Suicidio di Sonia Pontoriero, fissato il processo d’appello per tre sanitari vibonesi
La madre della donna, parte civile nel processo, ha appellato le assoluzioni decise in primo grado dalla Corte d’Assise di Catanzaro che non ha ritenuto responsabili gli imputati del reato di abbandono di persona incapace
Si va in appello per il suicidio di Sonia Pontoriero, la 41enne di Vibo Valentia che si è tolta la vita il 29 settembre del 2016 lanciandosi dal viadotto autostradale sopra Pizzo Calabro. In primo grado la Corte d’Assise di Catanzaro ha assolto dall’accusa di concorso in abbandono di persona incapace, con l’aggravante di averne cagionato la morte, tre sanitari in servizio nel reparto di Psichiatria dell’ospedale “Jazzolino” di Vibo Valentia. In particolare le assoluzioni hanno riguardato: la psicologa Giovanna De Maria, 67 anni di Vibo Valentia (avvocato Vincenzo Cantafio); Fulvia Franca Mazza, 68 anni, di Vibo Valentia, psichiatra (difesa dagli avvocati Salvatore Staiano e Francesco Muzzopappa); l’infermiere Raffaele Sette, 62 anni, di Arena (avvocato Vincenzo Cantafio). La sentenza di assoluzione è stata appellata dalla parte civile, vale a dire Rosa Garreffa (mamma di Sonia Pontoriero), rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Di Renzo. La Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha così fissato – ai soli effetti civili (non avendo la Procura di Vibo appellato le assoluzioni del primo grado) – il processo di secondo grado che si aprirà il 10 maggio prossimo. [Continua in basso]
Le indagini sul decesso di Sonia Pontoriero erano state condotte dai carabinieri della Stazione di Pizzo Calabro. Secondo gli inquirenti, sulla base delle testimonianze di quanti erano venuti in contatto con la donna nelle sue ultime ore di vita e della documentazione acquisita nel reparto ospedaliero, Sonia Pontoriero qualche ora prima di suicidarsi era stata accompagnata dai parenti in ospedale in evidente scompenso psicotico per essere sottoposta a un Trattamento sanitario obbligatorio (Tso). Qui, però, i sanitari giudizio – secondo l’accusa – avrebbero abbandonato a se stessa la donna, già giudicata incapace per malattia di mente ed affetta da scompenso psicotico con deliri persecutori, omettendo di sottoporla al Tso e provvedendo solo a firmare la proposta di Tso senza tuttavia eseguirlo, nonostante vi fossero – ad avviso degli inquirenti – tutti i presupposti e nonostante l’autorizzazione all’utilizzo della forza da parte di un familiare lì presente. I sanitari avrebbero quindi lasciato che la Pontoriero si allontanasse liberamente dal reparto.
Allontanamento concluso poi con il suicidio che gli investigatori consideravano prevedibile in conseguenza dell’abbandono e delle precarie condizioni psichiche della donna. I difensori degli sono riusciti tuttavia a dimostrare in primo grado che i sanitari non avevano alcun obbligo di trattenere Sonia Pontoriero in ospedale in quanto mancava il Tso e vi era solamente la proposta di eseguirlo che doveva però essere convalidata dal medico e, soprattutto, il provvedimento doveva essere firmato dal sindaco. Da qui l’assoluzione di tutti gli imputati. Sonia Pontoriero era stata recuperata in stato di incoscienza ma ancora viva dai vigili del fuoco sotto il ponte dell’autostrada. Le sue condizioni erano però apparse subito gravissime, tanto da spirare una volta arrivata all’ospedale Jazzolino. Sonia era molto conosciuta a Vibo, città nella quale era nata e cresciuta. Negli ultimi tempi si spostava spesso a Roma per ragioni di lavoro.
- Tags
- corte appello