Limbadi, a sei anni dalla scomparsa il ricordo di Maria Chindamo: «Uccisa una donna libera» – Video
Davanti all'azienda agricola dove il 6 maggio 2016 si persero le tracce dell’imprenditrice di Laureana, un sit in a cui hanno preso parte cittadini, studenti e istituzioni. Il fratello Vincenzo: «Qui c’è la parte buona della Calabria che reagisce»
«Quella odierna è stata una giornata straordinaria perché seppur nel dolore nel dover parlare e ricordare la tragica scomparsa di mia sorella Maria, aggredita, malmenata, rapita e probabilmente data in pasto ai maiali, oggi la risposta della Calabria libera c’è stata». Così Vincenzo Chindamo, fratello di Maria Chindamo, al termine della manifestazione organizzata a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, per ricordare la commercialista e imprenditrice di Laureana di Borrello, rapita e scomparsa la mattina del 6 maggio 2016. [Continua in basso]
«Maria è stata uccisa perché si voleva imporre il silenzio ad una donna libera, ma oggi abbiamo la risposta più nobile da parte di tutta la comunità: cittadini, studenti, lavoratori, la chiesa, le istituzioni, tutti uniti per dire che Maria non è stata messa a tacere e c’è la parte buona della Calabria che reagisce. Anche un gruppo di turisti da Milano si è unito a noi per chiedere verità e giustizia per Maria. Se è vero che solo una minima parte delle vittime innocenti della criminalità trova giustizia – ha concluso Vincenzo Chindamo – vuol dire che lo Stato deve fare di più ed occorre liberare le risorse affinché questo territorio abbia uomini e mezzi per fare le indagini». Alla manifestazioni hanno preso parte, oltre ad autorità militari e civili, esponenti politici, studenti e semplici cittadini. Tra di loro, anche i genitori di Matteo Vinci e il testimone di giustizia Carmine Zappia. Presenti anche il vescovo Attilio Nostro e il vicepresidente della Regione, Giusi Princi.
Da ricordare che nell’immediatezza della scomparsa, avendo i carabinieri rinvenuto solo l’auto di Maria Chindamo dinanzi al cancello dell’azienda agricola di Limbadi con lo sportello aperto e macchie di sangue sparse intorno (segno evidente di un’aggressione), l’allora procuratore di Vibo, Mario Spagnuolo, ed il pm Concettina Iannazzo avevano fatto perquisire dai carabinieri – con l’aiuto dei cani molecolari giunti dalla Questura di Palermo – un’azienda agricola a Rosarno di proprietà dei familiari del marito di Maria Chindamo (Ferdinando Pontoriero), suicidatosi il 6 maggio 2015 dopo aver avviato le pratiche di separazione dalla moglie. Le ricerche, estese pure ad altri terreni, non hanno però dato sinora alcun esito. La scomparsa di Maria Chindamo ha avuto sin da subito vasta eco nazionale e diverse sono state le pubbliche manifestazioni di vicinanza alla famiglia che non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia per Maria. Le indagini non hanno portato al momento ad individuare gli autori della scomparsa.
Per il gip del Tribunale di Vibo Valentia, la scomparsa di Maria Chindamo è stata “una brutale esecuzione, organizzata con un agguato in piena regola e pur non essendo un omicidio mafioso ma inquadrabile in una questione privata da approfondirsi nella sfera strettamente personale o in quella della sua attività commerciale”, non aveva escluso che l’esecuzione materiale sia “stata compiuta da persone avvezze a tali azioni, come ve ne sono – aveva annotato il gip di Vibo – negli ambienti della criminalità locale”. Il caso è ora da oltre un anno finito sul tavolo della Dda di Nicola Gratteri che, alla luce delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonio Cossidente ed Emanuele Mancuso, indaga su un coinvolgimento nel delitto da parte della criminalità organizzata.
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