Rinascita Scott: il “ciclone” Villone si abbatte sulla città di Vibo Valentia
Testimonianza in aula nel maxiprocesso dell’ex vigile urbano. Massoneria, speculazioni edilizie, inchieste insabbiate e rapporti con la ‘ndrangheta. Ecco il racconto di Bruno Villone che parla della gestione del potere in città riscontrando le dichiarazioni di Andrea Mantella e Luigi Farris
Massoneria, gruppi di poteri, malaffare e rapporti con i clan. E’ stata la volta dell’ex vigile urbano del Comune di Vibo Valentia, Bruno Villone, ieri sera nel maxiprocesso Rinascita Scott. Una testimonianza importante la sua, perché va a confermare quanto dichiarato su molti altri aspetti dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella ed anche da Luigi Guglielmo Farris sul “sistema” di potere per decenni dominante a Vibo Valentia sino all’attualità, pur cambiando per forza di cose alcuni personaggi in quello che è stato ribattezzato come “Sistema Vibo”. Sono passate le ore 20 quando Bruno Villone fa ingresso in aula per deporre nell’aula bunker di Lamezia Terme dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto dal giudice Brigida Cavasino e non sono mancati i “colpi di scena”. Rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, il teste della pubblica accusa ha spiegato di essere stato vigile urbano al Comune di Vibo dal 1974 al 2003. “Nel corso della mia attività – ha spiegato Villone – ho saputo dell’esistenza di una loggia massonica a Vibo e sono stato perseguitato da alcuni massoni semplicemente perché cercavo di fare il mio lavoro onestamente. Tutto è iniziato a metà anni ’80 quando ho denunciato alla Procura il comandante dei vigili urbani di Vibo Valentia, ma tutto è finito a tarallucci e vino. Allora ho denunciato anche il pm dell’epoca e pure l’intero collegio giudicante, ma di tali mie denunce non ho saputo più nulla. Il mio comandante Domenico Antonio Corigliano è massone, così come il mio vice. Un giorno il comandante Corigliano mi convocò al Comune e mi disse che se volevo fare carriera dovevo riferire a lui tutti gli abusi che scoprivo al mercato di Vibo oppure tutti gli abusi edilizi in città, ma non accettai tale proposta. Il capo della massoneria a Vibo era Ugo Bellantoni, un geometra, dipendente comunale. I rapporti fra me e questo gruppo di massoni sono sempre stati tesi, e mi facevano dispetti di ogni tipo sul lavoro, tanto che con un brigadiere dei vigili sono arrivato alle mani”. [Continua in basso]
I pedinamenti
Bruno Villone racconta di aver iniziato a pedinare alcuni massoni a Vibo Valentia. “Ho visto così dove avevano la sede. Agli inizi degli anni ’90 ho pedinato Ugo Bellantoni, capo massone assoluto, ed in uno di questi appostamenti lo beccai in piazza San Leoluca. Poco dopo arrivò un magistrato e i due si chiusero in una macchina a parlare. Poi sono scesi e li ho visti entrare dentro palazzo D’Alcontres, non distante dal Tribunale. La mia curiosità – ha riferito Villone in aula – mi portò ad entrare nel palazzo dalla parte esterna scavalcando un muretto e vidi che c’erano una ventina di persone, alcune delle quali incappucciate, con Bellantoni che teneva una spada sulla spalla del magistrato. Ho riconosciuto il magistrato in questione in Elio Costa che poco dopo divenne procuratore a Crotone. Ho saputo in seguito da Raffaele Portaro, ex segretario comunale, che palazzo D’Alcontres era la sede della loggia Carducci a Vibo. Portaro era un massone pulito e che per questo si era tirato fuori uscendo dalla massoneria vibonese”.
