Naufragio di Cutro, l’avvocato delle famiglie: “Soccorsi in ritardo”
Incidente probatorio stamane dinanzi al gip del Tribunale per i minorenni di Catanzaro. Emergono le prime verità sui mancati soccorsi
Da una parte un presunto scafista, dall’altra i superstiti del naufragio di Cutro. Davanti al gip del Tribunale per i minorenni di Catanzaro si è svolta oggi la seconda udienza dell’incidente probatorio del procedimento a carico del 17enne pachistano indagato quale presunto componente dell’equipaggio dell’imbarcazione affondata nelle acque crotonesi. A confronto questa mattina con il 17enne sono stati posti due migranti, anche loro pakistani, che sono riusciti a sopravvivere in quella tragica notte.
“Anche oggi – ha riferito Salvatore Perri, l’avvocato che difende il 17enne presunto scafista, parlando con i giornalisti al termine dell’udienza – uno dei due testi escussi ha confermato quanto ci aveva detto giorni fa un altro teste, e cioè che hanno provato a fare un viaggio qualche giorno prima di quello che poi hanno portato a termine, ma che non si è potuto concludere perché dopo alcuni giorni la barca non sarebbe arrivata e loro hanno fatto rientro a Istanbul con un taxi insieme anche all’indagato, taxi che si sono pagati un po’ ciascuno”. [Continua in basso]
Al centro dell’attenzione anche la vicenda del ritrovamento di un borsone a bordo dell’imbarcazione: “Un teste – ha spiegato l’avvocato Perri – ha riferito che i comandanti turchi hanno chiesto ai migranti di lasciare le lire turche che avevano e le avrebbero raccolte per loro. Ma non era assolutamente la quota di viaggio: a domanda specifica della difesa delle persone offese, hanno riferito che il viaggio è stato pagato con il metodo Hawala, ovvero mediamente il deposito a un soggetto terzo nel paese di provenienza”.
All’incidente probatorio ha preso parte anche l’avvocato Francesco Verri, legale dei parenti delle vittime del naufragio di Cutro: “Abbiamo ricevuto la conferma anche oggi – ha detto l’avvocato Verri parlando con i giornalisti – che sono trascorsi troppi tragici minuti dall’urto della barca con la secca fino a quando non sono arrivati i soccorsi, persino a terra. Questo perché il secondo testimone, il secondo sopravvissuto che abbiamo sentito, Khan Amin, ha detto che ha nuotato mezz’ora e che quando è arrivato a riva ancora non c’era nessuno. Questo aspetto – ha concluso l’avvocato Verri – sta emergendo prepotentemente nell’incidente probatorio”.
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