Operazione “Radici”, il ruolo dei vibonesi nel trasferimento fraudolento di valori in Emilia
Soggetti ritenuti vicini ai clan Mancuso, Fiarè e Piromalli avrebbero riciclato denaro attraverso la gestione di alcune società ad Imola poi dichiarate fallite
Sono diverse le contestazioni mosse ai vibonesi indagati nell’operazione “Radici” della Dda di Bologna. Se il reato associativo viene contestato a Saverio Serra, 51 anni, di Vibo Valentia e residente a Cervia (carcere), Giovanni Battista Moschella, 63 anni, di Vibo Valentia e residente a Modena (carcere), Antonino Carnovale, 47 anni, di Piscopio, domiciliato a Imola (arresti domiciliari) ed all’avvocato del Foro di Vibo Domenico Arena, 46 anni, residente a Modena con in precedenza studio a Spilinga (per lui è scattato l’obbligo di dimora), altre ipotesi di reato vengono formulate nei confronti di alcuni vibonesi indagati a piede libero.
Pietro Piperno, 61 anni, di Piscopio e residente a Dozza (Bo), Antonino Carnovale, Saverio Serra, Francesco Patamia, 34 anni, di Gioia Tauro ma residente a Milano (carcere, candidato alla Camera nelle ultime Politiche con “Noi Moderati”), Eleonora Piperno, 28 anni, nata a Vibo Valentia, residente a Dozza e Giuseppe Vivona, 62 anni, e residente a Lentate sul Seveso (arresti domiciliari) sono infatti accusati del reato di trasferimento fraudolento di valori. In particolare, Pietro Piperno (ritenuto dagli inquirenti “contiguo alla ‘ndrina dei Fiarè” di San Gregorio d’Ippona, unitamente al nipote Antonino Carnovale avrebbero fittiziamente attribuito a Eleonora Piperno la titolarità della società “Forno Imolese srl” con sede ad Imola. Il contratto di cessione sarebbe stato stilato al modesto prezzo corrispondente al valore nominale del capitale, non tenendo quindi conto del valore commerciale dell’azienda ed in un clima intimidatorio consistito nella rimozione violenta ed all’insaputa del precedente rappresentante legale. L’acquisto dell’azienda sarebbe stato “commercialmente ingiustificabile anche con riferimento alla complessiva situazione patrimoniale della famiglia Piperno che non avrebbe potuto giustificare l’investimento e l’effettiva gestione della società”. [Continua in basso]
In data 5 luglio 2019 venivano poi cedute le quote societarie della “Forno Imolese srl” – sempre al prezzo del solo valore formale del capitale versato, da Eleonora Piperno in favore di Giuseppe Vivona che ne “diveniva formalmente e fìttiziamente socio unico ed amministratore della società”, operando quale prestanome rispetto all’amministrazione di fatto di Antonino Carnovale e Francesco Patamia (quest’ultimo subentrato a Pietro Piperno)”. A far data dal 31 ottobre 2019, Saverio Serra subentrava a Francesco Patamia. “acquisendo il ruolo di amministratore occulto e di fatto, rimanendo inalterati invece i ruoli di Antonino Carnovale e Giuseppe Vivona. Tali “manovre” avrebbero permesso di agevolare il delitto di autoriciclaggio riconducibile a Saverio Serra, nonché per eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, atteso che gli effettivi proprietari ed amministratori di fatto della Forno Imolese srl succedutisi nel tempo – Pietro Piperno, Antonino Carnovale, Francesco Patamia e Saverio Serra – erano “soggetti astrattamente aggredibili con Misure Preventive patrimoniali anche per i legami parentali con esponenti delle cosche Piromalli e Mancuso e per i rispettivi precedenti penali e di polizia, ovvero per le rispettive irrisorie capacità reddituali”.
Altra contestazione viene quindi mossa a Saverio Serra, Giuseppe Vivona, Antonino Carnovale e Francesco Patamnia che avrebbero distratto una somma dal patrimonio della Forno Imolese srl per poi sottratte e distruggere i libri contabili della società dichiarata fallita dal Tribunale di Ravenna con sentenza del novembre dello scorso anno. Il tutto al fine di non rendere possibile al curatore fallimentare la ricostruzione del patrimonio societario ovvero del movimento degli affari.
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