolto amorevolmente lui e gli altri tre amici tutti calabresi con i quali era venuto a vivere dietro casa nostra. Erano sempre da me e Fabio, stavano con i nostri figli. Facevo per loro le ciambelle e ora Giovanni ha detto ai carabinieri di aver ammazzato mio marito. Così, a sangue freddo. Ma per me stava fuori, era spaventato. Non era drogato, ma aveva gli occhi rossissimi ed era terrorizzato per qualcosa, aveva invece dichiarato la moglie di Fabio Catapano dopo l’omicidio. 

Ma cosa terrorizzava Giovanni Nesci e che la moglie della vittima aveva intuito? Lo svela oggi l’ordinanza del gip distrettuale di Reggio Calabria. L’omicidio è avvenuto all’esterno del comprensorio di villette a schiera sito in località Spregamore, via Sparanise numero 64, nel comune di Roma. Nesci subito dopo aver ucciso Fabio Catapano si è costituito alla Stazione carabinieri di Roma Divino Amore, adducendo motivazioni di natura sentimentale.

L’attenta disamina delle chat intercorse tra gli indagati – evidenzia il gip di Reggio Calabria – consente però di ricondurre quel grave fatto di sangue al furto di 110 chili di cocaina che erano stati trafugati due giorni prima, in data 15 luglio 2020, da una villetta a schiera ubicata a Roma in via Sparanise.

La partita di droga dei Mammoliti di San Luca

Le indagini hanno dimostrato che si trattava di una partita di cocaina appartenente alla famiglia Mammoliti di San Luca ed affidata in custodia a Giovanni Nesci, ritenuto dal gip un sodale dei Mammoliti, con il ruolo di corriere e fiduciario per il deposito di Roma. Giovanni Nesci riteneva Fabio Catapano, vicino di casa, responsabile della sottrazione (il 15 luglio 2020) dei 110 chili di cocaina.

I messaggi scambiati nei giorni precedenti da Francesco Mammoliti, dal figlio Sebastiano Mammoliti, dai fratelli Giovanni e Francesco Nesci dimostrano che il precedente 13 luglio 2020 – quindi due giorni prima del furto – la famiglia Mammoliti aveva fatto recapitare ai fratelli Nesci l’ingente carico di cocaina.

Il furto e i sospetti

Dal 15 al 17 luglio 2020, tramite chat, gli investigatori hanno registrato un frenetico scambio di messaggi aventi ad oggetto il recupero della sostanza stupefacente rubata. I sospetti erano ricaduti immediatamente su Fabio Catapano, vicino di casa di Nesci, unica persona che, a detta di quest’ultimo, poteva essere a conoscenza della presenza della cocaina, avendo avuto modo di assistere allo scarico e all’introduzione della sostanza all’interno della villetta”. A detta di Giovanni Nesci, complice di Fabio Catapano sarebbe stato un soggetto del Napoletano che aveva avuto il compito di condurre Giovanni Nesci fuori dalla villetta e lasciare così incustodita la preziosa merce. Questi i messaggi in chat di Giovanni Nesci: “Sì, perchè io sono mancato di casa dalle 10 alle 12:30; “Mi ha invitato”; “E abbiamo fatto i gamberoni’; “E sto porco ha inviato la foto dei gamberoni all’altro napoletano“; “Secondo me quello è stato il via’. Il via libera per il furto che avrebbe messo nei guai lo stesso Giovanni Nesci con la potente famiglia dei Mammoliti di San Luca.

Il programmato sequestro di persona

I Mammoliti, determinati a rientrare in possesso dello stupefacente sottratto, il cui valore veniva dagli stessi calcolato in tre milioni e mezzo di euro, decidevano quindi di sequestrare Fabio Catapano per farsi dire dove si trovasse la cocaina rubata. I soggetti coinvolti nella programmazione del sequestro di persona – ad avviso del gip – erano: Giovanni Nesci, Sebastiano Mammoliti, Giuseppe Mammoliti cl. 71, Francesco Mammoliti cl. 73, Domenico Mammoliti cl. 68 e Giuseppe Giorgi cl. 90, nonché Gregorio Tassone cl. 92 di Spadola e Francesco Nesci.
Per l’esecuzione del sequestro i Mammoliti si sarebbero rivolti, oltre a Nesci e Tassone, anche a soggetti gravitanti nella criminalità organizzata romana, i quali, dopo un’iniziale disponibilità, si sarebbero però tirati indietro, reputando l’operazione ad alto rischio di arresto, e beccandosi così le rimostranze di Domenico Mammoliti: “Non valgono niente questi romani”.

