Svela progetti di morte contro Gratteri ed il suo pool ma è senza protezione
Lo strano caso di Antonio Genesio Mangone, collaboratore di giustizia pur senza essere considerato tale. L’avvocato Conidi: «È stato già minacciato in carcere»
«Antonio Genesio Mangone è senza protezione, è giusto che lo sappiano tutti gli organi di stampa che oggi si occupano di lui. Le stesse testate che informano l’opinione pubblica delle sue dichiarazioni al maxiprocesso Rinascita Scott, ed in particolare sui propositi ritorsivi della ‘ndrangheta nei confronti del procuratore Nicola Gratteri e dei suoi più stretti collaboratori». È quanto afferma l’avvocato Claudia Conidi, che assiste l’uomo, originario di Cariati ma residente in Veneto, non imputato in Rinascita Scott e già coinvolto in un procedimento che ha colpito i Grande Aracri di Cutro. Mangone si trova in una condizione atipica: «Ero stata chiamata per la sua deposizione al maxiprocesso – evidenzia la penalista catanzarese – ma il pubblico ministero ha spiegato che Mangone sarebbe stato escusso in veste di testimone e, per tale motivo, ho ritenuto di dover lasciare l’aula perché sul piano tecnico non era necessaria la mia presenza. Ma, terminato il suo controesame, nella giornata odierna, inoltrerò al procuratore Gratteri una nuova comunicazione, l’ennesima, che segue quindi altre inviate in precedenza, ma rimaste senza riscontro». [Continua in basso]
L’avvocato Conidi aggiunge: «Abbiamo un uomo che ha iniziato a correre, unitamente ai suoi familiari che oggi si trovano in una località del Nord Italia comunque permeata pesantemente dalla ‘ndrangheta, una situazione di gravissimo pericolo, sin da quando si è diffusa la notizia relativa all’avvio della sua collaborazione con l’autorità giudiziaria. Il mio assistito, peraltro, è stato anche pesantemente minacciato in carcere».
Mangone, in aula, ha riportato quanto riferito da Gianfranco Ferrante, ritenuto uomo di fiducia di Luigi Mancuso, durante la comune detenzione nel carcere di Siracusa: «Quando sarà il momento, al momento giusto faremo fare una brutta fine a Gratteri e ai suoi collaboratori. Noi siamo nati prima e comandiamo noi, non siamo finiti». Sono le parole che il collaboratore di giustizia Antonio Genesio Mangone – deponendo ieri pomeriggio nel processo Rinascita Scott – ha attribuito al detenuto Gianfranco Ferrante di Vibo Valentia, nel corso dell’esame dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. «Noi siamo una potenza, non siamo mica morti e con tempo tutti questi pm e collaboratori la pagheranno e faranno una brutta fine. Se non lo hanno fatto loro lo facciamo noi perché la ‘ndrangheta è nata prima della legge. In Calabria comandiamo noi ed è sempre stato così», avrebbe detto ancora Ferrante durante la detenzione con Mangone.
Al termine della precedente udienza, anche il pm Andrea Mancuso ha inteso sottolineare come il testimone non sia considerato un collaboratore di giustizia e non abbia un Programma di protezione, sollecitando il Tribunale ad adottare i provvedimenti necessari.
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