Nessuna diffamazione alla Teti, ecco i motivi che mandano assolto Il Vibonese
Il Tribunale di Vibo manda assolta la giornalista Cristina Iannuzzi e ribadisce il diritto di cronaca e di critica esercitato attraverso quattro articoli
Sono state depositate dal Tribunale di Vibo Valentia (giudice Giorgia Maria Ricotti) le motivazioni della sentenza con la quale nell’aprile scorso la giornalista Cristina Iannuzzi è stata assolta dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa ai danni della dirigente del Comune di Vibo, Adriana Teti, attraverso la pubblicazione di quattro articoli su Il Vibonese.it (edizione cartacea del 2014). Assistita dall’avvocato Giuseppe Esposito, il Tribunale ha quindi accolto in pieno la tesi difensiva mandando assolta la giornalista (unica imputata) “perché il fatto non sussiste”, riconoscendo così il pieno diritto di cronaca e di critica. Nessuna offesa alla reputazione della dirigente comunale, Adriana Teti, dunque – come invece sosteneva l’Ufficio di Procura che aveva chiesto l’affermazione della penale responsabilità per la giornalista – e contrariamente a quanto riteneva la parte civile, assistita dall’avvocato Sonia Lampasi. [Continua in basso]
Per il Tribunale di Vibo Valentia in relazione agli articoli sull’acqua e la spazzatura, la sentenza evidenzia come la stessa dirigente Teti abbia “ammesso pacificamente che in quel periodo c’erano problemi di acqua e rifiuti poiché si trattava di un periodo di emergenza durante il quale i rifiuti non venivano raccolti e l’acqua nei rubinetti era marrone. La Teti dichiarava di essere unica firmataria delle determine predisposte dagli amministrativi e precisava poi la veridicità sulla notizia del rinvio a giudizio con riguardo alla questione relativa alle mense scolastiche.
Tali circostanze sono state confermate anche dai testimoni escussi. Con riferimento invece all’articolo riguardante i cani randagi è emerso dalle testimonianze che anche quello un era un argomento molto trattato dalla stampa locale. In particolare, al Comune di Vibo Valentia per la gestione del canile si spendevano migliaia di euro all’anno con proroghe annuali sulla base della proroga di una determina dirigenziale di una delibera della giunta comunale. La proroga era stata affidata alla medesima azienda destinataria di un’interdittiva dalla Prefettura senza espletare nuovamente la nuova gara.
In ordine all’articolo sui ”presunti corsi fantasma per il personale dipendente” pubblicato nell’edizione numero 9 del 30 agosto 2014 si ribadiva che tale argomento aveva creato molto scalpore all’epoca in quanto ”per dare degli incarichi a degli esperti, per avere dei giudizi su alcune attività che il Comune – già in dissesto – doveva espletare, si era fatto ricorso ai fondi vincolati per i dipendenti comunali, con dei corsi fantasma. Nessuna diffamazione neppure per altro passaggio dell’articolo relativo all’affidamento di incarichi per altra persona incaricata della direzione artistica di alcuni eventi con determina firmata dalla dirigente Teti. Per il Tribunale non è stata usata negli articoli in questione alcuna espressione offensiva, né sono state attribuite alla Teti condotte o atteggiamenti specifici; trattasi, in sostanza, di una mera premessa rispetto alle tematiche affrontate poi nell’articolo, relative alla situazione complessiva e critica della città, confermate dalla stessa parte civile – si legge nelle motivazioni della sentenza – e da tutti gli altri testi escussi. Con riferimento a dette espressioni, pertanto, l’imputata deve essere assolta perché il fatto non sussiste”.
Ciò nondimeno, dall’istruttoria sono emersi “più elementi che inducono a ritenere che anche le notizie relative alle vicende rilevanti sul piano penale riguardanti la professionista siano veritiere. Ed infatti, la stessa Teti – scrive il giudice – ha riferito che in quegli anni erano stati aperti nei suoi confronti diversi procedimenti penali. Ebbene, a causa della lacunosità delle prove documentali fornite dalle parti non è possibile ricostruire con la necessaria chiarezza e completezza le vicende giudiziarie che hanno interessato la persona offesa, fatti questi che avrebbero dovuto essere compiutamente dimostrati mediante la semplice produzione completa di tutte le sentenze o i provvedimenti di archiviazione.
Tuttavia, dagli elementi pur incompleti raccolti in istruttoria non può però escludersi che, all’epoca dei fatti, fossero pendenti nei confronti dell’odierna parte civile più procedimenti penali, come emergerebbe dalle dichiarazioni della stessa.
Con riferimento all’ultimo articolo, sebbene astrattamente di carattere diffamatorio, alla luce degli elementi acquisiti nel corso del processo, è possibile ritenere la sussistenza nel caso di specie dei requisiti integranti il legittimo esercizio dei diritti di cronaca e di critica, costituzionalmente garantiti; diritti che, nella prospettazione difensiva, sono stati esercitati dall’odierna imputata nel pieno rispetto dei limiti ormai costantemente riconosciuti dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, assolvendo pertanto la Iannuzzi con formula piena perché il fatto non sussiste”.
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