L’arrivo di Giorgi a Roma e il precipitare degli eventi

A questo punto, visto il tergiversare della situazione, il 16 luglio 2020 Giuseppe Giorgi si sarebbe recato da San Luca a Roma per sovrintendere e partecipare al sequestro di persona. Ivi giunto, Giuseppe Giorgi avrebbe messo alle strette Giovanni Nesci prospettandogli gravi ritorsioni laddove non avesse recuperato lo stupefacente rubato. A partire da 16 luglio 2020, quindi, cominciava a serpeggiare tra i Mammoliti il sospetto che a rubare la droga potesse essere stato lo stesso Nesci, per come esplicitato da Giuseppe Mammoliti con espressioni con cui chiaramente si attribuiva la paternità della sostanza stupefacente.
“Detti sospetti – ha rimarcato il gip – avevano sconvolto Giovanni Nesci il quale, oltre a non sopportare l’idea di essere considerato un traditore, temeva vendette da parte dei Mammoliti. A questo punto, Giovanni Nesci, per dimostrare ai Mammoliti di non essere stato l’autore del furto dei 110 kg di cocaina, piuttosto che eseguire il sequestro di persona ideato, decidevadi propria iniziativa – di uccidere Fabio Catapano”.

I messaggi di Giovanni Nesci ai Mammoliti ed alla madre

La notizia dell’uccisione del Catapano era stata preceduta (di poche decine di minuti) da un eloquente messaggio inviato da Giovanni Nesci a Francesco Mammoliti con cui annunciava un gesto drammatico al solo fine di essere creduto dagli stessi Mammoliti (“Vediamo se mi credete ora, compà”). Contestualmente, Giovanni Nesci mandava un messaggio alla propria madre con cui le manifestava tutto il suo affetto (‘‘Ti voglio bene mamma’).
I Mammoliti, avendo compreso che Giovanni Nesci stesse per compiere un gesto estremo (suicidarsi o uccidere Catapano), davano disposizioni affinchè venisse rintracciato e fermato. Avuta la conferma che Giovanni Nesci aveva ucciso Catapano, la notizia veniva appresa dai Mammoliti con evidente stupore e disappunto, nonché con profonda preoccupazione, sia per le conseguenze che ne sarebbero potute derivare, sia per l’impossibilità di recuperare i 110 chili di cocaina, avendo gli stessi l’intenzione esclusiva di tenere in sequestro il Catapano sin tanto che non avesse consegnato la refurtiva. Appreso dell’omicidio, i Mammoliti avrebbero dato ordine a tutti i sodali di non fare più alcuna telefonata e di bruciare tutti i telefoni.

Ma per Tassone “Giovanni non è un infame”

E’ il cugino di Giovanni Nesci – Gregorio Tassone -, avvenuto l’omicidio, a spiegare ai Mammoliti (ugualmente intercettati) il gesto del congiunto: “Il fatto che sospettavate di lui l’ha mandato al tappeto’; “Compare avete mandato messaggi che l’avreste ammazzato”; “Quello è andato in panico’; “Ma non è un infame, compari’; “Lui l’ha fatto per dimostrare che è dalla nostra parte’; “Lui vi ha voluto dimostrare che ha avuto la leggerezza ma non è infame’; “Temeva di essere ucciso, compà”; “Ha voluto salvare l’onore prima di tutto”; “Per dimostrare che lui non si sarebbe mai permesso”; “Qui meno di venti anni non si fa, compari”. Giuseppe Giorgi, del resto, secondo quanto ricostruito dal gip reggino, avrebbe inviato un messaggio a Giovanni Nesci per avvisarlo che se non avesse recuperato la cocaina rubata “avrebbe inviato un sicario di origini albanesi per assassinare tutti, compresi anche i familiari di Nesci”. Non solo. “Al fine di capire le reali motivazioni del gesto compiuto da Giovanni Nesci – ha rimarcato il giprisultavano importanti sicuramente le affermazioni proferite da Gregorio Tassone nel momento in cui spiegava a Sebastiano Mammoliti che le minacce di morte avanzate nei confronti dello stesso sospettato per l’ammanco dello stupefacente, lo avevano sottoposto a coartazioni psicologiche tali da indurlo a compiere un tale gesto ben più grave rispetto a quello che gli era stato preordinato di compiere, cioè il sequestro di persona di Catapano.
“Quello è andato in panico” – avrebbe spiegato Tassone, ma i Mammoliti per tutta risposta si sarebbero “lavati le mani” per l’omicidio commesso e avrebbero anche fatto una similitudine sui frutti degli alberi:È sua la responsabilità. La pirara fa pira e la pumara fa puma”.

