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Disastro Moby Prince, spunta una terza nave: «Comparve dal nulla e causò la collisione»

Nel rogo che scaturì dall'impatto tra il traghetto e la petroliera Agip Abruzzo morirono 140 persone, tra cui 6 vibonesi. Ecco le conclusioni della Commissione parlamentare d'inchiesta e i punti ancora da chiarire

Disastro Moby Prince, spunta una terza nave: «Comparve dal nulla e causò la collisione»
Il traghetto "Moby Prince"

È clamorosa la conclusione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro Moby Prince, il traghetto che il 10 aprile 1991 andò a impattare contro la petroliera Agip Abruzzo, all’ancora nella rada del porto di Livorno. Nello spaventoso rogo che ne scaturì, morirono 140 persone, tra cui 11 lavoratori marittimi calabresi. Tra di loro anche 6 vibonesi, 4 originari di Pizzo – Rocco Averta, Antonio Avolio, Francesco Antonio Esposito e Giulio Timpano – e 2 di Parghelia, Francesco Tumeo e Francesco Mazzitelli, che erano a bordo del traghetto diretto ad Olbia.
Secondo l’organismo parlamentare, che ha chiuso in anticipo i lavori per la fine della Legislatura, la collisione è stata causata da una terza nave, sinora rimasta sconosciuta: «La Moby Prince è andata a collidere con la petroliera Agip Abruzzo per colpa della presenza di una terza nave comparsa improvvisamente davanti al traghetto che provocò una virata a sinistra che ha poi determinato l’incidente». [Continua in basso]

«Purtroppo questa nave non è ancora stata identificata con certezza», ha detto Andrea Romano (Pd) presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro Moby Prince, presentando la relazione conclusiva approvata all’unanimità. «Non abbiamo potuto dare risposte certe sull’identificazione della terza nave perché non ne abbiamo avuto il tempo a causa della fine anticipata della legislatura – ha spiegato -, ma abbiamo suggerito nella relazione conclusiva due piste da seguire in futuro sia da parte della magistratura e del prossimo Parlamento. Una riguarda la nave 21 Oktobaar II, che è un ex peschereccio somalo, e l’altra la presenza nel tratto di mare interessato dalla presenza di una o più bettoline impegnate in possibili operazioni di bunkeraggio clandestino».

«Eni, che è una grandissima società ed è un vanto nazionale, forse sapeva che Agip Abruzzo si trovava dove non doveva essere – ha affermato Romano -, forse sapeva anche del black out o del vapore e perfino che forse era coinvolta in attività di bunkeraggio clandestino: noi abbiamo chiesto i materiali delle inchieste interne ma non li abbiamo avuti. Spero che chi lo farà in futuro sia più fortunato di noi. Quei documenti per i quali rinnovo l’appello a renderli pubblici: possono contribuire a scrivere un altro pezzo importante di verità di quella tragica notte». [Continua in basso]

«L’esplosione si produsse subito dopo la collisione ma non abbiamo ancora risposte esaustive sulla presenza di tracce contaminate trovate a bordo per le quali sarebbero serviti ulteriori accertamenti che però non abbiamo potuto fare perché abbiamo terminato le indagini con la fine della legislatura in vista delle prossime elezioni», ha detto Romano.

La Commissione è inoltre giunta alla conclusione che le condizioni di visibilità la sera della collisione fossero «buone, se non ottime, con vento di brezza e mare calmo». «Abbiamo anche accertato senza ombra di dubbio, grazie a studi scientifici eseguiti in modo approfondito – ha aggiunto Romano – che la petrioliera Agip Abruzzo, contro la quale andrò a collidere il traghetto Moby Prince, si trovava ancorata in rada in una zona dove invece c’era il divieto di ancoraggio».

«La commissione d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince, che, lo ricordo, è stata la più grande catastrofe della marineria civile italiana. La relazione approvata all’unanimità non è un risultato banale, anche se siamo in campagna elettorale, ma dimostra che sulla necessità di fare chiarezza su determinate questioni non ci si può dividere», ha concluso Romano.

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