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Verso la revoca della scorta a Pino Masciari, testimone di giustizia di Serra San Bruno

Il Ministero dell’Interno ha avviato la procedura per far venir meno la tutela personale. L'imprenditore ha denunciato la 'ndrangheta dei Vallelunga ed i clan del Soveratese e del Crotonese

Verso la revoca della scorta a Pino Masciari, testimone di giustizia di Serra San Bruno
Pino Masciari
La sede del Ministero dell’Interno

“Chiedere che venga ancora riconosciuta, anzi aumentata, la misura di protezione tramite scorta non è per me l’adesione ad una moda o a un capriccio; la mia è una richiesta che parte da un oggettivo e concreto rischio che si è palesato nel momento stesso in cui ho scelto di denunciare affidandomi alla legge dello Stato”.
Lo scrive Pino Masciari, l’imprenditore e testimone di giustizia di Serra San Bruno per il quale il Ministero dell’Interno ha avviato la procedura di revoca della tutela personale, in una memoria scritta fatta recapitare alla Prefettura della provincia in cui risiede, che pochi giorni fa gli ha fatto pervenire la decisione del competente ufficio del Viminale.
Con le sue dichiarazioni Pino Masciari – imprenditore edile che ha dovuto lasciare Serra San Bruno che ha denunciato anni di vessazioni da parte del clan Vallelunga delle Serre e delle cosche del Soveratese e del Crotonese (operazioni antimafia “Mangusta 1” e “Mangusta 2”) – ha contribuito alla condanna nei confronti di importanti boss della ‘ndrangheta. Ora scrive che la revoca delle misure di sicurezza per lui e per i suoi familiari equivale a una condanna a morte. “Tengo particolarmente a sottolineare – scrive Masciari nella memoria di cui l’Agi ha letto il contenuto – che i miei figli non hanno mai, in tutti questi anni, potuto vivere un’esistenza normale, poiché tale mia scelta di collaborare ha pregiudicato la loro serenità, minata costantemente dalla paura e dal sentimento di pericolo, emozioni gravose e non adatte alla loro giovane età”.

Masciari chiede, dunque, il mantenimento delle misure a suo tempo decise (eravamo nel 1997) a tutela sua e della sua famiglia e scrive parole molto dure. “L’eventuale revoca delle misure di sicurezza, nella concretezza assume il significato di condanna a morte di un uomo e di un padre che ha creduto nello Stato, ha perso le aziende e il lavoro, gli affetti e la sua terra ed è stato fatto vivere per tutti questi anni da esiliato sacrificando la moglie e i figli.  La mia vita – fa rilevare – e quella di mia moglie e dei miei figli non può essere valutata e trattata così come si fa con le pratiche amministrative. Nelle vostre mani c’è la mia esistenza e quella della mia famiglia. Per alto senso civico e per la difesa dei valori costituzionali ho denunciato esponendo me stesso e la mia famiglia a rischi incalcolabili, ma ero certo che lo Stato sarebbe stato al mio fianco finché ne avessi avuto bisogno. Siamo persone, non pratiche e atti da evadere. Non è difficile – aggiunge –  ricordare nomi e vicende di altre persone vittime di ritorsione mafiosa, colpite proprio nel momento in cui lo stato gli ha voltato le spalle o quando c’è stata una disattenzione nel sistema di protezione”.

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