‘Ndrangheta, il “ciclone” Megna si abbatte sui Mancuso: «Non hanno onore, dedicherò la mia vita a combattere le mafie»
Il nuovo collaboratore di giustizia vuota il “sacco” con la Dda e riferisce su molteplici fatti di sangue, oltre che su accordi e affari della più potente cosca del Vibonese. Ecco perché ha ucciso Muzzupappa
Rischia di aprire scenari sino a qualche mese fa decisamente impensabili il nuovo collaboratore di giustizia Pasquale Megna, 38 anni, di Nicotera Marina, arrestato nella notte fra l’8 e il 9 gennaio scorso nel quartiere Feudotto di Vibo Valentia dopo essersi dato alla macchia il 2 dicembre 2022 in quanto accusato dell’omicidio ai danni di Giuseppe Muzzopappa, freddato a colpi di pistola la sera del 26 novembre dello scorso anno non lontano dal lungomare di Nicotera. Parentele di peso per il nuovo collaboratore di giustizia che la Dda di Catanzaro ha chiesto al Tribunale collegiale di Vibo Valentia di escutere nell’ambito del maxiprocesso Rinascita Scott. Pasquale Megna si dimostra a conoscenza di molteplici avvenimenti. “Sono in grado di riferire di omicidi, di tentati omicidi, omicidi e di tante altre cose, la maggior parte delle quali afferenti fatti di ‘ndrangheta. I Mancuso l’onore non sanno neanche dove sta di casa. Io ho deciso di collaborare per i miei figli e la mia famiglia e se non riuscirò a finire questo percorso, con o senza la mia famiglia accanto, dedicherò il resto della mia vita a combattere contro le mafie e far capire ai giovani che la vita è una e la parte giusta è il lavoro, la dignità e la legalità”.
Queste le prime dichiarazioni agli investigatori di Pasquale Megna, figlio di Assunto Natale Megna, quest’ultimo cognato del boss Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, che sta scontando l’ergastolo. Assunto Natale Megna e Pantaleone Mancuso sono cognati in quanto hanno sposato le sorelle Buccafusca. [Continua in basso]
L’omicidio Muzzopappa
Pasquale Megna ammette agli inquirenti di aver sparato contro Giuseppe Muzzupappa a Nicotera Marina, ma spiega anche che l’omicidio è avvenuto all’interno di un bar e non all’esterno. Il cadavere della vittima sarebbe quindi stato spostato inquinando così la scena del crimine. Al tempo stesso diverse persone avrebbero cercato di far sparire le videoriprese da parte delle telecamere. “Ho ucciso Giuseppe Muzzopappa perché quel giorno se non lo avessi ammazzato io – ha dichiarato Pasquale Megna – lui avrebbe ammazzato me, per timore di fare una brutta fine io stesso, che poi era la ragione per la quale giravo armato”.
L’omicidio non si collocherebbe in ragioni di astio fra i due, ma andrebbe ricercato in una spaccatura risalente nel tempo all’interno della cosca Mancuso: da un lato i due cugini Pantaleone Mancuso (Scarpuni e l’Ingegnere) alleati, dall’altro il gruppo di Totò Campisi (figlio dell’assassinato Mimmo Campisi) di cui Giuseppe Muzzopappa avrebbe fatto parte unitamente ad Alfonso Cuturello, al padre di quest’ultimo Salvatore Cuturello. Pasquale Megna sottolinea quindi che la moglie di Salvatore Cuturello (e quindi mamma di Alfonso Cuturello) altri non è che “Franca Mancuso che dirigeva tutto” ovvero la figlia del boss Giuseppe Mancuso, alias ‘Mbrogghja, all’epoca detenuto. La famiglia Megna, per via del vincolo parentale con Pantaleone Mancuso (Scarpuni) ed il legame fra un fratello di Pasquale Megna e la figlia di Pantaleone Mancuso, alias “l’Ingegnere”, sarebbe entrata nel “mirino” del gruppo Campisi-Cuturello, intenzionato a vendicare l’omicidio di Domenico Campisi avvenuto nel giugno del 2011 e che veniva attribuito ai due cugini Pantaleone Mancuso.
“Si doveva girare armati per evitare di essere assassinati. Ho più volte mandato ‘mbasciate – ha dichiarato Megna – per dire che potevamo stringerci la mano o anche rimanere nemici e non parlarci e non salutarci, ma che non era il caso di andare avanti così. Come risposta avevo ricevuto da Giuseppe Muzzupappa la seguente espressione: digli che come li vedo li sparo, a lui, al fratello ed al padre. Quel giorno in cui sono entrato nel bar a Nicotera non avevo intenzione di uccidere Muzzupappa, io sono sbiancato nel vederlo arrivare. Avevo però la pistola con me, perché ormai mi dovevo “guardare”, ma sapevo bene che i miei figli avrebbero in ogni caso perso un padre: lo avrebbero perso perché rischiavo ogni giorno di essere ucciso da loro, oppure perché uccidendo io qualcuno di loro, sarei finito in carcere”. E’ andata proprio come nella seconda ipotesi e Pasquale Megna ha deciso di collaborare con la giustizia e questa volta di permettere agli inquirenti di assestare un colpo “mortale” al clan Mancuso.
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