‘Ndrangheta: la Cassazione respinge la liberazione condizionale di due ergastolani vibonesi
La Suprema Corte dichiara inammissibili i ricorsi e sottolinea l’aderenza ai principi costituzionali della pena dell’ergastolo. Ecco le ragioni che interessano i boss di Arena e San Giovanni di Mileto
Restano in carcere due ergastolani del Vibonese che si erano rivolti alla Cassazione per ottenere permessi premio o la liberazione condizionale. Con due distinte sentenze, la Suprema Corte ha infatti dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da Nazzareno Prostamo, 61 anni, di San Giovanni di Mileto, e di Antonio Gallace, 56 anni, nativo di Gerocarne ma residente ad Arena.
Nazzareno Prostamo si trova detenuto per il tentato omicidio di Rocco La Scala, ambulante di 51 anni, gravemente ferito a colpi di pistola (tanto da restare paralizzato) il 13 settembre 2011 a Mileto, ed anche per una condanna all’ergastolo rimediata per l’omicidio di Pietro Cosimo, ucciso a Catanzaro il 17 gennaio del 1990. Antonio Gallace, ritenuto fra i principali boss delle Preserre vibonesi, è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Russo e ad 8 anni per associazione mafiosa nel processo nato dall’operazione antimafia denominata “Luce nei boschi”. [Continua in basso]
La Cassazione su Prostamo
La Suprema Corte, nel respingere il ricorso di Nazzareno Prostamo, ha ribadito che la pena dell’ergastolo è perfettamente aderente ai principi della Costituzione (l’articolo 27 che mira alla rieducazione del condannato) in quanto esiste una disciplina dell’esecuzione che consente di escludere, in concreto, la perpetuità della pena. La Cassazione sottolinea poi che con l’entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario, l’ergastolo ha cessato da tempo di essere una pena perpetua e, quindi, non può dirsi contraria al senso di umanità. Inoltre non è incompatibile con la grazia e con la possibilità di un reinserimento del condannato nella società libera come già ribadito pure dalla Corte Costituzionale. Il legislatore ha, del resto, esteso anche all’ergastolano l’istituto della liberazione condizionale e anche altre misure premiali che anticipano il reinserimento come effetto del suo sicuro ravvedimento da comprovarsi da parte del giudice. Si tratta di correttivi che finiscono per incidere sulla natura stessa dell’ergastolo che non è più quella concepita alle sue origini dal codice penale del 1930.
La Cassazione su Gallace
Proprio intorno alla possibilità di godere di una liberazione anticipata verteva anche il ricorso di Antonio Gallace che denunciava l’illegittimità del provvedimento del Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila. In questo caso il ricorrente, ad avviso della Cassazione, non è riuscito a dimostrare nel giudizio di merito “alcun concreto elemento idoneo a vincere la presunzione di perdurante collegamento con il sodalizio criminale di riferimento così da giustificare la meritevolezza del beneficio invocato”. [Continua in basso]
Nazzareno Prostamo e l’ergastolo
Nazzareno Prostamo è stato poi condannato all’ergastolo quale esecutore materiale – insieme a Pasquale Pititto che da qualche giorno ha invece lasciato il carcere per ragioni di salute facendo rientro a Mileto – dell’omicidio nel 1990 di Pietro Cosimo. Un delitto che sarebbe stato commissionato dal boss di Gagliano (quartiere di Catanzaro), Girolamo Costanzo, dietro il pagamento di cinque milioni di lire.
Lo stesso Nazzareno è stato anche condannato a 14 anni per il tentato omicidio di Rocco La Scala, ferito a colpi di pistola (tanto da restare paralizzato) il 13 settembre 2011 a Mileto mentre si accingeva ad aprire il cancello che immetteva in un appezzamento di terreno di sua proprietà. Nazzareno Prostamo ed il figlio Giuseppe avrebbero risolto a colpi d’arma da fuoco i “dissidi” con Rocco La Scala, ritenuto dall’ergastolano di Mileto il mandante dell’omicidio del fratello Giuseppe Prostamo, il defunto boss di San Giovanni ucciso il 3 giugno 2011 a San Costantino Calabro. Giuseppe Prostamo aveva avuto una bambina dalla moglie di La Scala. La decisione della ragazza di andare a vivere con la madre, riavvicinatasi nel frattempo al marito Rocco La Scala, era stata vissuta dai Prostamo come un “affronto” alla memoria del boss.
Antonio Gallace e l’ergastolo
Antonio Gallace sta invece scontando l’ergastolo per l’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Russo che all’epoca aveva solo 22 anni. Si tratta di uno dei fatti di sangue più cruenti avvenuti nel Vibonese negli ultimi 30 anni. La vittima è stata rapita ad Acquaro e poi uccisa il 15 gennaio 1994 con il cadavere bruciato e rinvenuto in una fossa solo mesi dopo, il 21 marzo 1994, e solo grazie alle rivelazioni di uno dei suoi assassini – Gaetano Albanese di Candidoni – che si decise a collaborare con la giustizia. Le dichiarazioni del pentito permisero di appurare che il rapimento e l’omicidio di Giuseppe Russo venne deciso proprio dal boss Antonio Gallace, che all’epoca esercitava il proprio potere mafioso sul paese di Arena, che non accettava il fidanzamento del giovane con sua cognata. Nel delitto sono rimasti coinvolti anche anche elementi delle “famiglie” Albanese di Candidoni, Oppedisano e Morfei di Monsoreto di Dinami. Nelle sentenze si parla di “visione distorta delle ragioni di onore familiare, tipiche di chi con atteggiamento mafioso vuole dimostrare la supremazia sul territorio”.
Altri 8 anni di carcere Antonio Gallace li ha invece rimediati quale esponente di spicco del “locale” di ‘ndrangheta di Ariola (con competenza anche su Arena, affidata a Gallace) che fa capo al boss Antonio Altamura.
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