La collaborazione con i magistrati
Bruno Villone racconta di essersi confidato circa il gruppo di potere massonico che dominava Vibo Valentia con l’allora giudice istruttore di Vibo Carmelina Russo, la prima a portare a giudizio quasi cento esponenti del clan Mancuso a metà anni ’80 a seguito di una storica retata risalente al 1984. “Ho avuto l’onore di confidarmi con lei – ha sostenuto Villone – e successivamente venni sentito anche dall’allora procuratore di Palmi Cordova che agli inizi degli anni ’90 fece alcune perquisizioni a Vibo nella loggia Morelli e nelle abitazioni private di molti massoni, sequestrando numerose carte e persino un teschio umano di provenienza ignota. Cordova mi diede delega ad indagare sulla massoneria vibonese insieme al capo della Squadra Mobile di Catanzaro dell’epoca. In tale periodo trovai una sera centinaia di auto ferme e parcheggiate nei pressi della sede della loggia Morelli a Vibo, in via Santa Ruba. Chiamai questa persona della Squadra Mobile e con una piccola telecamera dell’epoca riprendemmo tutte le targhe delle auto lì presenti. La sede della loggia Morelli a Vibo è in un sotterraneo di proprietà di Bellantoni ed all’epoca le due logge – Morelli e Carducci – a Vibo facevano il bello ed il cattivo tempo”. [Continua in basso]
I massoni indicati in aula da Villone
Sollecitato dal pm antimafia, Antonio De Bernardo, ad indicare i nomi di sua conoscenza aderenti alla massoneria vibonese, il teste Villone ha così risposto: “C’erano Bellantoni e Corigliano, ma ne facevano parte anche diversi politici e medici. Mi ricordo per esempio l’allora sindaco di Vibo, l’ingegnere Comito, e poi l’assessore Ulderico Petrolo insieme ai fratelli Franco e Giuseppe Petrolo. Questi Petrolo avevano poi fatto una loggia familiare. Il capo della loggia Carducci era invece l’avvocato Colloca e nella Carducci c’era pure il brigadiere dei vigili urbani Geremicca. Non ho la certezza – ha continuato poi Villone – ma credo ne facesse parte anche un magistrato, l’allora sostituto procuratore generale di Catanzaro, Pietro D’Amico, cugino dei Giamborino di Piscopio e che è stato Pm contro di me nel processo per calunnia ai miei danni riuscendo pure a farmi condannare”.
I Giamborino ed i legami
Bruno Villone si è quindi soffermato sui Giamborino di Piscopio. “Uno faceva il bidello a Vibo, mentre Pietro Giamborino era stato assunto al Comune come messo notificatore ma non ha mai fatto un giorno di lavoro. Sapevo invece che Giovanni Giamborino era legato alla famiglia Mancuso. Al Comune di Vibo – ha sostenuto Villone – facevano riunioni nell’ufficio di Bellantoni insieme a Giovanni Giamborino e ricordo che i Giamborino sono legati pure ai Fiarè, per averli visti accompagnarsi a Vibo agli inizi degli anni ’90 con Rosario Fiarè e con Nicola Fiarè. Giovanni Giamborino aveva all’epoca una ditta di taxi a Roma. Ricordo poi che all’una di notte nella stessa auto le forze di polizia hanno fermato Giovanni Giamborino e Ugo Bellantoni”. Il riferimento è ad un controllo del territorio da parte della polizia – presente negli atti di Rinascita Scott e dell’inchiesta Rima riguardanti i cugini Giovanni e Pietro Giamborino – che sul finire degli anni ’90 fermò sulla stessa auto in via Matteotti a Vibo all’una e mezza di notte Ugo Bellantoni, Giovanni Giamborino e Pietro Giamborino. “Ugo Bellantoni – ha continuato Villone – si accompagnava a Vibo a Carmelo Lo Bianco, il quale Lo Bianco l’ho visto personalmente che andava a trovare Bellantoni nel suo ufficio al Comune. Bellantoni aveva anche una ditta di costruzioni intestata ad un suo prestanome, Antonino Profiti. Bellantoni è riuscito a costruire anche una chiesa e l’oratorio su un terreno del demanio militare con vincoli archeologici”. [Continua in basso]
La collaborazione con i servizi segreti e le altre logge
“Ci sono altre logge a Vibo” ha quindi chiesto il pm Antonio De Bernardo. Questa la risposta di Villone: “C’era pure una loggia femminile – ha affermato Villone – e ricordo in ogni caso che i fratelli Petrolo stavano facendo un’altra loggia, la Murat, insieme ad alcuni loro zii di Sant’Onofrio e Vibo, in tutto una quindicina di persone. Ho sentito parlare dell’esistenza di logge coperte a Vibo da Raffaele Portaro il quale mi disse che esisteva in città una loggia coperta per fare affari per conto proprio e qui potevano entrare magistrati e ‘ndranghestisti e da tale sistema Portaro si era dissociato. A Vibo all’epoca si incontrava spesso anche Antonio Mancuso e ricordo che una volta per un’auto rubata ad un mio conoscente ci siamo rivolti proprio a Giovanni Giamborino per ritrovarla e lo stesso si rivolse ai Mancuso. Io avevo nel frattempo iniziato a collaborare con un appartenente ai servizi segreti dal 1993 e per cinque-sei anni successivi, il quale mi aveva avvicinato al Comune di Vibo sapendo che avevo delle notizie importanti da riferire sulla massoneria vibonese. Giovanni Giamborino a Vibo l’ho visto pure in compagnia di Luni Mancuso, ma non ricordo se si chiamasse di soprannome Vetrinetta o Scarpuni. Conoscevo pure Fiore Giamborino, di nome credo vada Salvatore, che era il padre di Giovanni Giamborino ed era pure lui uno ‘ndranghestista”.
