Omicidi: respinta la revisione del processo per il boss ergastolano delle Preserre vibonesi
La Cassazione respinge il ricorso straordinario e conferma il carcere a vita: non basta tra i fatti nuovi una perizia balistica e la revoca del programma di protezione al pentito Forastefano
La quinta sezione penale della Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dal boss Bruno Emanuele, 50 anni, di Ariola di Gerocarne, che aveva tentato la strada della revisione del processo che l’ha portato alla condanna definitiva all’ergastolo. Carcere a vita confermato, dunque, per gli omicidi di Antonio Bevilacqua e Nicola Abbruzzese, consumati a Cassano allo Jonio il 27 febbraio 2004 e l’8 giugno 2003. Alla Cassazione si era rivolto Bruno Emanuele dopo l’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello di Salerno che nel settembre dello scorso anno aveva ritenuto inammissibile la prima impugnazione straordinaria al fine pena mai – pronunciato dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro – poi divenuto irrevocabile. [Continua in basso]
La Corte d’Appello, “correttamente richiamati i principi giurisprudenziali in relazione alla nozione di “prova nuova”, ha evidenziato, in particolare – sottolinea la Cassazione – come non potessero ritenersi tali né la consulenza tecnica di parte, contenente valutazioni critiche del metodo di indagine seguito dal consulente del pubblico ministero (ritenendo, comunque, l’inidoneità dei rilievi critici a sovvertire il percorso motivazionale del primo giudizio), né il provvedimento amministrativo di revoca della protezione, che aveva riguardato la posizione del collaboratore dichiarante, con riferimento all’attendibilità dello stesso”.
Il collaboratore in questione è Tonino Forastefano, boss di Cassano allo Jonio, che si è autoaccusato dei due omicidi, consumati unitamente a Bruno Emanuele, che gli avrebbe restituito il favore prestatogli nell’aprile del 2002, quando lo stesso Forastefano l’ha coadiuvato nell’esecuzione del duplice omicidio dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo, boss delle Preserre vibonesi, eliminati per ragioni di supremazia territoriale.
Per la Suprema Corte, “la consulenza tecnica allegata da Emanuele Bruno non apporta, come rilevato dalla Corte di Appello, profili di novità dei metodi scientifici utilizzati né il superamento, o la rappresentazione di un vizio, sotto il profilo tecnico, della consulenza prodotta dal pubblico ministero. Non costituisce prova nuova quella fondata su nuovi studi che, pur giungendo a diverse valutazioni degli elementi di fatto già apprezzati, non neghino la validità scientifica del sapere posto a base della condanna, risolvendosi, in tal caso, la richiesta di revisione della pronuncia irrevocabile nella domanda di un diverso apprezzamento critico di dati di fatto processualmente acquisiti in via definitiva ovvero di una loro lettura alternativa rispetto a quella contenuta nella sentenza”.
Ed ancora: “il giudizio di inattendibilità di un testimone, reso in un procedimento diverso da quello in cui è intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna, non costituisce una prova nuova tale da condurre all’ammissibilità di una richiesta di revisione, in quanto solo la dimostrazione della falsità delle prove testimoniali su cui è fondato il giudicato di condanna può essere utilizzata – conclude la Cassazione – come supporto di una richiesta di revisione. Va dunque conclusivamente ribadito che nell’istanza di revisione non sono state indicate “prove nuove” e che il giudizio di revisione non può essere invocato come una sorta di quarto grado di giudizio”.
Dal maggio dello scorso anno Bruno Emanuele è ristretto in regime di carcere duro (41 bis dell’ordinamento penitenziario).
Il 2 ottobre 2018 Bruno Emanuele è stato condannato in via definitiva all’ergastolo, insieme a Vincenzo Bartone, anche per il duplice omicidio dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo (ritenuti esponenti apicali dell’omonima cosca vibonese), fatto di sangue avvenuto nell’aprile del 2002 mentre le vittime si trovavano in auto nei pressi dell’acquedotto di Gerocarne. La Fiat Panda dei fratelli Loielo venne crivellata a colpi di mitraglietta e kalashnikov.
Altri 24 anni di reclusione Bruno Emanuele li ha rimediati poi nel processo nato dall’operazione antimafia “Luce nei boschi” nel quale è stato condannato per associazione mafiosa e altri reati-fine, venendo riconosciuto in via definitiva quale “braccio armato” del locale di ‘ndrangheta di Ariola di Gerocarne guidato dal boss Antonio Altamura.
LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta: il boss delle Preserre Bruno Emanuele passa al carcere duro
La Cassazione ridetermina la pena per il boss delle Preserre Gaetano Emanuele
‘Ndrangheta: il pentito Moscato ed il finanziatore occulto del clan Emanuele
- Tags
- bruno emanuele