‘Ndrangheta: a Vibo Valentia anche le ristrutturazioni dei condomini finite nel mirino dei clan
L’ultima operazione della Dda svela i tentativi di estorsione in città ai danni delle ditte impegnate nei lavori di rifacimento delle facciate grazie all’eco bonus. Fondamentali le denunce a carabinieri e Guardia di finanza da parte delle persone offese. La figura di Michele Manco e tutte le accuse
Anche le imprese impegnate nei lavori di ristrutturazione di alcuni palazzi a Vibo Valentia sarebbero finite nel “mirino” dei clan. O meglio, in questo caso nelle mire di Michele Manco, 34 anni, residente in città, coinvolto in Rinascita Scott tanto da essere stato condannato il 6 novembre dello scorso anno – al termine del troncone processuali celebrato con rito abbreviato – a 12 anni di reclusione, ma a piede libero in quanto, nelle settimane successive al suo arresto per la maxioperazione, il Tdl di Catanzaro l’ha rimesso in libertà. Michele Manco è stato ritenuto in Rinascita Scott un componente della ‘ndrina Pardea-Camillò operante a Vibo Valentia. Ad accusarlo, da ultimo, anche il collaboratore di giustizia Michele Camillò che ha collocato Michele Manco come presente alle riunioni di ‘ndrangheta a Vibo. “Michele Manco fa parte della ‘ndrina sciolta, è stato affiliato con me ed ha la dote del Vangelo. Ricordo – ha dichiarato Michele Camillò – che una volta Salvatore Morelli lo mandò a fare un’estorsione ad un certo Ruffa che aveva vinto in un centro scommesse”. Michele Manco è stato collocato come alle dirette dipendenze di Salvatore Morelli (alias “l’Americano), Francesco Anonio Pardea (alias “U Ranisi) e Domenico Macrì (alias “Mommo)
Le richieste alle ditte impegnate a ristrutturare condomini
Nelle contestazioni mosse con la nuova operazione della Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, gli inquirenti – carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo e Guardia di finanza – Michele Manco viene posto al centro di due tentativi di estorsione ai danni di ditte impegnate in alcuni lavori di ristrutturazione condominiali agevolati dall’eco bonus 110%. La prima richiesta estorsiva contestata a Michele Manco è datata 25 maggio 2021, quindi qualche mese prima – 6 novembre 2021 – della sua condanna a 12 anni nel maxiprocesso Rinascita Scott in abbreviato. Secondo l’accusa, Michele Manco – con altri soggetti in corso di identificazione – si sarebbe portato presso il cantiere della I.I.C. sito a Vibo Valentia in piazza Annarumma num. 10 impegnata in alcuni lavori al condominio “Rizzo”. Michele Manco alle 8 del mattino, portandosi all’esterno delle recinzione del cantiere, avrebbe quindi minacciato un operaio della ditta di Corigliano, impegnata nei lavori, con la seguente frase: “Digli al tuo capo che lo stiamo aspettando”. Scopo della minaccia quello di ottenere dalla ditta una cospicua somma di denaro in favore della ‘ndrina Pardea. L’estorsione non andava a buon fine per la ferma opposizione dell’impresa impegnata nei lavori che rifiutava il pagamento denunciando il fatto ai carabinieri. Il tentativo di estorsione è aggravato dalle modalità e dalle finalità mafiose. Importante in questo caso, ai fini dell’indagine, l’analisi del Gps installato sull’auto in uso a Michele Manco.
E’ del 4 febbraio scorso, invece – quindi tre mesi dopo la condanna a 12 anni nel processo Rinascita Scott – il tentativo di estorsione che vede protagonista Michele Manco ai danni dei titolari delle ditte De Nisi srl e Edil Costruzioni srl. L’esponente del clan Pardea si sarebbe presentato sul cantiere sito a Vibo in via Matilde Serrao num. 9 (già traversa di via Accademie vibonesi), relativo sempre a lavori di ristrutturazione condominiali grazie all’eco bonus, minacciando un operaio della Edil Costruzioni con le seguenti parole: “Mettete le carte a posto con gli amici”. Anche in questo caso lo scopo dell’intimidazione sarebbe stato quello di ottenere somme di denaro per sé ed il proprio clan con conseguente indebito profitto. Anche in questo caso i titolari delle ditte hanno rifiutato ogni pagamento e denunciato il tutto alle forze dell’ordine. Il reato è aggravato dalle finalità e modalità mafiose ed in questo caso l’attività di indagine è stata svolta dalla Guardia di finanza.
Emerge quindi dall’inchiesta come soggetti condannati a pene non da poco – 12 anni – lasciati in libertà abbiano continuato come nulla fosse a porre in essere attività delittuose, stroncate però sul nascere dalle forze dell’ordine anche grazie alle denunce (in alcuni casi sofferte ed arrivate, per paura, in un secondo momento) delle parti offese.
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