Il controesame degli avvocati
E’ toccato quindi agli avvocati Francesco Sabatino e Diego Brancia porre alcune domande al teste il quale ha meglio specificato alcuni punti della sua deposizione. “Relazionavo le mie scoperte – ha dichiarato Villone – all’allora pm della Dda di Catanzaro Stefano Tocci ed anche al pm di Catanzaro Ornella Galeotti e poi a De Magistris. Il territorio di Vibo era controllato da me da un lato facendo il mio lavoro e dall’altro dalla ‘ndrangheta in contrapposizione a me. Al Comune di Vibo ero all’epoca sotto tiro per le mie denunce, così come a livello giudiziario ed hanno fatto terra bruciata intorno a me. Sono stato così avvicinato al Comune da questo agente dei servizi segreti ed ho iniziato a collaborare pure con lui. Sono stato sentito di recente anche a Reggio nel processo Gotha. Ho riportato due condanne per calunnia, una per una querela di Bellantoni, l’altra di Costa. Avevo reso delle dichiarazioni a verbale a Palmi – ha ricordato Villone rispondendo all’avvocato Brancia – e dissi al pm Galeotti che se Costa divenendo procuratore a Palmi avesse visto quei verbali, mi avrebbero ammazzato. Non ho mai detto che Costa mi avrebbe ammazzato – ha precisato Villone – ma che altri mi avrebbero ammazzato se avessero scoperto le mie dichiarazioni. Esistono del resto delle intercettazioni in un’inchiesta – ha puntualizzato Villone – in cui un certo Loizzo di Cosenza parlava con un tale Corona e dicevano di dire all’allora ministro Conso di nominare presto Elio Costa procuratore di Palmi. Ricordo che il pm Galeotti trasmise a Roma queste mie dichiarazioni e per un po’ di tempo la nomina di Elio Costa a Palmi venne bloccata, ma poi tutto si sbloccò e condannarono addirittura me per calunnia.
Feci allora un esposto ai ministri della Giustizia e dell’Interno denunciando che Elio Costa, insieme ad un altro magistrato, aveva costruito a Vibo una villa con una concessione edilizia illegittima perché c’è una perizia giurata che afferma questo, ma non ho saputo più nulla. Ho denunciato all’epoca un diffuso sistema di tangenti al Comune di Vibo ed era iniziata l’indagine dell’allora pm Coletta che trovò i riscontri alle mie dichiarazioni. Ma quando andò in pensione il procuratore di Vibo Scrivo, unico candidato a succedergli arrivò il dott. Laudonio il quale da nuovo procuratore di Vibo la prima cosa che fece fu quella di acquisire le mie denunce e indagini non ne hanno più fatte. Ma se le carte le possono nascondere – ha dichiarato in aula il teste – i palazzi che hanno costruito non se li possono mangiare. Ciò che ho denunciato non è mai stato accertato perché le indagini non sono state fatte e per questo sono stato condannato per calunnia e tuttora nutro sospetti anche sui magistrati dell’epoca di Vibo che mi hanno condannato. Ho denunciato anni di speculazioni edilizie a Vibo per le quali ci sono stati anche due morti, due omicidi: l’architetto Minarchi e la moglie”.
Il riferimento di Bruno Villone è al decesso improvviso (arresto cardiocircolatorio) nel febbraio 1995 dell’allora responsabile della sezione Urbanistica del Comune di Vibo, Elio Minarchi, e poi della tragica scomparsa della moglie Raffaella Messina, quest’ultima morta in un singolare incidente in provincia di Grosseto. Circostanze sulle quali ha già riferito nel maxiprocesso pure Luigi Guglielmo Farris. “Ho subìto diverse minacce – ha concluso Villone – e in una masseria di Maierato era presente in una riunione pure l’allora sindaco di Vibo, l’ingegnere Comito, al quale chiesero di licenziarmi. Alla riunione era presente una persona che poi mi riferì tutto. Mi hanno ammazzato moralmente a Vibo Valentia, ma ho denunciato lo stesso il sindaco per l’abuso che aveva fatto contro di me. Vibo l’hanno derubata e c’è un vuoto di indagini alla Procura di Vibo lungo almeno quindici anni”.
Da precisare che nel maxiprocesso Rinascita Scott – fra le persone chiamate in causa da Villone – si trovano imputati solo i cugini Giovanni e Pietro Giamborino. La posizione di Ugo Bellantoni è stata invece stralciata dalla Dda di Catanzaro già all’atto dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di Rinascita Scott.
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