sabato,Novembre 23 2024

Noi non dimentichiamo | Quando nel Vibonese la ‘ndrangheta uccise pure l’amore

In occasione della giornata nazionale dedicata alla vittime di mafia ripercorriamo la storia di Pino Russo, rapito il 15 gennaio 1994 ad Acquaro e poi fatto sparire in maniera atroce

Noi non dimentichiamo | Quando nel Vibonese la ‘ndrangheta uccise pure l’amore
Giuseppe Russo

Ha pagato negli ultimi quarant’anni un prezzo altissimo in termini di vite umane, sacrificate alle “logiche” della ‘ndrangheta, anche il Vibonese. Sangue innocente versato su ordine di boss e presunti tali non sempre individuati dalla giustizia e alcuni rimasti impuniti come dimostrano i quasi quaranta casi di “lupara bianca” dal 1980 ad oggi ancora senza colpevoli. Storie di morti ammazzati e stori di corpi a volte ritrovati martoriati. Nel giorno della memoria delle oltre 900 vittime innocenti delle mafie in Italia, una storia ci conduce nelle Preserre vibonesi e reggine, a cavallo fra le due province dove si è consumato uno dei delitti più atroci. [Continua in basso]

Pino Russo e quell’amore divenuto mortale

E’ il 15 gennaio del 1994 quando ad Acquaro, nel Vibonese, viene rapito e poi ucciso Giuseppe Russo, all’epoca ventiduenne il cui cadavere è stato poi fatto ritrovare in una fossa solo mesi dopo, il 21 marzo 1994, e solo grazie alle rivelazioni di uno dei suoi assassini, Gaetano Albanese dell’omonimo clan di Candidoni (un vicino paese del Reggino) che si è deciso a collaborare con la giustizia. Le dichiarazioni di Gaetano Albanese hanno permesso di accertare anche in sede giudiziaria che il rapimento e l’omicidio di Giuseppe Russo sono stati decisi da un boss della ‘ndrangheta, Antonio Gallace, originario di Gerocarne ma residente ad Arena, che non ha accettato il fidanzamento del giovane con sua cognata. Coinvolti nel delitto anche elementi delle “famiglie” Oppedisano e Morfei di Monsoreto di Dinami.

Pino Russo attirato in una trappola

Antonio Gallace

Pino Russo lavorava come muratore nella piccola impresa edile di famiglia e la donna di cui si era innamorata (ricambiato) è in seguito divenuta la cognata del boss Gallace. Era il 15 gennaio 1994, un sabato mattina. Pino Russo aveva lasciato la casa della nonna, alla quale teneva compagnia durante la notte. I suoi familiari sapevano che deve andare a Vibo Valentia per il mercato settimanale. Pino Russo, però, a casa non torno più. Attirato in una trappola, è stato ucciso con un colpo di pistola in testa, gettato in una buca, il suo corpo dato alle fiamme. E mentre il fuoco arde, è stato sparato ancora, per sfregio. Due mesi dopo i suoi resti sono stati ritrovati in una zona impervia di Monsoreto di DinamiDiventa collaboratore di giustizia l’ex latitante di Candidoni Gaetano Albanese, arrestato per altri reati (associazione mafiosa ed estorsioni nelle operazioni “Tirreno” e poi “Piano Verde”) ha confessato gli atroci delitti di cui è stato autore. È lui che ha consentito di ritrovare in una fossa ciò che è rimasto di Pino Russo. [Continua in basso]

La famiglia di Pino non ha mai messo di parlare

Don Ciotti e Matteo Luzza, fratello di Pino

Albanese ha raccontato i dettagli dell’esecuzione e, soprattutto, il movente: Pino Russo non voleva rinunciare all’amore della ragazza divenuta cognata del boss. Una giovanissima donna che, nelle mire della ‘ndrangheta, doveva invece essere il gancio per stringere nuove alleanze e creare nuovi ponti all’interno della rete della criminalità organizzata e che non poteva permettersi di innamorarsi di chi voleva. Pino Russo aveva sfidato apertamente Gallace e quella che i giudici di Cassazione, rendendo giustizia a questa vittima innocente della ‘ndrangheta, hanno definito come la “dignitudine” del capomafia nel suo territorio. Il boss Gallace chiese ad Albanese, allora fuggiasco dalla giustizia, di ammazzare Pino Russo e farlo sparire.
Nelle sentenze si parla di “visione distorta delle ragioni di onore familiare, tipiche di chi con atteggiamento mafioso vuole dimostrare la supremazia sul territorio”.
Condannati mandanti ed esecutori, la famiglia (che nel maggio del 2018 ha ricevuto persino una lettera con la foto del figlio e dei proiettili) non ha mai smesso di parlare, di raccontare quanto accadutole, di portare il suo messaggio di legalità. Matteo Luzza, fratello di Pino, è responsabile regionale di Libera Memoria, che si occupa proprio di onorare il ricordo delle vittime di mafia. Grazie a lui il nome di Pino continua a risuonare in tutta la Calabria e in tutta Italia.

LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta: la Cassazione respinge la liberazione condizionale di due ergastolani vibonesi

‘Ndrangheta: la Cassazione conferma l’ergastolo per il boss Gallace

top