Gli altri messaggi di Nesci: “Uccidetemi se non mi credete”

Sono sempre i messaggi mandati da Giovanni Nesci prima del fatto di sangue a chiarire ancora meglio la vicenda ed a svelare tutti i suoi timori per la scomparsa dei 110 chili di cocaina. Eccoli: “Ci conosciamo da un anno con vostro padre, lui può dirvi io sempre presente e mai toccato niente”; “Lo so compà che si tratta di milioni e della vita mia“; “Compà venite e ammazzatemi, vi do la mia testa se non mi credete”.

Tassone disposto a sparare al napoletano

Anche dopo l’omicidio di Catapano, per convincere i Mammoliti dell’estraneità di Giovanni Nesci dal furto di cocaina, il cugino Gregorio Tassone si sarebbe proposto di uccidere il napoletano sospettato della sottrazione del narcotico. “Compà ascoltatemi, vi prego”. Io ho dato l’anima per vostro padre. E rifarei tutto dall’inizio. Per me è stato un onore. Vi chiedo di non avere dubbi su quei ragazzi. Vostro padre per me è il padre che non ho mai avuto e ho una stima immensa … e io ho una stima e un rispetto infinito…Il mio parente non avrebbe mai tradito vostro padre nè me e si è visto il risultato. Resta l’altro: il napoletano. Se volete vado e gli sparo a lui e a tutta la famiglia. Io più di questo non so che dire”.

I timori per un pentimento di Nesci

Il gruppo dei Mammoliti e dei Giorgi, una volta appreso dell’omicidio di Fabio Catapano e della consegna ai carabinieri di Giovanni Nesci – sebbene quest’ultimo avesse nell’immediatezza riferito ai militari dell’Arma di un movente sentimentale in ordine al fatto di sangue – si sarebbero fortemente preoccupati di un eventuale “pentimento” del giovane di Sorianello. Giuseppe Giorgi (cl. ’90) avrebbe così scritto a Sebastiano Mammoliti (cl. ’93) rappresentandogli di essere timoroso che l’arrestato potesse collaborare con la giustizia:“Mamma miaaa…, questo si pente”.

Considerato che Giovanni Nesci aveva commesso l’omicidio costituendosi poco dopo, Giuseppe Giorgi conscio di aver concorso – anche se indirettamente – all’evento, essendo stato egli stesso a minacciare Giovanni Nesci circa il fatto che se non avesse sequestrato il responsabile dell’ammanco dello stupefacente al fine di recuperarlo avrebbe pagato con la propria vita, si preoccupava – evidenzia il gip – che lo stesso potesse rivelare circostanze che avrebbero potuto comprometterlo (“Speriamo non parla”… “Solo questo si deve pregare” …”Suo fratello cosa dice? “Che non dovrebbe parlare, vero? Speriamo Dio e i santi che non parla”).

Un telefonino in carcere per Giovanni Nesci

Giovanni Nesci ad oggi non ha parlato, beccandosi in primo grado (l’appello è ancora da celebrare) 18 anni di carcere per l’omicidio di Fabio Catapano. Ma dalle indagini della Dda di Reggio Calabria emerge anche un altro particolare sconcertante. “Validissimi alle indagini in corso sono i contenuti testuali che fornivano la cognizione – ha sottolineato il gip – della disponibilità di un telefonino cellulare nelle mani di Giovanni Nesci già nel mese di novembre 2020, periodo in cui lo stesso era ristretto presso la casa circondariale di Terni”. E’ Sebastiano Mammoliti a svelarlo nelle intercettazioni: “Dove vi siete sentito nel telefonino, gli avete entrato tel.?”, e Gregorio Tassone di rimando:“Sì compà, uno di quelli piccoli”.
Anche di questo dovranno ora rendere conto alla giustizia i “compari” reggini e vibonesi, a “braccetto” per un colossale traffico di cocaina che ha portato ad un omicidio che ha sconvolto la Capitale e che aspetta ora di essere riletto totalmente.

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