Operazione Olimpo: il potere del boss Diego Mancuso da Ricadi a Tropea e le figure a lui vicine
L’inchiesta contesta il reato di associazione mafiosa ad indagati ritenuti vicini al capobastone e allo zio Luigi Mancuso. I rapporti con i Lo Bianco di Vibo, i La Rosa di Tropea e Peppone Accorinti di Zungri
Va a collegarsi direttamente, quanto al reato associativo, alla maxi-operazione Rinascita Scott, l’ultima inchiesta della Dda di Catanzaro denominata Olimpo. A molti degli indagati e degli arrestati viene infatti contestato il reato di associazione mafiosa, venendo inseriti nei “locali” di ‘ndrangheta già al centro proprio dell’operazione Rinascita Scott. [Continua in basso]
Il ruolo di Diego Mancuso
Ruolo di vertice viene attribuito dall’operazione Olimpo al boss Diego Mancuso, 70 anni, di Limbadi, che dopo essere uscito dal carcere per aver scontato la pena rimediata al termine dell’operazione Dinasty, ha trasferito la sua residenza al villaggio Heaven di Santa Maria di Ricadi, in contrada Ciuffo. “In veste di storico maggiorente della articolazione della ‘ndrangheta di Limbadi e Nicotera e della cosca Mancuso – si legge nel capo di imputazione – in forza del vincolo di sangue con la “famiglia”, quale rappresentante di spicco della frangia della consorteria facente capo al fratello Giuseppe Mancuso, inteso ‘Mbroglia”, avrebbe continuato a far parte dell’organizzazione anche durante la detenzione patita a seguito della detenzione per l’operazione Dinasty. Diego Mancuso, secondo l’accusa, avrebbe continuato ad impartire direttive, rivestendo importanti doti di ‘ ndrangheta, al punto da essere indicato anche nelle c.d. “copiate” per la concessione di doti in carcere. Avrebbe inoltre dettato le regole proprio all’interno del carcere, ad ulteriore conferma – ove mai ce ne fosse ancora bisogno – di quanto sia lontana quella “rieducazione del condannato” voluta dalla Costituzione per i detenuti.
Diego Mancuso ed il rapporto con gli altri boss
In carcere Diego Mancuso sarebbe stato in grado di dirimere diverse questioni con altri esponenti della ‘ndrangheta con lui detenuti (ad esempio, con Andrea Mantella), mentre in epoca successiva alla scarcerazione avvenuta nell’anno 2015, avrebbe mantenuto, in un contesto di “complessiva e sostanziale riconciliazione all’interno della cosca”, il ruolo di promotore ed organizzatore della articolazione della ‘ndrina operativa nell’area di Tropea, Ricadi e zone limitrofe.
Proprio con tale ruolo avrebbe controllato il territorio partecipando alle “logiche spartitorie della zona in materia di estorsioni, confrontandosi alla pari con boss – sottolinea la Dda – del calibro di Giuseppe Accorinti di Zungri e Antonio La Rosa di Tropea, contribuendo alla “chiusura” delle estorsioni di maggiore importanza e coinvolgenti trasversalmente più territori e, quindi, più componenti della ‘ndrangheta. [Continua in basso]
In forza di ciò, Diego Mancuso avrebbe compiuto attività estorsive non solo nei confronti di attività imprenditoriali, ma anche in occasione della compravendita di terreni, pure sulla zona di Nicotera, impartendo disposizioni a i propri sottoposti e per il tramite, in particolare, di Paolo Ripepi, 58 anni, di Ricadi (arrestato), il boss Diego Mancuso avrebbe esercitato una decisiva influenza nel settore della ricettazione, del riciclaggio e della commercializzazione di automezzi di provenienza delittuosa.
Diego Mancuso e i Lo Bianco di Vibo
Diego Mancuso avrebbe inoltre mantenuto contatti con l’articolazione della ‘ndrangheta di Vibo Valentia, venendo costantemente informato in ordine alle dinamiche criminali nella città di Vibo Valentia da Leoluca Lo Bianco, 64 anni, detto “U Rozzu”, condannato in primo grado in Rinascita Scott a 12 anni di reclusione (non indagato in Olimpo). In tal senso, gli investigatori sono riusciti a fotografare anche alcuni incontri al villaggio Heaven di Santa Maria di Ricadi fra Diego Mancuso e Leoluca Lo Bianco, riscontrando così sul punto le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena che per primo aveva riferito in merito al rapporto fra i due.
