Operazione Olimpo: i clan e le forniture alle strutture di Tropea, dalla carta igienica agli alimenti
L’indagine della polizia svela una struttura a forma piramidale per la gestione delle estorsioni con la partecipazione dei Mancuso, dei La Rosa e di Gregorio Giofrè
Cristallizzano anche un articolato sistema di infiltrazione mafiosa nelle forniture destinate alle strutture turistiche del circondario vibonese, le indagini della polizia confluite nell’operazione antimafia denominata Olimpo coordinata dalla Dda di Catanzaro. Un “sistema” attuato mediante pratiche estorsive ai danni degli imprenditori volte ad alterare il libero gioco della concorrenza. Un sistema – ad avviso del gip distrettuale – che risulta strutturato in una forma piramidale con al vertice della struttura Luigi Mancuso e, subito dopo, la famiglia La Rosa di Tropea, Gregorio Giofrè di San Gregorio d’Ippona (60 anni, di San Gregorio d’Ippona) e Mimmo Polito (59 anni) di Tropea, tutti costantemente impegnati nel ricercare meccanismi di equilibrio tra le cosche onde evitare reciproche interferenze. L’ingerenza dei La Rosa nel settore delle forniture alle strutture ricettive è stata confermata anche dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giuseppe Comito di Vibo Marina. [Continua in basso]
La carta igienica nelle strutture di Tropea
Da un’intercettazione del 25 ottobre 2018, gli inquirenti ascoltano i fratelli Antonio e Francesco La Rosa dialogare con il padre Domenico in ordine al fatto che l’imprenditore Brunello Iannello “aveva iniziato a preferire Gregorio Giofrè per la corresponsione del denaro frutto di pretese estorsive, mentre in passato – evidenzia il gip – aveva sempre pagato Alessandro o Francesco”. Il materiale oggetto di fornitura a Tropea da parte dell’imprenditore era la carta igienica.
Una nuova conversazione su tale tema veniva captata in data 20 marzo 2019, allorquando La Rosa Antonio e Giofrè Gregorio discutevano sulla possibilità di inviare le forniture dell’impresa “Tuttocarta” anche alla struttura ricettiva Tui Sensimar. Il riscontro sulla capacità di Antonio La Rosa di ingerirsi nel panorama delle forniture trovava riscontro, ad avviso del gip, all’esito della disamina della lista fornitori del Tui Sensimar allorquando si accertava che l’impresa “TuttoCarta” srl di Brunello Iannello compariva tra i fornitori del 2019.
I La Rosa si impongono su Giofrè
Dal materiale investigativo emerge, quindi, come le doglianze inizialmente mosse da Antonio La Rosa circa il pagamento a Gregorio Giofrè, “in spregio ad un più datato rapporto con i maggiorenti della ‘ndrina tropeana, fossero rivolte proprio alla Tuttocarta Srl: ciò in ragione non solo dell’effettiva presenza dell’impresa tra i fornitori (annualità 2018 c 2019) del Rocca Nettuno, ma più ancora dalla rispondenza del soprannome (“Mugnolo”) all’imperfezione fisica – scrive il gip – dell’imprenditore Brunello Iannello rilevata dalla polizia in sede di denuncia”. Da qui l’accusa di estorsione pluriaggravata con l’imposizione all’imprenditore del versamento del 5% del fatturato annuo maturato grazie all’accreditamento dell’impresa presso strutture turistiche “controllate” dalla ‘ndrina dei La Rosa. Francesco e Alessandro La Rosa (figlio di Francesco), unitamente a Gregorio Giofrè sarebbero stati i beneficiari diretti dei pagamenti estorsivi, mentre Domenico La Rosa e il figlio Tonino La Rosa sarebbero stati gli ideatori del proposito criminoso “che si inserisce nel più ampio disegno di controllare tutte le attività imprenditoriali ed economiche della zona”. [Continua in basso]
L’estorsione a Corigliano
