martedì,Ottobre 22 2024

Istituti di vigilanza e corruzione a Vibo: tre ordini di carcerazione di cui uno sospeso

Dopo la sentenza della Cassazione che ha concluso l’iter giudiziario iniziato grazie alle dichiarazioni del testimone di giustizia Pietro Di Costa, in due su quattro dovranno scontare la pena detentiva. Si aspettano invece ulteriori sviluppi per le dichiarazioni rilasciate dal teste in altre indagini ad iniziare dal “cimitero degli orrori” di Tropea

Istituti di vigilanza e corruzione a Vibo: tre ordini di carcerazione di cui uno sospeso
Nel riquadro il testimone di giustizia Pietro Di Costa

Arrivano gli ordini di carcerazione per tre dei quattro condannati in via definitiva nell’ambito della vicenda giudiziaria nata da un’inchiesta antimafia scattata nel novembre del 2013 e che mirava a far luce sulle pressioni e le ingerenze della criminalità sugli istituti di vigilanza operanti nel Vibonese. In carcere per scontare la pena va Michele Purita, 56 anni, di Cessaniti, che è stato condannato a 5 anni di reclusione. Si trovava invece già in carcere per altro Carmelo Barba, di 41 anni, di Vibo Valentia, condannato anche lui a 5 anni. Ordine di carcerazione, con contestuale sospensione, anche per Paolo Potenzoni, di 47 anni, di San Costantino Calabro, condannato a 4 anni. In tale ultimo caso, essendo la pena contenuta entro i quattro anni e non essendoci aggravante nel reato contestato, Potenzoni potrà accedere all’affidamento in prova al posto della detenzione. L’intera vicenda giudiziaria nasce dalle dichiarazioni del testimone di giustizia, Pietro Di Costa, di Tropea, del quale la Cassazione ha ora certificato l’attendibilità. Le sue dichiarazioni hanno infatti trovato i necessari riscontri per giungere ad una sentenza di colpevolezza definitiva nei confronti di quattro imputati (condannato anche il poliziotto Stefano Mercadante a 3 anni e 10 mesi). Pietro Di Costa aveva in particolare denunciato un “sistema” fatto di illecita concorrenza andato avanti per anni, minacce e una tentata estorsione ai suoi danni in quanto titolare di un istituto di vigilanza a Tropea che avrebbe operato in concorrenza con l’istituto di Purita. I reati per Purita e Barba erano aggravati dalle modalità mafiose e dalla presunta vicinanza ai clan Lo Bianco e Barba di Vibo Valentia. Pietro Di Costa sarebbe stato così costretto con metodi mafiosi ad astenersi dall’operare in concorrenza con l’istituto di vigilanza (Sud Security) gestito da Michele Purita. [Continua in basso]

Pietro Di Costa e le altre inchieste

Pietro Di Costa ha reso dichiarazioni anche in altre inchieste (Black money su tutte) ed in particolare sul “sistema” di sorveglianza dei villaggi turistici nella zona di Capo Vaticano, Tropea e dintorni, messo in piedi dai clan con l’imposizione di “guardianie” e “protezioni”. Le ultime dichiarazioni di Pietro Di Costa – in buona parte ancora omissate (segno che potrebbero sfociare in ulteriori sviluppi giudiziari) – fanno invece riferimento ai “fattacci” relativi al cimitero degli orrori di Tropea dove alcuni cadaveri sarebbero stati illecitamente disseppelliti, sezionati, distrutti e bruciati dal custode Franco Trecate e dal figlio. Una vicenda portata alla luce nel febbraio del 2021 dalla Guardia di finanza e dalla Procura di Vibo Valentia ma che potrebbe riservare ulteriori “sorprese” proprio per via delle denunce di Pietro Di Costa che, al tempo stesso, ha però lamentato ripetutamente in questi anni “l’abbandono” da parte delle istituzioni e i pericoli per la propria incolumità personale.

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