Davide Surace di Spilinga
Finito in carcere per associazione mafiosa anche Davide Surace, 38 anni, di Spilinga. Viene ritenuto dalla Dda come un personaggio “storicamente legato alla cosca Mancuso ed alla figura di Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni“. Per Davide Surace l’accusa di essere un partecipe del clan, operando fra Ricadi e Tropea ed individuando, da ultimo, in Diego Mancuso il proprio diretto referente. Ad avviso della polizia e dei magistrati antimafia, Davide Surace avrebbe così operato in qualità di “cerniera” e latore di imbasciate nei confronti degli esponenti delle altre articolazioni territoriali e, segnatamente, con la ‘ndrina e dei La Rosa di Tropea. In particolare, Davide Surace è accusato di aver stretto un legame sempre più solido sulla “chiusura” delle estorsioni con Antonio La Rosa e con Peppone Accorinti di Zungri, “contribuendo al controllo del territorio ed alla gestione delle attività estorsive. Per conto dei clan avrebbe anche agito in veste di trait d’union con imprenditori ritenuti compiacenti come Vincenzo Calafati, 51 anni, di Vibo Valentia finito in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Paolo Ripepi e Giuseppe Tortora
Anche per Paolo Ripepi, 58 anni, di Ricadi (carcere) e Giuseppe Tortora, 75 anni, di Mileto, viene ipotizzato il reato di associazione mafiosa con il ruolo di partecipi al clan Mancuso ed in particolare facendo riferimento al boss Diego Mancuso. In particolare, Ripepi e Tortora avrebbero collaborato nella gestione del controllo del territorio, trovando soluzioni a questioni relative a vicende economico/commerciali interessanti imprenditori vicini alla consorteria ovvero a questa assoggettati, mantenendo e preservando i collegamenti tra Diego Mancuso, gli affiliati e i terzi soggetti, veicolando le direttive impartite dal boss ai sodali e le istanze da questi ultimi trasmesse allo stesso. Paolo Ripepi e Giuseppe Tortora avrebbero inoltre provveduto all’elargizione del denaro proveniente dai prestiti concessi dalla consorteria, nonché alla riscossione dei relativi ratei, promuovendo iniziative volte alla composizione dei conflitti interni, al maggiore radicamento dell’associazione sul territorio ed all’implementazione delle sue risorse economiche. Paolo Ripepi è accusato anche di aver promosso un sodalizio dedito al riciclaggio di mezzi d’opera strettamente funzionale agli interessi della cosca.
Pasquale Megna
Il 32enne di Nicotera, finito in carcere, è accusato del reato di associazione mafiosa in quanto viene ritenuto dalla polizia e dalla Dda di Catanzaro un partecipe all’articolazione di Limbadi quale messaggero, cassiere, e longa manus del boss Luigi Mancuso a Tropea. Avrebbe dissimulato – per effetto dell’attività imprenditoriale esercitata – il ruolo di terminale dell’organizzazione, ricevendo e veicolando messaggi (anche riportati su biglietti manoscritti) da e per il boss Luigi Mancuso, incassando anche i proventi delle attività illecite compiute dai La Rosa di Tropea nell’ area di competenza, gestendone la contabilità in nome e per conto dello stesso Luigi Mancuso.
Cosma Antonio Storniolo
Cosma Antonio Storniolo, 58 anni, di Nicotera (titolare della ditta Storniolo Viaggi spa) deve rispondere dell’accusa di associazione mafiosa con il ruolo di partecipe. Secondo l’accusa sarebbe stato incaricato di veicolare messaggi da e per conto dei maggiorenti della locale di ‘ndrangheta di Limbadi, “in qualità di espressione diretta degli interessi di Luigi Mancuso, rendendosi in particolare disponibile a veicolare messaggi del boss verso imprenditori come Vincenzo Calafati e Vincenzo Renda. Il gip per lui ha tuttavia ritenuto insufficienti gli indizi per il suo coinvolgimento nell’associazione mafiosa.
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