Bartolomeo Arena e l’evoluzione della ‘ndrangheta a Vibo Valentia fra alleanze e scissioni
Dal tentativo di uccidere Rosario Pugliese alla rinascita del clan Pardea, dalla fusione con la cosca Lo Bianco-Barba sino al nuovo gruppo guidato da Morelli con il grado della "Stella". E poi il ruolo di Domenico Camillò, le nuove affiliazioni e la sparatoria con Loris Palmisano
Ha svelato anche particolari inediti, il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena deponendo in Corte d’Assise nel processo che mira a far luce sull’omicidio di Antonio De Pietro di Nicotera, impiegato della direzione provinciale del lavoro di Vibo Valentia, freddato a colpi di pistola nei pressi del cimitero di Piscopio l’11 aprile 2005. Sul banco degli imputati ci sono Rosario Battaglia, 38 anni (difso dagli avvocati Salvatore Staiano e Walter Franzè), e Michele Fiorillo, 36 anni, alias “Zarrillo” (assistito dall’avvocato Diego Brancia), entrambi di Piscopio.
Bartolomeo Arena è partito dalle motivazioni che l’hanno portato nell’ottobre 2019 a collaborare con la giustizia sino a rivelare legami e parentele fra i clan di Vibo Valentia ed i contrasti interni. [Continua in basso]
La scelta di “saltare il fosso”
“Ho deciso di collaborare perché nel settembre-ottobre 2019 con il mio gruppo si stava organizzando l’omicidio di Rosario Pugliese, detto Cassarola, io volevo allontanarmi da tutte queste vicende perché avendo un figlio in tenera età non volevo più prendere parte a queste dinamiche, anche perché ormai all’interno del gruppo stesso c’era diffidenza, non c’era più quella fiducia di un tempo e io quindi di questa storia non ne volevo sapere e volevo almeno salvare mio figlio e dare la possibilitàa lui di fare una vita diversa e di non vivere tutte quelle cose che purtroppo poi nella mia vita sono capitate me. I problemi li ho sempre avuti – ha dichiarato Arena – con il rischio di ricevere un attentato. L’ho più volte dichiarato pure in altri processi: a noi il primo agguato ce l’hanno fatto quando io avevo cinque anni, quando era ancora in vita mio padre. Quindi è da una vita che mi guardo le spalle”.
La ‘ndrangheta a Vibo, dai Pardea ai Lo Bianco-Barba
“Io facevo parte del gruppo dei Pardea, detti Ranisi, che operava a Vibo Valentia. I Pardea sono stati uno dei primi clan storici più longevi dagli anni ’60 in poi, prima del clan Lo Bianco-Barba perché tutti i Lo Bianco-Barba sono persone – ha dichiarato il collaboratore – che provengono sempre dalla fuoriuscita del vecchio clan Pardea che opera su Vibo e ultimamente nella persona di Domenico Camillò, che era il più anziano dei Pardea, perché Pardea-Camillò-Macrì sono tutta una famiglia, perché i Pardea e Camillò sono fratelli, e pure i Macrì in realtà dovrebbero chiamarsi Pardea perché hanno preso il cognome della mamma. Sono tre famiglie tra di loro sono tutti imparentati. Io a mia volta sono imparentato con i Camillò, perché Domenico Camillò era primo cugino di mio padre. Quindi nel 2012, quando la maggior parte del clan Lo Bianco-Barba erano ristretti per 1’operazione Nuova Alba, in quel momento non c’era Locale, non c’era società a Vibo Valentia e si è presa la decisione di formare di nuove società e quindi tramite mio zio Domenico Camillò e Raffaele Franzè, detto lo Svizzero, che era stato sia partecipe del clan Pardea negli anni ’60-‘70, ma poi era fuoriuscito dal clan diventando il contabile del clan Lo Bianco-Barba. Insieme a questi due e a tutti gli altri Pardea abbiamo formato un corpo rivale. Non armato, ma un corpo rivale, cioè senza dare conto ai Lo Bianco abbiamo formato la società”. [Continua in basso]
I componenti del nuovo clan nato nel 2012
Bartolomeo Arena ha quindi indicato alla Corte d’Assise i componenti di tale rinato “clan Pardea”. Quale capo società il collaboratore ha indicato la persona di Domenico Camillò (cl. ’41), come contabile Raffaele Franzè (deceduto nel maggio 2019), quindi gli altri componenti oltre allo stesso Bartolomeo Arena: “C’era Antonio Macrì, Raffaele Pardea, Domenico Pardea, i Manco, Michele Manco, Nazzareno Franzè, detto Paposcia, Luciano Macrì, tutti i Camillò, altri ragazzi dei Pardea, Giuseppe Pardea, Domenico Pardea, Marco Pardea e altri Franzè. Diciamo che eravamo in prima battuta una ventina, ma nelle copiate portavamo anche il nome di Vincenzo Barba perché era 1’unico che avevamo tenuto in considerazione, anche per il fatto che era primo cugino di Raffaele Franzè detto lo Svizzero. Nel nostro gruppo c’era anche Carmelo Pardea. Francesco Antonio Pardea ne faceva invece parte in modo indiretto in quanto all’epoca detenuto, ma era stato notiziato nel carcere, anche perché il nuovo gruppo è nato anche su suo input”.
