Omicidio Di Costa a Tropea, svolta nell’inchiesta: il gip ordina al pm di formulare l’accusa per un indagato
Il giudice per le indagini preliminari dispone un’archiviazione, mentre per una seconda posizione ordina alla Dda di procedere nei confronti di Filippo Saragò. Il delitto a colpi di pistola è avvenuto il 23 marzo 2010. Ecco la ricostruzione dell’eliminazione di un soggetto ritenuto insubordinato rispetto al clan La Rosa


Svolta nelle indagini per l’omicidio di Vincenzo Di Costa, ucciso a colpi d’arma da fuoco all’età di 46 anni a Tropea nella serata del 23 marzo 2010. Un omicidio dalle modalità mafiose consumato in località Campo di Sotto mentre la vittima – fra le ore 20 e le ore 21.00 – stava parcheggiando il ciclomotore nel piazzale antistante la propria abitazione. Un fatto di sangue rimasto sinora impunito. Il gip distrettuale di Catanzaro, Pietro Carè, ha ordinato al pubblico ministero di procedere entro dieci giorni alla formulazione dell’imputazione nei confronti di Filippo Saragò, 40 anni, di Tropea, con l’accusa di omicidio aggravato. Il gip ha invece disposto l’archiviazione nei confronti di Francesco Saragò, 37 anni, di Tropea. Il pm aveva chiesto per entrambi gli indagati l’archiviazione, ma il gip si è opposto ordinando di formulare l’imputazione a carico di Filippo Saragò ed accogliendo così le richieste dell’avvocato Giovanna Fronte che assiste Moira Lo Tartaro, moglie della vittima. [Continua in basso]

Per come ricostruito dal giudice per le indagini preliminari, nell’immediatezza del delitto erano stati sottoposti alla prova dello stub Nicola Zangone ed i fratelli Francesco e Filippo Saragò, quest’ultimo risultato positivo.
“La vittima – scrive il gip – era soggetto incline a commettere atti intimidatori a mezzo incendio (come quelli del 22.1.2010 ai danni di De Rito Antonietta, del 31.1.2010 ai danni di Lorenzo Domenico, del 6.2.2010 ai danni del minimarket di Crigna Alessandro e della farmacia Taccone a Parghelia e del 23.2.2010 ai danni di Taccone Maria in viale Stazione a Tropea) ed appena due giorni prima dell’omicidio, in data 20 marzo 2010, veniva denunciato l’incendio dell’autovettura Smart di Seminara Vanessa, fidanzata di Francesco Saragò, in passato utilizzata dal fratello Filippo (destinatario, peraltro, in data 2 novembre 2007 di una lettera minatoria contenente l’allusione ad un attentato dinamitardo che la polizia giudiziaria ha ipotizzato coincidere con quello denunciato dal Di Costa il 17 aprile 2005 e invero commesso da Peter Cacko)”.

Gli inquirenti hanno rinvenuto tracce di un possibile appostamento del killer (di cui, dopo gli spari, Di Costa Giuseppe, abitante a pochi metri dal fratello, non aveva udito alcun rumore di auto o moto) in un terreno coperto di erba e rovi posto dinanzi all’abitazione della vittima, in posizione rialzata di circa due metro e mezzo, attraversato da un sentiero conducente anche all’abitazione di Filippo Saragò.
Dagli atti di indagine della polizia (Squadra Mobile di Vibo) relativa all’operazione antimafia denominata “Peter Pan”, scattata nel dicembre del 2012, emerge “la contiguità di Vincenzo Di Costa agli ambienti della criminalità organizzata”. In tal senso assumono rilevanza alcune intercettazioni del 2009 e del 2010 in cui esponenti della cosca La Rosa di Tropea commentano il comportamento “esuberante” di Vincenzo Di Costa, mentre il collaboratore di giustizia Peter Cacko il 7 ottobre 2009 si è autoaccusato di aver posizionato su mandato di Pasquale Quaranta di Santa Domenica di Ricadi (attualmente condannato all’ergastolo per l’omicidio di Saverio Carone) un ordigno esplosivo per danneggiare il chiosco adibito alla vendita delle cipolle dello “zingaro”, alias con il quale era conosciuto Vincenzo Di Costa. [Continua in basso]

La moglie della vittima ha invece riferito agli inquirenti che a partire dall’estate del 2009, in coincidenza con ogni danneggiamento che avveniva a Tropea, Francesco La Rosa, detto “U Bimbu”, si recava presso il loro negozio per incolpare il marito di quanto accadeva ed “in un’occasione il figlio del “Bimbo”, Alessandro La Rosa, lo aveva accusato di un danneggiamento avvertendolo che a Tropea non doveva succedere niente che non volessero i La Rosa.
Altri moventi per l’omicidio

“Altro verosimile movente dell’omicidio – rimarca il gip – è stato indicato dalla moglie della vittima nella gambizzazione, da parte di Vincenzo Di Costa, di Nicola Zangone, nipote di Giuseppe Accorinti (cl. ’81) fatto per il quale la vittima, anche rivolgendosi ai La Rosa, aveva cercato inutilmente un “chiarimento”, rifiutato dallo Zangone, circostanza che gli faceva temere una possibile “risposta”.
Un ulteriore motivo è stato riferito agli inquirenti da Giuseppe Di Costa, fratello della vittima, il quale era in lite per futili motivi con la vicina di casa (come attestato anche da una sorta di denuncia manoscritta rinvenuta in un cassetto del comodino della sua camera da letto) ed il cui marito aveva fatto la sera dell’omicidio, un’inusuale visita di cortesia a casa della madre del Di Costa.
In conclusione, ad avviso del gip, vi sono sufficienti indizi di colpevolezza a carico di Filippo Saragò, attesa l’assoluta conducenza dell’esame Stub all’utilizzo di un’arma da fuoco da parte dell’indagato la sera del 23 marzo 2010, con l’esclusione di pur ipotetiche contaminazioni e l’assenza di spiegazioni alternative (alla luce di quanto dichiarato dall’interessato). Per il gip è inoltre “compatibile un eventuale movente personale con un mandato di terzi – quali il clan La Rosa oppure Zangone Nicola (recatosi, significativamente, proprio presso l’officina dei fratelli Saragò – sottolinea il gip – subito dopo aver ricevuto il biglietto di invito in Questura nell’ambito delle indagini) – per l’eliminazione di un soggetto pazzo, del tutto insubordinato rispetto alle regole di governo del territorio tipiche delle organizzazioni mafiose”. I La Rosa e Nicola Zangone non risultano invece indagati.
I familiari della vittima – in particolare la moglie Moira Lo Tartaro – sono assistiti dall’avvocato Giovanna Fronte che si è opposta all’archiviazione presentata dal Pm ed è quindi riuscita a far riaprire le indagini. Francesco Saragò (prosciolto) è invece difeso dall’avvocato Giovanni Vecchio, mentre Filippo Saragò è assistito dagli avvocati Vecchio e Sandro D’Agostino.
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