Omicidio De Pietro a Piscopio: chiesti due ergastoli in Corte d’Assise
Rosario Fiorillo, ritenuto l’esecutore materiale del delitto, avrebbe voluto uccidere anche la propria madre. Il fatto di sangue quale ascesa del clan dei Piscopisani. Decisive le dichiarazioni di Mantella, Moscato e Bartolomeo Arena
Condanna alla pena dell’ergastolo. Questa la richiesta avanzata dal pm della Dda di Catanzaro, Andrea Buzzelli, dinanzi alla Corte d’Assise di Catanzaro nei confronti di Rosario Battaglia, 39 anni, di Piscopio, e Michele Fiorillo, 37 anni, alias “Zarrillo”, pure lui di Piscopio accusati di concorso nell’omicidio ai danni di Antonio De Pietro. Rosario Battaglia è difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Walter Franzè, Michele Fiorillo dall’avvocato Diego Brancia. La vittima, di Nicotera, impiegato della direzione provinciale del lavoro di Vibo Valentia, è stata freddata a colpi di pistola nei pressi del cimitero di Piscopio l’11 aprile 2005. Ad eseguire materialmente il fatto di sangue sarebbe stato Rosario Fiorillo, 32 anni, alias “Pulcino” – cugino di Battaglia e “Zarrillo” – la cui posizione è stata stralciata in quanto quindicenne all’epoca dei fatti e quindi competente il Tribunale per i minorenni. [Continua in basso]
Antonio De Pietro sarebbe stato ritenuto dagli imputati “colpevole” di aver intrattenuto una relazione extraconiugale con Maria Concetta Immacolata Fortuna, madre di Rosario Fiorillo, a causa della quale la donna stava dilapidando il patrimonio dell’intera famiglia. Tale rapporto more uxorio sarebbe stato fortemente osteggiato da Rosario Fiorillo, ritenuto l’esecutore materiale del delitto ma aiutato per compiere il delitto dai cugini Rosario Battaglia e Michele Fiorillo. Le primissime attività investigative espletate all’epoca dell’uccisione di De Pietro avevano condotto all’esecuzione di un fermo di indiziato di delitto nei confronti dei presunti responsabili, provvedimento che, tuttavia, non era stato convalidato per carenza di gravità indiziaria, con conseguenti scarcerazioni.
Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Raffale Moscato e Andrea Mantella, puntualmente riscontrate dagli investigatori della Squadra Mobile di Vibo Valentia, hanno poi permesso di cristallizzare ulteriori elementi posti alla base del nuovo provvedimento restrittivo eseguito lo scorso anno.
A Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo sono contestati, inoltre, i reati di detenzione e porto di armi in luogo pubblico, con le aggravanti del metodo mafioso e della premeditazione del delitto. [Continua in basso]
Le dichiarazioni di Bartolomeo Arena
E’ stata sempre la Squadra Mobile di Vibo Valentia a portare poi all’attenzione del pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, con nota del 9 dicembre 2019, le dichiarazioni di Bartolomeo Arena sull’omicidio di Antonio De Pietro. “Anche secondo Arena, l’omicidio – che addirittura assurge a fatto notorio in seno alla ‘ndrangheta vibonese – è stato commesso da Rosario Fiorillo con le seguenti modalità: Fiorillo apriva il fuoco all’indirizzo della vittima da distanza ravvicinata, colpendolo tra il collo e la testa. Tali elementi – aveva scritto il gip – sono assolutamente coerenti con gli esiti dell’esame autoptico”.
Il delitto sarebbe stato preceduto da alcuni atti intimidatori “intrisi di metodica mafiosa” quali i danneggiamenti a colpi d’arma da fuoco ai danni dell’autovettura della vittima.
Oltre a soffermarsi sulla relazione extraconiugale fra Antonio De Pietro e Maria Concetta Fortuna (madre di Rosario Fiorillo) quale movente del fatto omicidiario, il collaboratore Bartolomeo Arena ha altresì precisato che le sue fonti di conoscenza sull’omicidio sono state: Salvatore Morelli, appartenente allo stesso gruppo di Bartolomeo Arena ed imputato per l’operazione “Rinascita-Scott”, e Antonio Pardea, anche lui coinvolto da ultimo in “Rinascita-Scott” e definito dal collaboratore come “fraterno amico di Morelli dal quale ha appreso i particolari dell’omicidio De Pietro”.
Morelli, a sua volta, avrebbe saputo dell’omicidio De Pietro in quanto – secondo Bartolomeo Arena – sarebbe stato molto amico dei Piscopisani. [Continua in basso]
“Mi è stato testualmente detto che con tale azione, l’omicidio De Pietro, Rosario Fiorillo – ha dichiarato il collaboratore – si era “cacciato le corna”. Rosario Fiorillo, infatti, stando alle risultanze investigative, mal avrebbe sopportato la relazione extraconiugale della propria madre e nelle sue intenzioni – sebbene all’epoca solo quindicenne – ci sarebbe stata la volontà di assassinare persino la stessa mamma. Un proposito, quest’ultimo, frenato solo dall’intervento del proprio cugino Rosario Battaglia, all’epoca poco più che ventenne ma – ad avviso degli inquirenti e del collaboratore di giustizia Andrea Mantella – già profondo conoscitore delle regole della ‘ndrangheta secondo le quali è vietato uccidere le proprie madri.
L’omicidio e l’ascesa del clan
Chiaro, inoltre, Bartolomeo Arena pure su altro aspetto fondamentale per ricostruire l’ascesa del nascente clan dei Piscopisani che con le famiglie Fiorillo, Battaglia e Galati stava all’epoca (siamo nel 2005) soppiantando i vecchi referenti della società di ‘ndrangheta di Piscopio legati ai Piperno e ai D’Angelo. “L’omicidio De Pietro – ha rivelato Bartolomeo Arena – ha segnato un momento di ascesa per i Piscopisani che già erano un gruppetto che si stava iniziando a far temere, attribuendo ulteriore prestigio criminale alla consorteria. Da allora, in effetti, per costoro la strada diveniva in discesa poiché con tale delitto si veniva a sapere che quello dei Piscopisani era un clan che sparava e, quindi, meritava rispetto e considerazione”.
Le dichiarazioni di Andrea Mantella
Preciso pure il collaboratore Andrea Mantella: “Quel pomeriggio dell’11 aprile 2005, prima dell’omicidio, Salvatore Morelli venne in viale Affaccio a Vibo dove ha la stalla mio zio, il padre di Salvatore Mantella, e io mi trovavo lì. Morelli mi disse che Rosario Fiorillo aveva dato appuntamento alla vittima lì a Piscopio via telefono. Erano già al corrente che da lì a qualche oretta se De Pietro andava lì lo dovevano ammazzare. E così fu”.
Michele Fiorillo ha scontato 8 anni in via definitiva per associazione mafiosa dopo la condanna rimediata al culmine dell’operazione “Crimine” della Dda di Reggio Calabria, scattata nel 2010, quale vertice del clan dei Piscopisani. E’ coinvolto attualmente anche nelle operazioni “Rimpiazzo” (condannato a 12 anni in appello) mentre in Rinascita-Scott in primo grado (abbreviato) è stato condannato a 5 anni. Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo sono stati invece condannati a 30 anni di reclusione a tsta per l’omicidio (settembre 2011) di Fortunato Patania, ritenuto a capo dell’omonimo clan di Stefanaconi.
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