Le “pressioni” di Francesco Antonio Pardea su Domenico Camillò
“Francesco Antonio Pardea pressava nostro zio, a me mi sarebbe cugino, ma è stato sempre come uno zio, a nostro zio Domenico Camillò a prendere in mano la situazione nella città di Vibo Valentia, perché voleva formare un gruppo nostro familiare e non dare più conto a nessuno, specialmente ai Lo Bianco. Domenico Camillò – ha svelato Bartolomeo Arena – era riconosciuto pure dal Crimine di Polsi e Francesco Antonio Pardea voleva proprio che lo zio rimpiazzasse tutti i giovani che lo meritavano, per formare un gruppo, in modo che quando poi lui sarebbe uscito dal carcere, anche lui ne avrebbe fatto parte. [Continua in basso]
La fusione fra i clan Pardea e Lo Bianco-Barba
“Quando si forma questo nuovo gruppo avvengono delle incomprensioni con alcuni soggetti del clan Lo Bianco-Barba, che nel frattempo erano usciti con la sorveglianza speciale, sempre per 1’operazione Nuova Alba. Però non si arrivò a uno scontro armato per poco equindi per una questione di rispetto, anche perché mio zio Domenico Camillò voleva portare rispetto a Carmelo Lo Bianco, che era un suo grande amico, e quindi si decise di arrivare a un accordo con i Lo Bianco-Barba. Si è arrivati così a fare una fusione, i Pardea assieme ai Lo Bianco-Barba e quindi Vincenzo Barba è diventato capo società, perché gli ha passato la mano Domenico Camillò e Antonio Macrì è diventato il contabile”.
Il distacco del gruppo di Arena, Morelli, Macrì e Pardea
“Questo è durato anche per un periodo quando è uscito Francesco Antonio Pardea – ha raccontato ancora Bartolomeo Arena – che non ha apprezzato affatto questa scelta che avevamo fatto e se l’era presa con me perché non voleva il collegamento con i Lo Bianco. Infatti lui non è rientrato in questo nuovo gruppo e ha iniziato per i fatti suoi assieme a Salvatore Morelli e poi in seguito all’uscita di Domenico Macrì, detto Mommo, hanno iniziato a muoversi per fatti loro. Siccome però noi eravamo tutti imparentati e non potevamo discriminare i Lo Bianco-Barba, ci siamo distaccato noi. Anche perché era successo un episodio – continua il collaboratore – e cioè un mio cugino era stato sparato da Loris Palmisano e i Lo Bianco-Barba erano intervenuti a favore di questo ragazzo, assieme con gli Alvaro di Sinopoli e quindi poi lì noi praticamente ci siamo distaccati e abbiamo formato per i fatti nostri. La sparatoria è avvenuta a luglio 2016 e noi ci siamo distaccato nell’autunno 2016. Da quel momento io, Francesco Antonio Pardea, Salvatore Morelli, appena è uscito Domenico Macrì, i figli di Camìllò Domenico, Michele Manco e altri, Michele Pugliese Carchedi, che è anche mio cugino, tutti abbiamo formato un gruppo per i fatti nostri. Quindi abbiamo iniziato a rimpiazzare ragazzi senza passare conto a nessuno. E quindi se dovevamo fare un’estorsione, facevamo estorsioni tranquillamente e ai Lo Bianco-Barba non li tenevamo assolutamente in considerazione”.
Morelli e Pardea con il grado della “Stella”
“Salvatore Morelli faceva parte del mio stesso gruppo, ma aveva fatto parte del gruppo di Andrea Mantella, sempre con i Lo Bianco-Barba, però era più con la fazione di Andrea Mantella. Era un soggetto – ha dichiarato Bartolomeo Arena – che era già appartenente a una famiglia di ’Ndrangheta, perchè suo nonno, Salvatore Morelli, era stato il contabile della cosca Pardea negli anni ’60, quando era capeggiata da Rosario Pardea. E poi quando abbiamo fatto il gruppo, Salvatore Morelli era un vertice di questo gruppo. Infatti quando io ho ricevuto le ultime doti di ’ndrangheta, mi sono state date proprio da Francesco Antonio Pardea e da Salvatore Morelli, con il benestare però sempre di Domenico Camillò e di Raffaele Franzè. Salvatore Morelli e Francesco Antonio Pardea avevano il grado di ‘ndrangheta della Stella, la dote della Stella. Erano riconosciuti a tutti gli effetti dappertutto. Anche perché gli erano stati conferite direttamente da persone che rispondevano a Polsi. Francesco Antonio Pardea le ultime cariche le aveva avute nel carcere di Frosinone tramite Vito Martino, che era il secondo, il numero due della cosca Grande Aracri di Cutro e da Paolo Lentini, che era il numero due della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto. Mentre invece Salvatore Morelli li aveva ricevuti nel carcere di Benevento dalla cosca Alvaro”.
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