L’altra estorsione contestata alla ‘ndrina dei La Rosa di Tropea è quella ai danni dell’imprenditore Raffaele Corigliano, attivo nel settore alimentare e dei monopoli di Stato. Dalle intercettazioni emerge che Gregorio Giofrè confidava ad Antonio La Rosa di aver rimproverato a Raffaele Corigliano – fornitore dell’hotel Rocca Nettuno – di essersi lamentato alla richiesta del Giofrè di corrispondere 10mila euro alla cosca. Lo stesso Giofrè riferiva, inoltre, di aver riportato al Corigliano che Antonio La Rosa si era rammaricato del suo comportamento, considerato anche che nel corso della stagione lo stesso Giofrè si “era recato dall’imprenditore per sincerarsi del fatto che lo stessero chiamando per le forniture, al fine di scongiurare una sua esclusione, e che tale verifica aveva sortito esito positivo. Antonio La Rosa precisava che il fratello Francesco era stato invitato dall’imprenditore a passare la settimana successiva per prelevare una cifra a titolo estorsivo, constatando di aver ricevuto meno delle annualità precedenti”. [Continua in basso]
L’operazione, secondo gli investigatori, sarebbe stata portata a termine da Francesco La Rosa (alias “U Bimbu”), unitamente a Francesco Taccone, 36 anni, di Ricadi (finito in carcere) e a Francesco Gargano, 28 anni, di Parghelia i quali, alle ore 11:25 del 24 novembre 2018 venivano sottoposti a controllo da un equipaggio della Volante della Questura in via De Gasperi a Vibo. All’esito di una perquisizione, Gargano veniva rinvenuto in possesso della somma contante di 1.500,00 euro in banconote del taglio di 50,00 euro: denaro di cui giustificava il possesso in funzione di un prossimo acquisto di nuovi pneumatici per la propria autovettura.
Ulteriore riscontro alla vicenda, ad avviso del gip, è fornito dal fatto che proprio a Vibo Valentia hanno sede legale le imprese “Distribuzione F.lli Corigliano – di Corigliano Raffaele S.a.s.”, “Corigliano Supermercati S.r.l.” e “Veco S.rJ.”, nelle quali Raffaele Corigliano ricopre le cariche sociali di socio accomandatario, nella prima, e amministratore unico, nelle altre due. Nel pomeriggio dello stesso giorno, inoltre, veniva intercettata una conversazione tra i La Rosa, Antonio, Francesco e Domenico, dalla quale si “evinceva che il contante trovato nella disponibilità del Gargano traeva origine proprio dalla consegna perfezionata da Corigliano” a Pizzo dove ha una tabaccheria.
Il versamento dei soldi ai La Rosa
Secondo il gip, nella vicenda l’attività intercettiva ha dato “piena contezza della perpetrazione di un atto intimidatorio in danno del Corigliano, finalizzato a costringere quest’ultimo ad inviare il denaro promesso. Si tratta di una condotta di minaccia, seppure deducibile solo in via implicita dalle intercettazioni, attraverso la quale gli indagati hanno voluto imporre all’imprenditore di versare loro una percentuale del proprio fatturato; la persone offesa, infatti, nella sua qualità di imprenditore nel settore alimentare ed in quello dei monopoli di Stato, veniva costretta a versare, nel corso degli anni, una tangente commisurata ad una percentuale del fatturato annuo, pari all’importo di 15/20.000,00 euro annui”. In tale caso Antonio La Rosa e Gregorio Giofrè vengono ritenuti gli ideatori del proposito criminoso “che si inserisce nel più ampio disegno di controllare tutte le attività imprenditoriali ed economiche della zona”. Francesco La Rosa, Francesco Taccone e Francesco Gargano vengono invece ritenuti gli esecutori materiali e i beneficiari diretti dell’ingiusto profitto per seguito attraverso le pretese estorsive.
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