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Maria Chindamo ancora senza giustizia alla vigilia del sesto anniversario dalla scomparsa

La pista della vendetta familiare e poi, dopo le sconvolgenti rivelazioni di un pentito, quella degli interessi della ‘ndrangheta sui suoi terreni di Limbadi. Ma la fine dell’imprenditrice di Laureana resta ad oggi senza verità

Maria Chindamo ancora senza giustizia alla vigilia del sesto anniversario dalla scomparsa
Maria Chindamo

Sei anni di silenzi, di verità soffocate dal tempo e dall’omertà, di indagini asfittiche malgrado l’impegno investigativo profuso. La memoria di Maria Chindamo rimane senza una tomba sulla quale posare un fiore. E rimane senza verità, né giustizia. 
«Venne fatta macinare con un trattore o data in pasto ai maiali», rivelò il 7 febbraio del 2020 l’ex boss dei Basilischi, oggi pentito, Pietro Cossidente. Ai pubblici ministeri antimafia svelò una confidenza ricevuta da Emanuele Mancuso, il rampollo del clan Mancuso che rinnegò la famiglia divenendo collaboratore di giustizia. Cossidente e Mancuso, così, fecero emergere un movente alternativo ovvero l’interesse che la malavita aveva sui terreni dell’imprenditrice di Laureana di Borrello scomparsa il 6 maggio del 2016. «Venne fatta sparire – spiegò Cossidente – ben sapendo che se le fosse successo qualcosa la responsabilità sarebbe ricaduta sulla famiglia del marito della donna, poiché il marito o l’ex marito dopo che si erano lasciati si era suicidato». [Continua in basso]

L’uomo chiave

Principale indiziato «il Pinnolaro», ovvero Salvatore Ascone, presunto narcotrafficante di rango legato al locale ‘ndranghetista di Limbadi, che secondo i pentiti avrebbe inteso allargare i suoi possedimenti mirando ai fondi agricoli di Maria e sul quale – malgrado misure restrittive emesse e poi crollate – le indagini hanno fin qui fallito. Il caso, acquisiti questi verbali, dopo cinque anni di indagini avviate e condotte dalla Procura di Vibo Valentia, è transitato alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ma la svolta attesa non c’è finora stata.

Maria e le telecamere

Maria era una donna perbene, indipendente, bella, colta, commercialista abilitata, imprenditrice di successo nel settore agricolo. Una donna vittima della lupara bianca. Nata e cresciuta a Laureana di Borrello, guidava un’azienda che aveva i suoi terreni a Limbadi. Aveva ereditato anche quelli del marito Ferdinando Punturiero, che si tolse la vita esattamente un anno prima della scomparsa. Il rapimento o l’omicidio, davanti alla azienda di Maria, in località Montalto, a Limbadi, potevano essere ripresi dalle telecamere di videosorveglianza della dirimpettaia tenuta che appartiene proprio a Salvatore Ascone, ma quel giorno erano inspiegabilmente spente.
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